La nascita dell`individuo
La scoperta dell`individuo nella cultura occidentale. Io sono io.
ABBIAMO UNA STRUTTURA INDIVUDALE
Andiamo dallo psicologo per conoscerla
La psicologia è nata con l'uomo, che, fin dai primordi, ha saputo osservare sia il proprio comportamento, sia percepire il gioco caleidoscopico delle sue emozioni. Potremmo chiamare la psicologia lo specchio che permette una valutazione sia dei nostri atti sia dei nostri pensieri.
L'evoluzione culturale ha sempre implicato uno sviluppo delle cognizioni psicologiche, non codificate, come è avvenuto in tempi recenti (la psicologia è una tipica espressione della cultura positivista della seconda metà dell''Ottocento), quando ha ottenuto lo statuto di scienza autonoma, ma inserite entro altri contenitori culturali. La psicologia è stata nei millenni alla sfera magica poi a quella più propriamente religiosa, infine all'ambito filosofico.
L'uomo ha percepito da sempre le proprie emozioni, le ha recepite e le ha nominate con parole diverse per riconoscerle meglio e comunicarle a livello di linguaggio. Sono nati tanti sostantivi, aggettivi e verbi con la funzione di concettualizzare determinati sentimenti: la collera, la disperazione, la paura, la gioia, la tristezza, in una serie all'infinito. Le parole dicevano che l'animo dell'uomo era sensibile a tante variazioni d'umore, che dentro la mente c'erano delle "cose" che potevano piacere o dispiacere. L'uomo ha collegato certe tipologie di sensazioni a fatti esterni e ha cercato di perseguire situazioni sentite come appaganti e di evitare nel limite del possibile quelle opposte. Certi atti modificavano radicalmente quello che noi chiamiamo lo stato d'animo. Ha cercato di evitare situazioni apportatrici di emozioni negative e di gestire la sua vita in modo da appropriarsi emozioni festose. Ha programmato o dovuto subire occasioni di bene o di male con i loro corrispettivi emozionali. Questa prima correlazione non è stata sufficiente. Nel tempo l'uomo si è accorto che non sempre il benessere esistenziale coincideva con il cosiddetto benessere psichico. Non poche persone soffrivano anche quando le cose andavano bene. L'angoscia compariva dove non avrebbe dovuto esserci. Stati di malinconia insondabili e inspiegabili, oppure rabbie cieche, pulsioni negative fuori contesto (furori immotivati, acting out distruttivi, paure inspiegabili, sensazioni di oppressione o di persecuzione) rivelavano incongruenze inconfutabili contro il binomio fra la fortuna e il benessere psichico. Molti miti parlano di efferate esplosioni di follia, di ottenebramento improvviso della coscienza, di azioni compiute in uno stato alterato della mente.
Noi definiamo queste esplosioni sintomi patologici; le culture antiche usavano altri termini perché ipotizzavano altre cause: influssi magici, riti di morte simbolica operati contro quella persona, l'inimicizia di qualche divinità, il castigo degli déi per far espiare qualche misfatto. Si esorcizzava, si celebravano cerimonie di purificazione, si intercedeva. L'uomo si credeva vittima di influssi esterni potenti; era una volontà esterna a turbargli la mente. Psicotici gravi lo credono tuttora.
Non si riconosceva ancora il ruolo autonomo dei processi mentali. La psicologia era figlia o ancella del pensiero magico, dell'elaborazione teologica e delle disquisizioni filosofiche. Da quest'ultima disciplina spuntò un germoglio nuovo, antitetico alla filosofia stessa. Un filosofo aristotelico, con una mentalità nuova, di tipo scientifico, Teofrasto, scrisse, oltre a opere di ricerca e di classificazione naturalistica, uno snello libretto che studiava i cosiddetti "caratteri". Rilevò che ogni persona reagiva agli eventi della vita in modo differenziato o adottava stili di vita strani e anche criticabili.
Il filosofo si divertì a descrivere vari "tipi" di individui, connotati da reazioni e qualità diverse, che si comportavano in modo contrapposto nelle medesime situazioni. L'avaro si opponeva allo spendaccione, il timido all'arrogante, l'impulsivo al flemmatico e via dicendo. Era stata individuata la differenza individuale, per la cui comprensione non si pensava più a influssi esterni maligni, ma a componenti caratteriali, noi diremmo, con una certa approssimazione, al DNA. Di fronte a situazioni analoghe, per esempio a un'eredità, l'avaro e il prodigo reagiscono in modo diametralmente opposto, sono mossi da impulsi differenziati e vivono emozioni inconciliabili. Era nato il concetto di individuo. La psicologia moderna ha però corretto il tiro, non parla più di componenti innate immodificabili, ma di interazioni fra soggetto e ambiente. Il dibattito in questo campo è ancora acceso e controverso. Lo chiariremo nella prossima puntata; per ora abbiamo focalizzato la prima regola della psicologia: il nostro agire e reagire è frutto della nostra forma mentis.
Andiamo dallo psicologo per conoscerla
La psicologia è nata con l'uomo, che, fin dai primordi, ha saputo osservare sia il proprio comportamento, sia percepire il gioco caleidoscopico delle sue emozioni. Potremmo chiamare la psicologia lo specchio che permette una valutazione sia dei nostri atti sia dei nostri pensieri.
L'evoluzione culturale ha sempre implicato uno sviluppo delle cognizioni psicologiche, non codificate, come è avvenuto in tempi recenti (la psicologia è una tipica espressione della cultura positivista della seconda metà dell''Ottocento), quando ha ottenuto lo statuto di scienza autonoma, ma inserite entro altri contenitori culturali. La psicologia è stata nei millenni alla sfera magica poi a quella più propriamente religiosa, infine all'ambito filosofico.
L'uomo ha percepito da sempre le proprie emozioni, le ha recepite e le ha nominate con parole diverse per riconoscerle meglio e comunicarle a livello di linguaggio. Sono nati tanti sostantivi, aggettivi e verbi con la funzione di concettualizzare determinati sentimenti: la collera, la disperazione, la paura, la gioia, la tristezza, in una serie all'infinito. Le parole dicevano che l'animo dell'uomo era sensibile a tante variazioni d'umore, che dentro la mente c'erano delle "cose" che potevano piacere o dispiacere. L'uomo ha collegato certe tipologie di sensazioni a fatti esterni e ha cercato di perseguire situazioni sentite come appaganti e di evitare nel limite del possibile quelle opposte. Certi atti modificavano radicalmente quello che noi chiamiamo lo stato d'animo. Ha cercato di evitare situazioni apportatrici di emozioni negative e di gestire la sua vita in modo da appropriarsi emozioni festose. Ha programmato o dovuto subire occasioni di bene o di male con i loro corrispettivi emozionali. Questa prima correlazione non è stata sufficiente. Nel tempo l'uomo si è accorto che non sempre il benessere esistenziale coincideva con il cosiddetto benessere psichico. Non poche persone soffrivano anche quando le cose andavano bene. L'angoscia compariva dove non avrebbe dovuto esserci. Stati di malinconia insondabili e inspiegabili, oppure rabbie cieche, pulsioni negative fuori contesto (furori immotivati, acting out distruttivi, paure inspiegabili, sensazioni di oppressione o di persecuzione) rivelavano incongruenze inconfutabili contro il binomio fra la fortuna e il benessere psichico. Molti miti parlano di efferate esplosioni di follia, di ottenebramento improvviso della coscienza, di azioni compiute in uno stato alterato della mente.
Noi definiamo queste esplosioni sintomi patologici; le culture antiche usavano altri termini perché ipotizzavano altre cause: influssi magici, riti di morte simbolica operati contro quella persona, l'inimicizia di qualche divinità, il castigo degli déi per far espiare qualche misfatto. Si esorcizzava, si celebravano cerimonie di purificazione, si intercedeva. L'uomo si credeva vittima di influssi esterni potenti; era una volontà esterna a turbargli la mente. Psicotici gravi lo credono tuttora.
Non si riconosceva ancora il ruolo autonomo dei processi mentali. La psicologia era figlia o ancella del pensiero magico, dell'elaborazione teologica e delle disquisizioni filosofiche. Da quest'ultima disciplina spuntò un germoglio nuovo, antitetico alla filosofia stessa. Un filosofo aristotelico, con una mentalità nuova, di tipo scientifico, Teofrasto, scrisse, oltre a opere di ricerca e di classificazione naturalistica, uno snello libretto che studiava i cosiddetti "caratteri". Rilevò che ogni persona reagiva agli eventi della vita in modo differenziato o adottava stili di vita strani e anche criticabili.
Il filosofo si divertì a descrivere vari "tipi" di individui, connotati da reazioni e qualità diverse, che si comportavano in modo contrapposto nelle medesime situazioni. L'avaro si opponeva allo spendaccione, il timido all'arrogante, l'impulsivo al flemmatico e via dicendo. Era stata individuata la differenza individuale, per la cui comprensione non si pensava più a influssi esterni maligni, ma a componenti caratteriali, noi diremmo, con una certa approssimazione, al DNA. Di fronte a situazioni analoghe, per esempio a un'eredità, l'avaro e il prodigo reagiscono in modo diametralmente opposto, sono mossi da impulsi differenziati e vivono emozioni inconciliabili. Era nato il concetto di individuo. La psicologia moderna ha però corretto il tiro, non parla più di componenti innate immodificabili, ma di interazioni fra soggetto e ambiente. Il dibattito in questo campo è ancora acceso e controverso. Lo chiariremo nella prossima puntata; per ora abbiamo focalizzato la prima regola della psicologia: il nostro agire e reagire è frutto della nostra forma mentis.
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