Proscioglimento, oblazione e decreto penale
La Consulta afferma che se l'imputato, con l'opposizione al decreto penale di condanna, chiede l'oblazione, può essere prosciolto ex art. 129 c.p.p.
Con la recente sentenza 13 febbraio 2015, n. 14 la Corte Costituzionale, pur dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari di Tivoli in relazione all'art. 464 comma 2 c.p.p., ha affermato che a seguito dell'opposiizione a decreto penale presentato dall'imputato con richiesta di oblazione, il giudice per le indagini preliminari può pronunciare nei confronti dello stesso una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
I fatti che hanno dato dato origine alla pronuncia sono semplici: tre persone vengono accusate di aver violato l'art. 256 del c.d. Codice dell'ambiente (D. Lgs. 152/2006). A seguito della richiesta del pubblico ministero, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli emette un decreto penale di condanna nei confronti dei tre imputati. Questi ultimi presentano un atto di opposizione in cui viene chiesto il proscioglimento e, in subordine, l'ammissione all'oblazione.
Il g.i.p. ritiene che, dalla documentazione depositata dagli imputati, emerga chiaramente l'assenza dell'elemento soggettivo del reato e che, pertanto, ricorrerebbero i presupposti per il proscioglimento con la formula secondo cui "il fatto non costituisce reato".
Tuttavia, a tale declaratoria si opporrebbe il diritto vivente, ovvero l'interpretazione secondo cui, una volta emesso il decreto penale di condanna, il g.i.p. non potrebbe, a seguito di opposizione allo stesso, pronunciare nel merito, ma avrebbe un mero potere di impulso processuale, vincolato dalla richiesta dell'imputato (rito immediato, rito abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti, oblazione). Una diversa pronuncia sarebbe abnorme. Questo è quanto emergerebbe dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 21243/2010.
Secondo il g.i.p. di Tivoli, nel caso in cui l'imputato abbia chiesto non di procedersi con un rito alternativo, ma di essere ammesso all'oblazione, questa interpretazione dell'art. 464 comma 2 c.p.p. si porrebbe in contrasto con il dettato costituzionale.
Questo perché vi sarebbe una disparità di trattamento dell'imputato nella fase di richiesta di emissione del decreto penale di condanna (art. 459 c.p.p.) e nella fase di opposizione al decreto penale (art. 464 c.p.p.) in ragione del solo fatto che sia stata chiesta l'ammissione all'oblazione (art. 3 Cost.)
In secondo luogo, vi sarebbe una lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), perché il g.i.p. potrebbe pronunciare il proscioglimento a seguito della richiesta del p.m. e sulla base delle sole risultanze delle indagini preliminari, mentre non potrebbe emettere identica sentenza alla luce delle difese svolte dall'imputato nell'atto di opposizione.
Infine, sarebbero lesi il principio della presunzione di innocenza (art. 27 Cost.) e il diritto dell'imputato di allegare prove della propria innocenza e ottenere subito una pronuncia di assoluzione nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).
La Corte costituzionale rigetta la domanda del g.i.p. dichiarandola non fondata, ma appare interessante la motivazione che sorregge tale decisione.
La Consulta non ritiene prive di fondamento le preoccupazioni espresse dal giudice remittente, ma sembra avallarle, censurando tuttavia l'opzione interpretativa da cui lo stesso g.i.p. prende le mosse.
Infatti, l'interpretazione data dalle Sezioni Unite della Cassazione non ostacolerebbe ad una pronuncia di proscioglimento quando l'imputato con l'atto di opposizione al decreto penale di condanna proponga domanda di ammissione all'oblazione. Anzi, proprio la stessa sentenza, qualificando il caso della richiesta di ammissione all'oblazione come un'eccezione rispetto alle altre opzioni esercitabili dall'imputato, porterebbe alla conclusione opposta.
Più specificamente, secondo la Consulta, l'opposizione al decreto penale abbinata alla domanda di oblazione non determina l'instaurazione di un giudizio impugnatorio, come accadrebbe in seguito alla proposizione di un'opposizione semplice o con richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento. In questi casi, infatti, sarebbe il giudice dell'impugnazione a dover valutare l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p.
La domanda di oblazione, al contrario, provoca "l'instaurazione di un sub-procedimento davanti allo stesso g.i.p., regolato dall'art. 141 disp. att. c.p.p. e che prevede anche l'interlocuzione del pubblico ministero". All'interno di questo procedimento, il g.i.p., valutando la domanda di oblazione, soprattutto quando trattasi di oblazione discrezionale, deve adottare un provvedimento decisorio implicante l'esame del merito dell'imputazione. Proprio tale esame nel merito autorizza il giudice a pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.
I fatti che hanno dato dato origine alla pronuncia sono semplici: tre persone vengono accusate di aver violato l'art. 256 del c.d. Codice dell'ambiente (D. Lgs. 152/2006). A seguito della richiesta del pubblico ministero, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli emette un decreto penale di condanna nei confronti dei tre imputati. Questi ultimi presentano un atto di opposizione in cui viene chiesto il proscioglimento e, in subordine, l'ammissione all'oblazione.
Il g.i.p. ritiene che, dalla documentazione depositata dagli imputati, emerga chiaramente l'assenza dell'elemento soggettivo del reato e che, pertanto, ricorrerebbero i presupposti per il proscioglimento con la formula secondo cui "il fatto non costituisce reato".
Tuttavia, a tale declaratoria si opporrebbe il diritto vivente, ovvero l'interpretazione secondo cui, una volta emesso il decreto penale di condanna, il g.i.p. non potrebbe, a seguito di opposizione allo stesso, pronunciare nel merito, ma avrebbe un mero potere di impulso processuale, vincolato dalla richiesta dell'imputato (rito immediato, rito abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti, oblazione). Una diversa pronuncia sarebbe abnorme. Questo è quanto emergerebbe dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 21243/2010.
Secondo il g.i.p. di Tivoli, nel caso in cui l'imputato abbia chiesto non di procedersi con un rito alternativo, ma di essere ammesso all'oblazione, questa interpretazione dell'art. 464 comma 2 c.p.p. si porrebbe in contrasto con il dettato costituzionale.
Questo perché vi sarebbe una disparità di trattamento dell'imputato nella fase di richiesta di emissione del decreto penale di condanna (art. 459 c.p.p.) e nella fase di opposizione al decreto penale (art. 464 c.p.p.) in ragione del solo fatto che sia stata chiesta l'ammissione all'oblazione (art. 3 Cost.)
In secondo luogo, vi sarebbe una lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), perché il g.i.p. potrebbe pronunciare il proscioglimento a seguito della richiesta del p.m. e sulla base delle sole risultanze delle indagini preliminari, mentre non potrebbe emettere identica sentenza alla luce delle difese svolte dall'imputato nell'atto di opposizione.
Infine, sarebbero lesi il principio della presunzione di innocenza (art. 27 Cost.) e il diritto dell'imputato di allegare prove della propria innocenza e ottenere subito una pronuncia di assoluzione nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).
La Corte costituzionale rigetta la domanda del g.i.p. dichiarandola non fondata, ma appare interessante la motivazione che sorregge tale decisione.
La Consulta non ritiene prive di fondamento le preoccupazioni espresse dal giudice remittente, ma sembra avallarle, censurando tuttavia l'opzione interpretativa da cui lo stesso g.i.p. prende le mosse.
Infatti, l'interpretazione data dalle Sezioni Unite della Cassazione non ostacolerebbe ad una pronuncia di proscioglimento quando l'imputato con l'atto di opposizione al decreto penale di condanna proponga domanda di ammissione all'oblazione. Anzi, proprio la stessa sentenza, qualificando il caso della richiesta di ammissione all'oblazione come un'eccezione rispetto alle altre opzioni esercitabili dall'imputato, porterebbe alla conclusione opposta.
Più specificamente, secondo la Consulta, l'opposizione al decreto penale abbinata alla domanda di oblazione non determina l'instaurazione di un giudizio impugnatorio, come accadrebbe in seguito alla proposizione di un'opposizione semplice o con richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento. In questi casi, infatti, sarebbe il giudice dell'impugnazione a dover valutare l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p.
La domanda di oblazione, al contrario, provoca "l'instaurazione di un sub-procedimento davanti allo stesso g.i.p., regolato dall'art. 141 disp. att. c.p.p. e che prevede anche l'interlocuzione del pubblico ministero". All'interno di questo procedimento, il g.i.p., valutando la domanda di oblazione, soprattutto quando trattasi di oblazione discrezionale, deve adottare un provvedimento decisorio implicante l'esame del merito dell'imputazione. Proprio tale esame nel merito autorizza il giudice a pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.
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