La Consulta boccia l'Agenzia delle Entrate
La Consulta ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del DL 2 marzo 2012, n. 16
Con la sentenza N. 37 del 17/03/2015, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla norma che consente all’Agenzia delle Entrate, all’Agenzia del Territorio e all’Agenzia delle Dogane, di occupare posti dirigenziali vacanti, mediante l’assegnazione degli stessi a propri funzionari, con specifichi incarichi contrattuali a tempo determinato, di fatto, by-passando l’obbligatorietà dell’assunzione a mezzo di concorso pubblico.
Tale normativa è stata prevista a titolo esclusivamente temporale e straordinario per far fronte all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire un’efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione. Senonché, è stata regolarmente prorogata - come sempre avviene in Italia - senza soluzione di continuità, dal 2012 a tutt’oggi (in ultimo, dal Governo Renzi: art. 1, comma 8, del DL 31 dicembre 2014, n. 192 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), acquisendo, di fatto, forza di legge permanente.
Il Giudice delle Leggi, ha affrontato i problemi di legittimità, dichiarando che tali disposizioni violano gli artt. 3, 51 e 97, della Costituzione.
Di seguito, si riportano taluni passaggi fondamentali della pronuncia.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso».
In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l’assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.
Tuttavia, l’aggiramento della regola del concorso pubblico per l’accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela alla luce delle circostanze di fatto.
l’Agenzia delle Entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto a titolo solo eccezionale.
Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza.
Benché il legislatore abbia esplicitamente precisato, in questi interventi di proroga, che non è consentito conferire nuovi incarichi a funzionari interni, è indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato, la temporaneità della disciplina, fissando nuovi termini per il completamento delle procedure concorsuali, ma, dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità.
La regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97, della Costituzione.
In definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97, della Costituzione.
Posto che le ricordate proroghe di termini fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente a essa effetti lesivi, e anzi aggravandoli, la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa all’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, e all’art. 1, comma 8, del d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. E proprio perché tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono a integrare la disciplina impugnata, non vi sono ostacoli a estendere a esse la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, pur trattandosi di disposizioni normative sopravvenute al giudizio a quo. Infatti, «l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali» (sentenza n. 214 del 2010).
Concludendo, dunque, la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 51 e p7, della Costituzione:
- l’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;ù
- l’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;
- l’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).
Tale normativa è stata prevista a titolo esclusivamente temporale e straordinario per far fronte all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire un’efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione. Senonché, è stata regolarmente prorogata - come sempre avviene in Italia - senza soluzione di continuità, dal 2012 a tutt’oggi (in ultimo, dal Governo Renzi: art. 1, comma 8, del DL 31 dicembre 2014, n. 192 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), acquisendo, di fatto, forza di legge permanente.
Il Giudice delle Leggi, ha affrontato i problemi di legittimità, dichiarando che tali disposizioni violano gli artt. 3, 51 e 97, della Costituzione.
Di seguito, si riportano taluni passaggi fondamentali della pronuncia.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso».
In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l’assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.
Tuttavia, l’aggiramento della regola del concorso pubblico per l’accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela alla luce delle circostanze di fatto.
l’Agenzia delle Entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto a titolo solo eccezionale.
Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza.
Benché il legislatore abbia esplicitamente precisato, in questi interventi di proroga, che non è consentito conferire nuovi incarichi a funzionari interni, è indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato, la temporaneità della disciplina, fissando nuovi termini per il completamento delle procedure concorsuali, ma, dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità.
La regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97, della Costituzione.
In definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97, della Costituzione.
Posto che le ricordate proroghe di termini fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente a essa effetti lesivi, e anzi aggravandoli, la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa all’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, e all’art. 1, comma 8, del d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. E proprio perché tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono a integrare la disciplina impugnata, non vi sono ostacoli a estendere a esse la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, pur trattandosi di disposizioni normative sopravvenute al giudizio a quo. Infatti, «l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali» (sentenza n. 214 del 2010).
Concludendo, dunque, la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 51 e p7, della Costituzione:
- l’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;ù
- l’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;
- l’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).
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