Legittimi, gli atti compiuti da dirigenti illegittimi
Per il ministro Padoan, gli atti sono validi anche se i funzionari erano privi di titolo legittimo
Come noto, recentemente, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme di legge che hanno consentito alle Agenzie delle Entrate, del Territorio e delle Dogane, di nominare al proprio interno dei dirigenti, ininterrottamente per diversi anni, senza alcun concorso pubblico. Di conseguenza, detti funzionari sono risultati automaticamente essere illegittimi.
Da qui, è nato il dibattito tra chi (come chi scrive) ritiene che un atto posto in essere da chi non ne abbia alcun titolo legittimo, è inevitabilmente un atto inefficace; e coloro i quali (in vero, solo esponenti delle summenzionate Agenzie, spalleggiate dal loro gran-capo, il ministro Padoan), viceversa, ritengono che gli atti restino pienamente legittimi ed efficaci, anche se chi li ha compiuti era un soggetto privo di legittimità.
La norma che pende come una ghigliottina pronta a mozzare l’operato dell’Erario, è quella che regola uno dei principi fondamentali del diritto tributario:
"L'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione" (art. 42, DPR 600/1973).
A quanto pare, però, secondo il nostro ministro dell’Economia, diventa irrilevante chi firma, fosse anche il custode notturno, appositamente autorizzato per l’occasione grazie alla legge di Pulcinella; l’importante è che ci sia una sottoscrizione. Sono affari dell’Agenzia e di nessun altro.
Si tratterebbe del famigerato "equo" principio di diritto in base al quale: se un ricorso è firmato dall’impiegato di una società, anziché dal suo rappresentante legale, è nullo; mentre, laddove ciò accade da parte dell’Ufficio, nulla quaestio, tutto liscio come l’olio.
Alla faccia del bicarbonato di sodio! (Questa non è nostra - n.d.r.).
Fatto sta che, durante il Question-Time alla Camera, il ministro Padoan ha affermato che l’intervento della Corte Costituzionale non ha pregiudicato la validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione dichiarata illegittima. La validità degli atti sarebbe, infatti, assicurata da regole organizzative interne che prevedono la possibilità di ricorrere all’istituto della delega.
Sempre secondo Padoan, anche la stessa Corte Costituzionale avrebbe richiamato la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che giudica sufficiente, ai fini della validità dell’atto tributario, la provenienza dell’atto dall’ufficio.
Pertanto, conclude il ministro, non si intravvedono rischi di invalidità degli avvisi di accertamento e delle cartelle di pagamento.
La prima riflessione che viene spontanea, è che, evidentemente, essendo parte di un governo che dimostra di avere le idee alquanto confuse riguardo ai soggetti destinatari costituzionali del potere legislativo, nonché in merito alla gerarchia delle fonti del diritto, anche il buon Padoan sia stato improvvidamente colpito da un preoccupante vuoto giuridico, posto che mette sullo stesso piano: prima, una norma di legge con un regolamento organizzativo interno della Pubblica Amministrazione, e poi rincara la dose, equiparando le pronunce della Cassazione a quelle della Consulta.
Ci spiace deluderlo, ma non è così: qualunque studente di giurisprudenza potrà confermargli che, affermare simili castronerie durante un appello, comporterebbe un’inevitabile, sonora, bocciatura.
Ciò premesso, dobbiamo ammetterlo, ci siamo presi la briga di andare a rileggerci, parola per parola, la decisione in argomento, posto che ci è sembrato quanto meno bizzarro, da parte dei giudici costituzionali, richiamare un orientamento della Cassazione che andava contro il verdetto che stavano pronunciando.
Possibile che qualcuno sia così fesso da citare in suo supporto qualcosa che ne afferma il contrario?
E, infatti, non è possibile!
Francamente, non sappiamo dove Padoan (o chi per lui), abbia letto tale richiamo, ma, in realtà, le decisioni della Cassazione citate dalla Consulta, confermano la sentenza di quest’ultima. È vero, che l’Avvocatura dello Stato, nella sua strenua difesa di parte, ha richiamato determinate pronunce di Legittimità; le quali, puntualmente, sono state smontate dalla Corte Costituzionale in quanto del tutto inconferenti.
Affermare, d’altronde, che un atto sottoscritto da chi non ne ha titolo, conserva comunque tutti gli effetti giuridici, senza nemmeno andare a scomodare ovvi precetti di diritto, è di per sé un palese nonsenso: sarebbe come se, ogni mattina, uscendo dallo studio, io, miserrimo commercialista, sia legittimato a mettere decine di multe a tutte le auto che sono regolarmente parcheggiate in divieto di sosta, tanto poi il comandante dei Vigili mi manda una delega e legittima ogni contravvenzione.
Per favore, Padoan, non essere più ridicolo di quanto già sei!
Non siamo di certo in grado di prevedere come andrà a finire la questione e quale coniglio riusciranno a tirar fuori dal cilindro, pur di mettere una pezza all’incauto agire dell’Erario: in questa nostra ex-patria del diritto, ormai, non ci meravigliamo più di niente.
È, però, indubitabile che:
1. Le sentenze della Corte Costituzionale hanno valore di legge;
2. L’applicazione di tali decisioni ha sempre valenza retroattiva;
3. È contraddittorio e illogico, ipotizzare che possa in qualunque modo essere considerato legittimo, un atto sottoscritto da chi non è legittimato a farlo.
Da qui, è nato il dibattito tra chi (come chi scrive) ritiene che un atto posto in essere da chi non ne abbia alcun titolo legittimo, è inevitabilmente un atto inefficace; e coloro i quali (in vero, solo esponenti delle summenzionate Agenzie, spalleggiate dal loro gran-capo, il ministro Padoan), viceversa, ritengono che gli atti restino pienamente legittimi ed efficaci, anche se chi li ha compiuti era un soggetto privo di legittimità.
La norma che pende come una ghigliottina pronta a mozzare l’operato dell’Erario, è quella che regola uno dei principi fondamentali del diritto tributario:
"L'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione" (art. 42, DPR 600/1973).
A quanto pare, però, secondo il nostro ministro dell’Economia, diventa irrilevante chi firma, fosse anche il custode notturno, appositamente autorizzato per l’occasione grazie alla legge di Pulcinella; l’importante è che ci sia una sottoscrizione. Sono affari dell’Agenzia e di nessun altro.
Si tratterebbe del famigerato "equo" principio di diritto in base al quale: se un ricorso è firmato dall’impiegato di una società, anziché dal suo rappresentante legale, è nullo; mentre, laddove ciò accade da parte dell’Ufficio, nulla quaestio, tutto liscio come l’olio.
Alla faccia del bicarbonato di sodio! (Questa non è nostra - n.d.r.).
Fatto sta che, durante il Question-Time alla Camera, il ministro Padoan ha affermato che l’intervento della Corte Costituzionale non ha pregiudicato la validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione dichiarata illegittima. La validità degli atti sarebbe, infatti, assicurata da regole organizzative interne che prevedono la possibilità di ricorrere all’istituto della delega.
Sempre secondo Padoan, anche la stessa Corte Costituzionale avrebbe richiamato la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che giudica sufficiente, ai fini della validità dell’atto tributario, la provenienza dell’atto dall’ufficio.
Pertanto, conclude il ministro, non si intravvedono rischi di invalidità degli avvisi di accertamento e delle cartelle di pagamento.
La prima riflessione che viene spontanea, è che, evidentemente, essendo parte di un governo che dimostra di avere le idee alquanto confuse riguardo ai soggetti destinatari costituzionali del potere legislativo, nonché in merito alla gerarchia delle fonti del diritto, anche il buon Padoan sia stato improvvidamente colpito da un preoccupante vuoto giuridico, posto che mette sullo stesso piano: prima, una norma di legge con un regolamento organizzativo interno della Pubblica Amministrazione, e poi rincara la dose, equiparando le pronunce della Cassazione a quelle della Consulta.
Ci spiace deluderlo, ma non è così: qualunque studente di giurisprudenza potrà confermargli che, affermare simili castronerie durante un appello, comporterebbe un’inevitabile, sonora, bocciatura.
Ciò premesso, dobbiamo ammetterlo, ci siamo presi la briga di andare a rileggerci, parola per parola, la decisione in argomento, posto che ci è sembrato quanto meno bizzarro, da parte dei giudici costituzionali, richiamare un orientamento della Cassazione che andava contro il verdetto che stavano pronunciando.
Possibile che qualcuno sia così fesso da citare in suo supporto qualcosa che ne afferma il contrario?
E, infatti, non è possibile!
Francamente, non sappiamo dove Padoan (o chi per lui), abbia letto tale richiamo, ma, in realtà, le decisioni della Cassazione citate dalla Consulta, confermano la sentenza di quest’ultima. È vero, che l’Avvocatura dello Stato, nella sua strenua difesa di parte, ha richiamato determinate pronunce di Legittimità; le quali, puntualmente, sono state smontate dalla Corte Costituzionale in quanto del tutto inconferenti.
Affermare, d’altronde, che un atto sottoscritto da chi non ne ha titolo, conserva comunque tutti gli effetti giuridici, senza nemmeno andare a scomodare ovvi precetti di diritto, è di per sé un palese nonsenso: sarebbe come se, ogni mattina, uscendo dallo studio, io, miserrimo commercialista, sia legittimato a mettere decine di multe a tutte le auto che sono regolarmente parcheggiate in divieto di sosta, tanto poi il comandante dei Vigili mi manda una delega e legittima ogni contravvenzione.
Per favore, Padoan, non essere più ridicolo di quanto già sei!
Non siamo di certo in grado di prevedere come andrà a finire la questione e quale coniglio riusciranno a tirar fuori dal cilindro, pur di mettere una pezza all’incauto agire dell’Erario: in questa nostra ex-patria del diritto, ormai, non ci meravigliamo più di niente.
È, però, indubitabile che:
1. Le sentenze della Corte Costituzionale hanno valore di legge;
2. L’applicazione di tali decisioni ha sempre valenza retroattiva;
3. È contraddittorio e illogico, ipotizzare che possa in qualunque modo essere considerato legittimo, un atto sottoscritto da chi non è legittimato a farlo.
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