L'incostituzionalità del blocco della perequazione


La Corte Costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 stabilito nel Decreto Salva Italia
L'incostituzionalità del blocco della perequazione
La problematica inerente il blocco della perequazione automatica delle pensioni è stata oggetto di molteplici avvicendamenti legislativi, nonché di pronunce di rilevante importanza da parte della Corte Costituzionale, da ultima quella depositata il 30 aprile con sentenza n. 70/2015.

La perequazione è il meccanismo prescelto dal legislatore per salvaguardare nel tempo il potere di acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita, che opera con cadenza annuale in favore della generalità dei pensionati, seppure con un’applicazione dell’indice di variazione sulle pensioni, diversificato a seconda della misura dell’importo percepito (ad esempio applicato per intero sui trattamenti pensionistici non eccedenti 3-5 volte il trattamento minimo Inps e in misura ridotta al 90%-70% per le fasce eccedenti tale importo).

Va premesso, che il meccanismo della perequazione non compensa per intero l’effettivo aumento del costo della vita, determinato in particolare dall’inflazione, che comporta un aumento continuo e generalizzato dei prezzi dei beni e dei servizi.

Va specificato, inoltre, che il legislatore è intervenuto nel tempo per disporre, in più occasioni, la sospensione della indicizzazione dei trattamenti pensionistici:
Nel 1998 interessando le pensioni di importo mensile superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS;
nel 2008 con la L. 247/2007 è stata bloccata la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a 8 volte il trattamento minimo INPS;
nel 2012 e 2013 il Legislatore (Decreto Legge 6/12/2011, n. 201: "Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici", convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, cosidetta "norma Fornero del 2011, contenuta nel Decreto noto come "Salva Italia" del governo Monti) ha provveduto a limitare il meccanismo della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo erogato dall’INPS, talchè le pensioni di importo mensile superiore a 1405 € lordi/mese per il 2012 e 1441.56 € lordi /mese per il 2013 non possono beneficiare di alcuna rivalutazione;
Invece, per l’anno 2014 la Legge di Stabilità 147/13, ha posto un correttivo al blocco della perequazione prevedendo la rivalutazione delle pensioni con importo fino a tre volte il minimo pari al 100% dell’indice Istat, mentre l’adeguamento ha percentuali via via decrescenti per chi percepisce importi superiori al tre volte il minimo (più precisamente: nella misura del 90% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS quindi assegni compresi tra i 1.486 euro e 1.981 euro circa al mese; nella misura del 75% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS quindi assegni tra 1.981 e 2.475 euro circa; nella misura del 50% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS quindi assegni tra 2.475 euro circa e 2.973 euro lordi; per i trattamenti superiori a sei volte il trattamento minimo INPS ossia assegni oltre i 2.973 euro lordi, viene riconosciuta un importo fisso pari a 17,84 euro lordi.

Relativamente al blocco della perequazione per gli anni 2012 e 2013, sono emerse da subito alcune criticità per le quali sono stati presentati ricorsi giudiziali, tanto che i giudici del Tribunale di Palermo e delle Corti dei Conti di Emilia Romagna e Liguria hanno operato il rinvio alla Corte Costituzionale, che si è espressa con la sentenza 70/2015, censurando la normativa in parola e dichiarando l’illegittimità costituzionale del "Decreto Salva Italia" nella parte in cui prevede che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente a quelli di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, per i motivi che si riassumono brevemente qui di seguito:

Innanzi tutto la Consulta ha rilevato come il danno economico che i titolari dei trattamenti pensionistici hanno subito, ha interessato non solo il biennio di blocco della perequazione (2012 e 2013) ma anche tutto il futuro del pensionato, in quanto la noma censurata non ha previsto alcun "recupero" dell’incremento perequativo nell’anno seguente al blocco; in tal modo il danno si protrarrebbe continuativamente per gli tutti gli anni successivi.
La Corte ha infatti testualmente affermato: "Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato".

Da ciò se ne può dedurre che la Consulta, probabilmente, non avrebbe operato tale censura se il Legislatore avesse stabilito che, al termine del periodo di blocco della perequazione, il calcolo della rivalutazione fosse effettuato partendo da una base di pensione già "virtualmente" aumentata dell’importo di perequazione non corrisposto nel biennio; tale meccanismo di calcolo, infatti, avrebbe permesso al pensionato di non continuare a subire nel tempo gli effetti del blocco, cosa che, invece, si è verificata invece quando l’Inps ha ripreso ad erogare i trattamenti pensionistici, applicando sì la rivalutazione secondo l’indice corrente ma utilizzando come base di calcolo l’importo di pensione la cui rivalutazione si è fermata a due anni prima.

Nel secondo motivo di censura, la Corte ha rilevato come un siffatto sistema di blocco della perequazione automatica abbia leso irrimediabilmente il combinato disposto degli artt. 3, 36 e 38 della Carta Costituzionale nella parte in cui viene violato il principio di adeguatezza previsto per le pensioni ed inoltre il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione goduta nel corso della vita lavorativa. Infatti, non può non balzare all’occhio l’ingiusta discriminazione che è stata operata tra i percettori di pensioni superiori o inferiori a tre volte il minimo, essendo soltanto i primi esposti al rischio inflattivo, ciò in spregio al rapporto di proporzionalità costituzionalmente garantito.
Ancora a tal proposito, la Corte ha rilevato come "l’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.)".

Nell’ulteriore motivo di censura alla norma che ha posto il blocco della perequazione, la Consulta ha richiamato la propria sentenza 316/2010, nella quale, pur pronunciandosi per la legittimità costituzionale del blocco della perequazione previsto con L. 247/2007 per l’anno 2008, al contempo, dichiarò che : "la frequente reiterazione delle misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo espone il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure quelle di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta".
Con la richiamata pronuncia, la Consulta ha inteso segnalare che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo - ricordiamo che ciò è avvenuto nel 2008, nel 2012 , nel 2013 - incrina la principale finalità di tutela insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d’acquisto delle pensioni.

Per tutti i motivi sopra esposti, la Corte si è espressa pertanto per l’illegittimità costituzionale della norma che, secondo una prima stima dell'Avvocatura dello Stato, avrà un impatto rilevante sui conti pubblici e comporterà un esborso da parte dell’Inps di circa 1,8 miliardi, riferibili all’anno 2012 e altri 3 miliardi per gli importi relativi al 2013.

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di avv. Emilia Menditto

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