Il periodo entro cui correggere gli errori fiscali
Correggere gli errori fiscali si può, sia nell’ipotesi di maggiore che di minore imposta: risoluzione dell’Agenzia delle Entrate N. 57/E - 08.06.2015
L’Agenzia delle Entrate interviene per chiarire quanto già in precedenza delineato nella sua circolare 31/E del 24 settembre 2013, in materia di correzione di errore contabile/fiscale.
La circolare n. 31/E del 24 settembre 2013 ha fornito taluni chiarimenti sul corretto trattamento fiscale da applicare nell’ipotesi in cui si proceda a una correzione di errori contabili per mancata imputazione di componenti negativi e/o positivi nel corretto esercizio di competenza.
Più precisamente, per evitare fenomeni di doppia imposizione, è riconosciuta la possibilità di imputare fiscalmente il componente reddituale nel corretto periodo di competenza e di sterilizzarlo nel momento in cui è imputato in bilancio a seguito della correzione contabile.
In particolare, ai fini del riconoscimento dei componenti negativi emersi a seguito della correzione di errori, la circolare ha precisato che qualora l’annualità oggetto di errore non sia più emendabile con la dichiarazione integrativa a favore, occorre riliquidare autonomamente la dichiarazione relativa all’annualità dell’omessa imputazione e, nell’ordine, le annualità successive fino all’annualità emendabile ai sensi del citato articolo 2, comma 8-bis.
Per tale ultima annualità, il contribuente presenta apposita dichiarazione integrativa agli uffici dell’Amministrazione finanziaria, in cui devono confluire le risultanze delle precedenti riliquidazioni dallo stesso autonomamente effettuate.
La possibilità per il contribuente di rappresentare all’Amministrazione Finanziaria l’esistenza di elementi di costo non dedotti in precedenti annualità con la procedura sopra evidenziata deve, tuttavia, intendersi limitata ai soli periodi d’imposta ancora suscettibili di attività accertativa al momento di scadenza dei termini di presentazione della dichiarazione.
In particolare, il riferimento contenuto nella circolare in esame è al termine contenuto all’articolo 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui si afferma, al primo comma, che "gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione".
Al riguardo, si evidenzia che una "fisiologica" correzione di errori può essere consentita nei termini ordinari in cui le annualità sono "aperte", senza che possa rilevare il maggior termine di cui al comma 3 dell’articolo 43 del DPR n. 600 del 1973, disposto esclusivamente a favore dell’Amministrazione relativamente a fattispecie "patologiche" per le quali sussiste obbligo di denuncia penale.
In particolare, la finalità della disciplina del raddoppio dei termini di cui al predetto comma 3 dell’articolo 43, introdotto dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, è, tra l’altro, quella di garantire all’Amministrazione finanziaria l’utilizzabilità di elementi istruttori eventualmente emersi nel corso delle indagini condotte dall’Autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto ordinariamente per l’accertamento (cfr. circolare n. 54/E del 23 dicembre 2009 e circolare 28/E del 4 agosto 2006).
Pertanto, il più ampio termine di accertamento è previsto a vantaggio dell’Amministrazione Finanziaria al fine di poter utilizzare le risultanze delle indagini penali. Tale possibilità sarebbe altrimenti preclusa a causa della vigenza del c.d. doppio binario tra processo penale e procedimento amministrativo.
In tal senso si esprime anche la sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2011, n. 247, ove si afferma che la ratio legis del raddoppio dei termini risiede nel "[...] dotare l’amministrazione finanziaria di un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari [...]".
Di contro, la ratio sottesa al raddoppio dei termini, come sopra delineata, non appare trasponibile, per analogia, alla possibilità, attribuita al contribuente, di emendare la dichiarazione oltre i termini ordinari, qualora prorogati per effetto dell’astratta configurabilità di un reato, in ragione della circostanza che non può riferirsi al contribuente l’esigenza, propriamente funzionale solo all’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria, di godere di "un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari".
Sulla base delle osservazioni sopra formulate, si reputa che la Società, pur in presenza della segnalazione di uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, non possa utilizzare la procedura di correzione degli errori in bilancio di cui alla circolare n. 31/E del 2013 con riferimento al periodo d’imposta 2008, in quanto gli effetti del raddoppio dei termini operano esclusivamente a favore dell’Amministrazione finanziaria.
La circolare n. 31/E del 24 settembre 2013 ha fornito taluni chiarimenti sul corretto trattamento fiscale da applicare nell’ipotesi in cui si proceda a una correzione di errori contabili per mancata imputazione di componenti negativi e/o positivi nel corretto esercizio di competenza.
Più precisamente, per evitare fenomeni di doppia imposizione, è riconosciuta la possibilità di imputare fiscalmente il componente reddituale nel corretto periodo di competenza e di sterilizzarlo nel momento in cui è imputato in bilancio a seguito della correzione contabile.
In particolare, ai fini del riconoscimento dei componenti negativi emersi a seguito della correzione di errori, la circolare ha precisato che qualora l’annualità oggetto di errore non sia più emendabile con la dichiarazione integrativa a favore, occorre riliquidare autonomamente la dichiarazione relativa all’annualità dell’omessa imputazione e, nell’ordine, le annualità successive fino all’annualità emendabile ai sensi del citato articolo 2, comma 8-bis.
Per tale ultima annualità, il contribuente presenta apposita dichiarazione integrativa agli uffici dell’Amministrazione finanziaria, in cui devono confluire le risultanze delle precedenti riliquidazioni dallo stesso autonomamente effettuate.
La possibilità per il contribuente di rappresentare all’Amministrazione Finanziaria l’esistenza di elementi di costo non dedotti in precedenti annualità con la procedura sopra evidenziata deve, tuttavia, intendersi limitata ai soli periodi d’imposta ancora suscettibili di attività accertativa al momento di scadenza dei termini di presentazione della dichiarazione.
In particolare, il riferimento contenuto nella circolare in esame è al termine contenuto all’articolo 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui si afferma, al primo comma, che "gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione".
Al riguardo, si evidenzia che una "fisiologica" correzione di errori può essere consentita nei termini ordinari in cui le annualità sono "aperte", senza che possa rilevare il maggior termine di cui al comma 3 dell’articolo 43 del DPR n. 600 del 1973, disposto esclusivamente a favore dell’Amministrazione relativamente a fattispecie "patologiche" per le quali sussiste obbligo di denuncia penale.
In particolare, la finalità della disciplina del raddoppio dei termini di cui al predetto comma 3 dell’articolo 43, introdotto dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, è, tra l’altro, quella di garantire all’Amministrazione finanziaria l’utilizzabilità di elementi istruttori eventualmente emersi nel corso delle indagini condotte dall’Autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto ordinariamente per l’accertamento (cfr. circolare n. 54/E del 23 dicembre 2009 e circolare 28/E del 4 agosto 2006).
Pertanto, il più ampio termine di accertamento è previsto a vantaggio dell’Amministrazione Finanziaria al fine di poter utilizzare le risultanze delle indagini penali. Tale possibilità sarebbe altrimenti preclusa a causa della vigenza del c.d. doppio binario tra processo penale e procedimento amministrativo.
In tal senso si esprime anche la sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2011, n. 247, ove si afferma che la ratio legis del raddoppio dei termini risiede nel "[...] dotare l’amministrazione finanziaria di un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari [...]".
Di contro, la ratio sottesa al raddoppio dei termini, come sopra delineata, non appare trasponibile, per analogia, alla possibilità, attribuita al contribuente, di emendare la dichiarazione oltre i termini ordinari, qualora prorogati per effetto dell’astratta configurabilità di un reato, in ragione della circostanza che non può riferirsi al contribuente l’esigenza, propriamente funzionale solo all’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria, di godere di "un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari".
Sulla base delle osservazioni sopra formulate, si reputa che la Società, pur in presenza della segnalazione di uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, non possa utilizzare la procedura di correzione degli errori in bilancio di cui alla circolare n. 31/E del 2013 con riferimento al periodo d’imposta 2008, in quanto gli effetti del raddoppio dei termini operano esclusivamente a favore dell’Amministrazione finanziaria.
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