Tentativo di infiltrazioni mafiose: d.lgs.159/11


Accesso agli appalti pubblici ed anticipazione della tutela del bene protetto sino al mero tentativo, bilanciamento con diritti personali
Tentativo di infiltrazioni mafiose: d.lgs.159/11
L'antica saggezza recitava che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Non sempre, però, è così.
Non lo è certamente ai fini dell'esecuzione di lavori pubblici e della partecipazione ad appalti pubblici in caso di parentela con affiliati a clan mafiosi.
Ciò è quanto emerge dall'attenta lettura del d.lgs. 159/2011 che affida alla piena ed ampia discrezionalità del prefetto la decisione in ordine all'ammissibilità agli appalti pubblici di cognomi tristemente noti per affiliazioni mafiose.

Ma andando con ordine: il decreto legislativo ha come ratio evitare che si possano avere infiltrazioni mafiose nella gestione del bene - e del denaro - pubblico.
Ritenendosi primaria tale esigenza, a buona ragione, si anticipa così tanto la tutela da voler evitare il "tentativo" di infiltrazione mafiosa raggiungendo, dunque, ipotesi di pericolo non ancora oggettivamente presenti.

Ciò che il prefetto deve valutare è la sussistenza di fatti con carattere sintomatico ed indizianti del pericolo in senso oggettivo, considerando anche la struttura tipica dell'agire mafioso, che non sempre si avvale di mezzi fraudolenti o violenti ma, spesso, utilizza proprio strumenti leciti per ottenere ed incrementare il proprio fine.
Il Prefetto deve dunque valutare la condotta delle persone che possono condizionare le scelte e gli indirizzi della società che fa domanda di partecipazione ad appalti pubblici.
Il Prefetto dunque dovrà desumere convivenze e collegamenti di tipo mafioso, valutare circostanze di fatto e di diritto che hanno portato alla considerazione di possibili infiltrazioni nonchè riscontrare fatti e vicende sintomatici ed indiziari idonei a far emergere, al di là delle responsabilità penali, il pericolo di condizionamento.

Orbene, a fronte dell'amplissima discrezionalità in capo al prefetto ed anche all'anticipazione del pericolo e della condotta da vietarsi, viene spontaneo chiedersi quanto ciò sia corretto nei confronti di chi, pur non condividendo l'appartenenza mafiosa genitoriale o della famiglia cui porta il cognome, non condivide e non è implicato in nessuna manovra mafiosa.
Infatti, costoro si vedranno condizionati nelle proprie attività lavorative incontrando divieti per colpe che non gli appartengono e che gli vengono attribuite per il solo fatto di essere consanguinei con un appartenente al clan mafioso.
Ciò deve, dunque, porre un bilanciamento di interessi tra quanto legittimamente lo Stato intende vietare e prevenire e quanto, altrettanto legittimamente, vogliono essere riconosciuti i diritti di persone che con la mafia non condividono alcunchè se non, loro malgrado, fatti di qualche parente di cui portano il cognome.
Una riflessione, dunque, su quanto siano spesso presenti valori di grande rilevanza ed importanza in conflitto tra loro.

Avv. Irene Bonora

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di Avv. Irene Bonora

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