Risarcibilità del danno “da morte” o tanatologico


Sentenza n.15350 del 22/07/15 la Corte Cassazione a Sezioni Unite, danno “da morte” o danno tanatologico, risarcibilità iure hereditatis esclusa
Risarcibilità del danno “da morte” o tanatologico
Con la sentenza n.15350 del 22/07/15 la Corte Cassazione a Sezioni Unite dirime il contrasto sorto in giurisprudenza sulla risarcibilità iure hereditatis del danno "da morte".
Il danno "da morte" o danno tanatologico è il danno derivante dalla morte del soggetto a seguito di un’azione di terzi. Si parla di danno tanatologico in caso di decesso avvenuto nell'immediatezza del fatto altrui o comunque senza il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte.
Il danno tanatologico è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali nel corso degli anni: la Corte di Cassazione, sin dal 22/12/1925 con la sentenza n. 3475 ha affermato che "se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l'esistenza di unsubbietto di diritto". Con tale motivazione la Corte ha negato la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico per quasi un secolo, trovando conforto anche nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 372/1994).
Recentemente, tuttavia, la Corte di Cassazione (Cass. n.1361/2014) ha fornito un’interpretazione divergente, statuendo il principio per cui: "la perdita del bene vita, oggetto di un diritto assoluto ed inviolabile, è ex se risarcibile, nella sua oggettività, a prescindere pertanto della consapevolezza che il danneggiato/vittima ne abbia".
Con tale argomentazione la Suprema Corte sembra aver accolto il suggerimento della dottrina di considerare il danno da morte come tipologia di danno a sè, al pari dei danni morali, esistenziali e biologici. Senza dunque dover identificare la morte come limite estremo del danno alla salute, ma attribuendole una propria autonomia risarcitoria.
Alla luce del contrasto così venutosi a creare nella giurisprudenza di legittimità, nel 2015 sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15350/15.
Tale pronuncia costituisce l’esito di un giudizio di merito introdotto dai genitori e dalle sorelle di un soggetto deceduto in un sinistro stradale. I parenti del de cuius hanno chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nei confronti del danneggiante e della Compagnia assicurativa del veicolo coinvolto nel sinistro stradale. Nel merito, il tribunale di prima istanza (Trib. Di Cuneo) ha determinato il risarcimento pro quota agli attori, individuando tuttavia una concorrente responsabilità del danneggiato (pari al 30%) nel verificarsi dell’incidente; i giudici di Prime Cure hanno inoltre rigettato la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali futuri dei genitori del de cuius e del danno biologico iure hereditatis.
Successivamente la Corte di Appello di Torino ha confermato il concorso di responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro stradale valutando, però, ben più grave la responsabilità del danneggiante (80%). La Corte ha inoltre confermato il rigetto delle domande risarcitorie dei danni patrimoniali futuri e del danno biologico iure hereditatis.
La questione è approdata quindi dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità risarcitoria iure hereditatis del danno derivante da perdita della vita, verificatasi immediatamente dopo le lesioni riportate in un sinistro stradale.
La sentenza n.15350/15 ha ribadito la risarcibilità del danno da lesione del bene vita in capo al defunto, con conseguente trasmissibilità mortis causa dell’obbligazione risarcitoria agli eredi, qualora la morte si verifichi dopo un apprezzabile lasso di tempo (sebbene parte della giurisprudenza si riferisca ad un danno biologico terminale, mentre altra ad un danno catastrofale). Ed infatti tale particolare tipologia di danno viene qualificata come la dolorosa percezione che il soggetto leso ha dell’imminente fine della propria vita.
Per quanto attiene invece alla morte immediata o comunque avvenuta senza un apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni, le Sezioni Unite hanno ribadito che, poiché con il decesso i soggetti perdono la propria capacità giuridica (cioè la possibilità di essere centro di imputazione di situazioni giuridiche attive o passive), la morte non può trovare il titolare del diritto al suo risarcimento poiché nel momento stesso in cui essa si verifica il soggetto ipoteticamente destinatario del diritto al risarcimento perde la capacità di essere titolare di diritti, e quindi anche di trasmetterli agli eredi.
La Corte ha inoltre valutato il "sentimento sociale" che sembra richiedere al legislatore una riforma che riconosca il diritto al risarcimento del danno tanatologico iure hereditatis.
Tuttavia i Giudici di legittimità hanno sottolineato che una simile previsione non avrebbe altro esito se non quello di "far conseguire più denaro ai congiunti", in un sistema in cui la risarcibilità dei danni non ha né deve avere natura "punitiva", ma solo riparativa.
Né la tutela di interessi collettivi può essere annoverata tra le funzioni della responsabilità civile.
Ancora, le Sezioni Unite hanno ritenuto necessario smentire la spesso affermata formula "è più conveniente uccidere che ferire": ed infatti il mancato risarcimento del danno tanatologico iure hereditatis non impedisce certo ai congiunti del de cuius di ottenere un risarcimento iure proprio (ad esempio per perdita parentale), decisamente superiore a quello cui avrebbero diritto nel caso di mancato decesso.

Con tali motivazioni le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto opportuno confermare l’orientamento tradizionale, negante il risarcimento del danno tanatologico iure hereditatis, affermando che la sentenza 1361/2014 "non contiene argomentazioni decisive per superare l’orientamento tradizionale, che, d’altra parte, risulta essere conforme agli orientamenti della giurisprudenza europea con la sola eccezione di quella portoghese".

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di avv. Filippo Lo Surdo

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