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Fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno


Lo Stato anticipa l’assegno che non è stato versato dall’ex coniuge a chi versa in stato di bisogno
Fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno
La legge di stabilità per il 2016, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 30 dicembre 2015 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2016, istituisce, al comma 414, "in via sperimentale", un Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno.

Il comma 415, consente l’accesso alle risorse del Fondo al "coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi", allorché "non abbia ricevuto l’assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del codice civile per inadempienza del coniuge che vi era tenuto".

L’interessato può rivolgersi al "tribunale del luogo ove ha residenza" per chiedere l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo. L’istanza, se ritenuta ammissibile dal Presidente del Tribunale o dal giudice da lui delegato, viene trasmessa al Ministero della Giustizia ai fini della corresponsione. Il Ministero, dal canto suo, "si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate".

Il Fondo, come si è detto, mira a soddisfare le esigenze del coniuge che non abbia ricevuto "l’assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del codice civile", vale a dire l’assegno che il giudice stabilisce pronunziando la separazione a favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione stessa, affinché questi riceva "quanto è necessario al suo mantenimento", là dove non disponga di "adeguati redditi propri". E’ chiara pertanto la funzione assistenziale e solidaristica del provvedimento.

Il testo del comma 415 non sembra escludere la possibilità di ritenere soddisfatto il presupposto ora indicato — l’avvenuta concessione di un "assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del codice civile" — quando il provvedimento che ha stabilito l’assegno sia un provvedimento straniero reso in applicazione della legge italiana (e, specificamente, dell’art. 156 del codice civile), se efficace in Italia.

Per poter accedere al Fondo, il coniuge in stato di bisogno può presentare istanza al Tribunale del luogo di residenza. Il Presidente del Tribunale o un giudice da lui delegato assunte le informazioni del caso, valutata l’ammissibilità dell’istanza e la sussistenza dei presupposti - nel termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza- può accogliere il ricorso riconoscendo al coniuge ricorrente l’anticipazione della somma prevista per il versamento dell’assegno medesimo, oppure può rigettare il ricorso con decreto non impugnabile. Il procedimento, inoltre, non è soggetto al pagamento del contributo unificato.

Se l'idea di base è positiva, l'attuazione pratica del fondo presenta diverse criticità e sta già sollevando polemiche. A non essere vista di buon occhio, in particolare, è l'esclusione dalla fruibilità delle somme del coniuge divorziato, oltre, ovviamente, alle coppie di ex conviventi (che allo stato non sono titolari neanche di assegno di mantenimento).
L'anticipazione inoltre è prevista solo a chi dimostra di trovarsi in "stato di bisogno", ovvero a chi può provare di non poter provvedere alle proprie esigenze di vita.

E ciò apre le porte a due ordini di problemi: da un lato, infatti, ad un maggiore carico per i tribunali che saranno onerati da un'ulteriore competenza, in ordine alla valutazione dei requisiti per avere accesso al fondo, dall'altro ad un inevitabile rischio di abusi, visto che saranno le casse dello Stato ad anticipare le somme per il mantenimento (salvo rivalsa, nella pratica raramente esercitata) non può escludersi il pericolo di frodi per ottenere un sussidio non dovuto.

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