Droghe, intelligenza e disturbi emotivi


Disturbi dell'intelligenza in relazione a fattori emozionali e uso di sostanze
Droghe, intelligenza e disturbi emotivi
In un recente lavoro scientifico pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences, di cui riferisce L'Huffington Post del 20/1/16, si è tentato di rovesciare una credenza comune, anche a livello scientifico, che riguarda gli effetti dell'uso di sostanze stupefacenti (dall'alcool alle droghe pesanti). Si è sempre pensato che l'uso di tali sostanze venisse a compromettere le facoltà intellettive dei soggetti in questione, provocando un decremento delle facoltà intellettive, il Q.I.. In questo lavoro si ribalta la questione, venendo ad affermare che è chi possiede un basso Q.I. che fa uso di sostanze stupefacenti. Quindi il basso Q.I. non sarebbe un effetto, ma una causa del consumo di droghe.
Dal mio punto di vista di psicoanalista, posso affermare che tanti anni di pratica clinica mi hanno portato ad avere scarsa fiducia nella psicometria che offre un valore di Q.I., in quanto l'intelligenza delle persone possiede delle qualità che in primo luogo non sono misurabili tramite artifici testistici, e in secondo luogo subisce delle continue variazioni dipendenti dalle situazioni attuali emotive ed esistenziali del soggetto. In pratica succede che persone dotate anche di un notevole livello culturale e di alto profilo intellettivo, diventino inabili intellettualmente in certi settori della loro vita in relazione a situazioni emotivamente conflittuali o altamente turbolente.
Per quel che concerne l'uso di sostanze stupefacenti la questione è più complessa ancora. L'uso di queste sostanze può essere motivato da diverse ragioni. Il vecchio detto "beve per dimenticare" continua ad avere un suo indiscutibile valore: le sostanze che alterano lo stato ed il tono dell'esperienza mentale ed emotiva vanno a soddisfare il bisogno di fuga da una realtà psichica intollerabile per il soggetto. Così situazioni di ansia e angoscia, di depressione, di confusione possono essere "evitate" attraverso questo espediente. Come è facile intuire, tale evitamento è solo fantasticato, in quanto il confronto con tali esperienze è solo posticipato. Da qui il possibile instaurarsi di un circolo vizioso, in cui si incrementa sempre l'uso di sostanze.
Nei giovani si assiste, purtroppo, sempre più spesso ad un uso delle droghe per sfuggire la noia. La noia si può individuare in uno stato mentale di mancanza di interessi, di scopi, di partecipazione appassionata alla propria vita, di relazioni significative, che è il frutto di una crescita segnata da uno stato di analfabetismo affettivo. Con questo intendo una crescita mentale deficitaria nella capacità di vivere e sviluppare emozioni e relazioni emotivamente significative, determinata generalmente da solitudine intesa come mancanza di un dialogo profondo, ovvero di riconoscimento delle emozioni che il bambino e poi l'adolescente si trovano a vivere nel corso del proprio sviluppo.
L'analfabetismo affettivo diviene io credo un punto sempre più urgente da affrontare a livello sociale, in quanto questo tipo di crescita comporta anche che si vengano a perdere i valori etici delle relazioni. L'etica delle relazioni nasce sulla base della capacità del soggetto di sentirsi uguale all'altro, sulla base quindi di un'identificazione. Tale identificazione è possibile nella misura in cui il soggetto stesso si è sentito capito sulla base di un'identificazione, da parte della madre in primis, e del suo ambiente originario in generale. Nella solitudine, viceversa, la possibilità di darsi sostegno e comprensione avviene solo di fronte a se stesso, in una situazione "narcisistica", dove il valore è dato solo da ciò che soddisfa il sè, al di là di ogni relazione. Lo sviluppo di un'etica in questo contesto avviene in modo paradossale, per cui la regola è solo ciò che fa piacere al soggetto, e l'altro può essere sentito come strumento o ostacolo, ma senza dignità.
E' ovvio che un'etica "narcisistica", che non si basa sull'identificazione con l'altro, ma solo sul piacere immediato del soggetto, non può essere "intelligente". Per fare un esempio noto a tutti ed estremo possiamo citare Eichmann, il gerarca nazista analizzato da Hannah Arendt in "La banalità del male", che di fronte alle accuse di genocidio rispondeva, ottusamente, "Ho solo obbedito a degli ordini". O andando a fatti di cronaca più recenti, uccidere un amico per vedere "l'effetto che fa" ...

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di Luca Trabucco

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