Animali domestici in condominio dopo la riforma


Il padrone di casa vieta all’inquilino la detenzione di animali domestici. La clausola potrebbe essere nulla
Animali domestici in condominio dopo la riforma
A seguito della modifica dell’art. 1138 del Codice Civile ad opera dell’art. 16 della Legge 11 dicembre 2012 n. 220 - cosiddetta Riforma del condominio -, è stato sancito il divieto di inserire nelle norme dei regolamenti condominiali, ovverosia le norme che disciplinano la vita condominiale, qualunque clausola che impedisca ai condomini di possedere o detenere animali domestici e da compagnia.

Ma qual è la reale portata di questa novità legislativa? In che termini questa è applicabile ai contratti di locazione? Rispondere a tali domande non ha conseguenze di poco conto, a fronte di un tema oggi molto sentito e di una certa rilevanza pratica nella vita quotidiana, posto nel 2015 è stato calcolato in ben 60 milioni il numero degli animali domestici presenti sul territorio nazionale.

Sia chiaro sin d’ora che la nuova normativa non concede affatto a tutti gli animali libero ed incondizionato accesso in ogni condominio o nelle case in affitto. Per questo è opportuno fare chiarezza affinché i proprietari di animali possano evitare di incappare in sgradite sorprese, poiché la materia è piuttosto complessa e a quasi quattro anni dall’entrata in vigore della norma, quest’ultima è ancora soggetta ad una molteplicità di interpretazioni, a causa di un’infelice formulazione lessicale del dettato normativo.
In primo luogo, occorre accertare a quali tipi di regolamento condominiale si possa applicare la nuova norma. In proposito, occorre distinguere tra:

1) regolamento condominiale ordinario, ovvero quello approvato in forza dell'art. 1138, comma 4, Codice Civile, dalla sola maggioranza dei partecipanti, che, per costante orientamento giurisprudenziale, non può imporre limitazioni alle facoltà di godimento comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà (v. Cass. II sez. civ. n. 12028 de l4 dicembre 1993), posto che tale possibilità esula dalle attribuzioni dell'assemblea condominiale, alla quale è conferito unicamente il potere regolamentare di gestire la cosa comune, disciplinandone l'uso e il godimento.

2) regolamento condominiale contrattuale (che spesso si trova già inserito nell'atto di compravendita dal costruttore-venditore e accettato e sottoscritto da tutti i condomini al momento del rogito) che, adottato dall’unanimità dei condomini, può legittimamente prevedere divieti o limitazioni ai diritti dei condomini sulle parti comuni oppure su quelle di loro esclusiva proprietà, impedendone un determinato uso o vietando di destinarle a particolari attività ritenute moleste per i condomini: si pensi al divieto di destinare le unità immobiliari a una determinata attività oppure di detenere animali.

Nel silenzio della norma (che i lavori in Commissione parlamentare hanno definito "quantomeno equivoca"), che non distingue tra regolamento ordinario o contrattuale, in forza dello spirito dei lavori preparatori alla stessa e della sua collocazione sistematica all’interno dell’articolo che disciplina proprio il regolamento condominiale ordinario, si può ritenere che il divieto in parola riguardi solo questi ultimi, tenendo sempre presente che -in ogni caso- la facoltà di detenere animali domestici può astrattamente integrare la fattispecie prevista dall’articolo 844 del Codice Civile, relativa alle immissioni moleste e intollerabili, tali da pregiudicare gli altri condomini: si pensi ad un cane rinchiuso in appartamento che abbai per tutto il giorno o durante la notte.

In sintesi: la detenzione degli animali domestici rientra nelle facoltà di godimento del proprietario dell’immobile: per questo motivo il divieto di detenere animali non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali ordinari approvati dalla maggioranza dei partecipanti, poiché, come detto, questi non possono imporre limitazioni alle facoltà di godimento comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà.
Viceversa, un regolamento condominiale contrattuale, da approvarsi con il consenso unanime di tutti i condomini ben potrebbe limitare le facoltà di godimento comprese nel diritto di proprietà, tra cui la possibilità di detenere animali.
Di più. La giurisprudenza di merito (v. Trib. Lecco, 9 febbraio 2012) ha già precisato che i regolamenti di natura contrattuale non richiedono nemmeno il disturbo effettivo, la molestia o l’immissione intollerabile, poiché il divieto di tenere animali ha, nel caso specifico, un valore preventivo ed assoluto.
Per questo motivo, anche qualora non si verifichi un disturbo effettivo ai condomini, tale divieto risulta vincolante in quanto è inserito in un atto di natura contrattuale: ovverosia, il divieto diventa una servitù con la quale il singolo condomino accetta espressamente una limitazione della facoltà di godimento di una sua proprietà nei confronti di determinate altre persone.
Chiarito l’ambito applicativo della norma, molti sostengono che il nuovo comma 5 dell’art. 1138 c.c. costituisca, in realtà, una previsione del tutto inutile, poiché non ha introdotto nell’ordinamento un nuovo principio giuridico, ma ha ribadito un orientamento giurisprudenziale precedente: in effetti la Corte di Cassazione (Cass. sez. II Civ., 15 febbraio 2011 n. 3705), chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole del regolamento condominiale che avessero previsto limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, aveva già statuito che il divieto di detenere animali negli appartamenti di un edificio condominiale non potesse essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, non potendo tali regolamenti disporre delle limitazioni alle facoltà di godimento connesse con il diritto di proprietà dei singoli condomini sulle porzioni di fabbricato appartenenti agli stessi in proprietà esclusiva.
E vero, quindi, che la nuova previsione del comma 5 dell’art.1138 Codice Civile non muta nulla rispetto al passato, poiché essa si applica solo ai regolamenti di tipo assembleare esattamente come è sempre stato, mentre permane la legittimità del divieto contenuto in una clausola del regolamento di tipo contrattuale, che risulta essere l’unico ad avere la capacità di imporre un divieto o una limitazione alle proprietà esclusive e alle facoltà connesse, fatto salvo che le stesse siano formulate in modo espresso e non equivoco, in modo da evitare qualunque margine d’incertezza relativamente al contenuto ed alla portata delle relative disposizioni, a pena di invalidità.
Infatti a fronte di un divieto pur contrattualmente stabilito, rimane comunque l’obbligo di verificare la meritevolezza degli interessi tutelati dal divieto stesso: infatti, in forza del contenuto precettivo dell’art. 1322, comma 2, Codice Civile ("le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico") è sempre necessario che le clausole del regolamento condominiale siano socialmente apprezzabili e di conseguenza meritevoli di protezione giuridica.

In tal senso, ben potrebbe essere ritenuta invalida una clausola regolamentare troppo generica che ritenesse di proibire l’indiscriminata detenzione di qualunque specie di animale, come uccellini da gabbia, pesci d’acquario o piccoli roditori (criceti, cavie e conigli), in relazione ai quali di certo non si porrebbe la questione dell’utilizzazione delle parti comuni, posto che tali animali sono destinati a rimanere perennemente all’interno delle singole proprietà esclusive dei condomini.
È evidente che la norma di cui all’art. 1138 del Codice Civile debba riferirsi a cani e gatti o comunque agli animali domestici in grado di interagire in senso lato con gli altri condomini, eventualmente pregiudicando la salute o la tranquillità degli stessi.

I contratti di locazione di immobili in condominio e la detenzione di animali

Un contratto di locazione che vieti la presenza di un animale domestico all’interno dell’immobile condominiale locato, può presentare profili di invalidità? La risposta è: dipende.
La nuova normativa, così come formulata, non regola specificamente il caso dell’inquilino che voglia detenere un animale domestico o da compagnia all’interno dell’immobile condominiale a lui concesso in locazione. Anche in questo caso, occorre distinguere se la vita condominiale sia disciplinata da un regolamento ordinario oppure da uno contrattuale.

In caso di regolamento ordinario, valgono le considerazioni sopra svolte: in forza del principio di libertà del singolo condomino di poter godere e disporre della propria proprietà esclusiva, la detenzione degli animali domestici rientra nelle facoltà di godimento del proprietario dell’immobile, fatto salvo che la detenzione di un animale possa astrattamente integrare la fattispecie prevista dall’articolo 844 del Codice Civile; per tale motivo, il divieto di detenere animali non potrebbe essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali ordinari approvati dalla sola maggioranza dei partecipanti.
In tale ipotesi, permane la libertà del proprietario di consentire o vietare al conduttore la detenzione di animali nel contratto di locazione, che -rappresentando un atto di natura privata- diverrebbe vincolante in caso di accettazione da parte del conduttore.

In presenza di un regolamento contrattuale, quest’ultimo vincola il proprietario dell’unità immobiliare e, di conseguenza, anche il conduttore della medesima.
Certo, il condomino/locatore resta il principale destinatario delle clausole del regolamento e, conseguentemente, sarà costui il responsabile delle dirette violazioni delle stesse norme da parte del conduttore dell’immobile che voglia detenere animali domestici in condominio.
In tale ipotesi, sarà onere del proprietario/locatore imporre al proprio conduttore, attraverso gli strumenti del diritto contrattuale, il rispetto dei divieti previsti dal regolamento contrattuale o agire in via anticipata per prevenirne le inosservanze, eventualmente anche attraverso la cessazione anticipata del rapporto locatizio.

Se quindi l’attuale normativa pare aver sdoganato il diritto alla libera detenzione e/o possesso di animali domestici in condominio, la realtà giuridica depone a sfavore di questo diritto nei termini esposti: pertanto lo slogan "vietato vietare gli animali in condominio" pare non solo errato ma anche fuorviante.

Certamente, la portata di eventuali divieti contenuti sia nei regolamenti condominiali che nei contratti di locazione andrebbe valutata, oggi, anche alla luce delle regole di convivenza e di un nuovo modo di intendere la natura dell’animale domestico, non più semplice quale cosa, ma quale essere senziente il cui rispetto e la cui tutela deve essere garantito per legge.
Già nel 2004 il legislatore ha posto le basi per un riconoscimento giuridico "indiretto" a questa particolare forma di diritto (la legge n. 189 del 2004 di riforma del codice penale ha introdotto gli artt. 544 bis e seguenti, che puniscono i delitti di animalicidio e maltrattamento di animali, così tutelando il "sentimento per gli animali").
Recentemente, la legge 4 novembre 2010, n. 201, ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, seguita da giurisprudenza di merito che ha ritenuto che il sentimento per gli animali abbia protezione costituzionale e che sia legittimo riconoscere la sussistenza di un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia nell’ambito dell’ordinamento giuridico (Trib. Varese sez. I 7 dicembre 2012).
Si potrebbe ritenere che il legislatore abbia tenuto conto di tutte queste modifiche legislative anche nell’ambito della riforma del condominio stabilendo all’art. 1138 comma 5 un principio di relativa inviolabilità del diritto all’animale di affezione, ma d’altro canto non ha ritenuto di sancire una espressa limitazione dell’autonomia negoziale privata, qualora essa si ponga in contrasto con il diritto all’animale da compagnia, circostanza che al momento nemmeno la giurisprudenza si è spinta ad ammettere.

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di Avv. Andrea Bondioli

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