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Valore delle istruzioni della Banca d'Italia


Le ragioni che inducono a ritenere che le istruzioni della Banca d'Italia non sono fonti del diritto in tema di calcolo del Teg del contratto di mutuo
Valore delle istruzioni della Banca d'Italia
Spesso la difesa delle banche si fonda sull’assunto che le Istruzioni della Banca d’Italia escludono o ammettono una certa commissione e/o una certa spesa tra quelle da sommare al tasso di interesse corrispettivo, al fine di calcolare il TEG da confrontare con il tasso soglia. Chi sostiene questo assunto considera le Istruzioni della Banca d’Italia fonti del diritto.
Lo Scrivente ritiene che, seppur non si volesse negare la loro natura di fonti del diritto (anche se qualche dubbio potrebbe sorgere visto il soggetto giuridico che le emana), appare pacifico che, a tutto voler concedere, si tratta di norme contenute in disposizioni di grado subordinato risposto a quelle contenute nella disposizione di cui all’art. 644 c.p. che ha un contenuto stringente e che, pertanto, non può essere derogata (ma a limite integrata) dalle Istruzioni della Banca d’Italia.
Per essere più chiari: è evidente che le Istruzioni della Banca d’Italia possono, a limite, chiarire le singole voci di costo da considerare nel calcolo del TEG ma non possono, in alcun modo, vietare che alcuni dei costi e delle remunerazioni discendenti e correlate, strettamente, all’erogazione del credito (o della somma concessa mediante il contratto di mutuo) siano escluse da detto calcolo.
Ciò è fondato su ragioni logiche e contabili ancor prima che di diritto.
Quanto alle ragioni logiche e contabili, esse conducono ad affermare che le Istruzioni della Banca d’Italia sono del tutto estranee al calcolo del TEG del singolo contratto.
Le formule indicate dalla Banca d’Italia sono dettate per il rilevamento dei tassi medi (il c.d. TEGM) ed, in quanto tali, non sono adeguate per il calcolo del TEG del singolo contratto che, per sua natura, non costituisce un dato statistico ma l’indice del reale costo del finanziamento.
Nel primo caso, siamo di fronte ad un calcolo volto a rilevare un dato statistico (il tasso medio che costituisce la base di calcolo per il tasso soglia) mentre, nel secondo caso, parliamo di un calcolo che indica quanto è costato al cliente un certo mutuo (o finanziamento).
In caso contrario, non avrebbe neppure senso (se non quello di favorire le banche, indiscriminatamente) il metodo di calcolo del tasso soglia.
Com’è noto, dal 14 maggio 2011, il limite oltre il quale gli interessi sono ritenuti usurari è calcolato aumentando il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite ed il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali. Tale metodo di calcolo è stato introdotto dal d.l. 70/2011, che ha modificato l'art. 2, comma 4 della legge 108/96, che determinava il tasso soglia aumentando il TEGM del 50%.
L’aumento della metà del valore del tasso medio (all’epoca della stipula del contratto che ci occupa) ovvero di un quarto (dopo il D.L. 14.05.2011), per calcolare il tasso soglia, ha proprio il fine di tenere conto del fatto che, nel calcolo del TEG, sono indicate delle voci di costo che nell’ambito della rilevazione statistica (e quindi del TEGM) non sono considerati.
E’ per tale ragione che le due formule non possono coincidere: in caso contrario, è come se nel raffronto applicassimo l’aumento solo ad uno dei due termini di paragone (il tasso soglia) e non tenessimo conto dei reali costi che il cliente ha dovuto sostenere.
In pratica:
il TEG è il risultato che si ottiene aumentando il tasso di interesse contrattuale con tutte le commissioni, spese e commissioni connesse e conseguenti all’erogazione del credito;il tasso soglia è il risultato che si ottiene aumentando il TEGM del coefficiente forfettario stabilito dalla legge (prima 50% del suo valore ora 25% del suo valore più ulteriori 4%).
La ragione del diverso metodo di calcolo risiede, proprio nella ragione che si diceva poco sopra: il TEG è il calcolo concreto del costo di un dato contratto di mutuo (o finanziamento) mentre il tasso soglia è (alla stregua del TEGM) un rilevamento statistico.
E’ chiaro che un metodo nel quale si applica la stessa formula a due entità ontologicamente diverse appare, prima che illogico, iniquo e non veritiero, soprattutto, se al TEGM si applicasse l’aumento forfettario di legge mentre al TEG non si applicasse l’aumento costituito da alcune delle reali remunerazioni percepite e/o pattuite con la banca ovvero alcuni dei reali costi sopportati e/o pattuiti dal Cliente.
Il ragionamento di questo difensore è assolutamente condiviso da alcune delle principali Corti di merito italiane; al riguardo, si segnala che il Tribunale di Torino, riferendosi alle Istruzioni della Banca d’Italia ha statuito che:"... non sono dettate a fine di indicare in generale come debba essere conteggiato il TEG, ossia il tasso effettivo globale applicato dalla banca sulla singola operazione con il cliente, ma sono rivolte alle banche e agli operatori finanziari per rilevare il TEGM, ossia il tasso effettivo globale medio applicato per operazioni omogenee in un determinato periodo..." (per tutte Corte d’Appello di Torino, sentenza del 20.12.2013, su www.ilcaso.it). Ancora, in conformità a quanto sopra, si cita Corte Appello di Milano 14.03.2014:" ...La disposizione di cui all'articolo 644 c.p. prevede che nella determinazione del tasso di interesse usurario debba tenersi conto di tutte le spese collegate alla erogazione del credito, per cui non vi sono dubbi che il costo della polizza assicurativa sia connesso all'erogazione del credito qualora la stipulazione della polizza sia contestuale alla erogazione del finanziamento, con la precisazione che, a tal fine, non ha rilievo la circostanza che la polizza venga contratta per autonoma scelta del soggetto finanziato, in quanto il dettato normativo non fa alcuna distinzione tra l'ipotesi in cui la polizza si obbligatoria è quella in cui sia, invece, facoltativa; si deve, poi, ricordare che l'interpretazione dell'articolo 644 citato prescinde dalle istruzioni emanate dalla Banca d'Italia, le quali, non avendo natura di fonti normative, non sono vincolanti per l'autorità giurisdizionale..." (cfr. Corte d’appello di Milano 14.03.2014, in ilcaso.it, Giurisprudenza, 10220).
Quanto alle ragioni giuridiche, come si diceva sopra, le Istruzioni della Banca d’Italia possono essere considerate (a limite) fonti del diritto di rango secondario rispetto all’art. 644 c.p.
L’art. 644, III comma c.p. statuisce che: "Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito".
Affermare che le Istruzioni della Banca d’Italia possano derogare al disposto sopra riportato, escludendo alcune commissioni e/o remunerazioni e/o spese collegate all’erogazione del finanziamento, equivale ad affermare che una disposizione di rango secondario può derogare ad una di rango primario, in un sistema, come il nostro, nel quale la gerarchia delle fonti del diritto è rigida, ossia, vige il dogma dell’inderogabilità della legge superiore da parte della legge inferiore.
Tale affermazione è, giuridicamente, inaccettabile e chiunque affermi il contrario viola un dogma posto a fondamento delle fonti del diritto non solo nel nostro ordinamento ma in tutti gli ordinamenti nei quali il sistema delle fonti del diritto è rigido, come nel nostro.
Tale problema non è superabile, pertanto, se non con una forzatura, o meglio, con uno stravolgimento della lingua italiana che confonda il concetto di integrazione della disposizione di rango primario ad opera di quella di rango secondario con il concetto, ben diverso, di deroga.
Visto il testo della disposizione di cui al comma terzo dell’art. 644 c.p. affermare che la Banca d’Italia possa escludere (con le proprie Istruzioni) qualche remunerazione e/o commissione e/o spesa costituisce una deroga inaccettabile ai principi sopra enunciati: Banca d’Italia non può escludere alcunché perché, come ha evidenziato il Giudice di merito, nella seconda delle pronunce citate, sopra, spetta al Giudice di merito (e solo a lui) valutare, caso per caso, quali commissioni e/o spese siano state pagate e/o pattuite contestualmente ed in ragione dell’erogazione del credito.
Il Giudice, sulla base di quanto statuito dall’art. 644, comma III, c.p. valuta liberamente se una spesa e/o commissione e/o remunerazione, connessa all’erogazione del credito, sia, o meno, fra quelle, espressamente, escluse dall’ultima parte della disposizione in commento ed, in caso contrario, la considera nel calcolo del TEG da porre a confronto con la soglia rilevata.
Le Istruzioni della Banca d’Italia, pertanto, devono essere estranee al ragionamento del Giudice che non può porle a fondamento della propria decisione.
Chi sostiene il contrario, non è capace di superare, se non arroccandosi dietro all’asserita autorevolezza della Banca d’Italia, il problema giuridico della gerarchia delle fonti. Problema che, a parere di chi scrive, non sussiste allorquando si accolga un’interpretazione, costituzionalmente orientata delle disposizioni in commento, che riconosca al Giudice il ruolo di unico interprete della legge e di unico organo deputato a sussumere il caso concreto nella disposizione di cui all’art. 644 c.p., a cui viene posto, quale unico "paletto" interpretativo, il rispetto della gerarchia delle fonti e dei principi costituzionali, in materia.

Se si utilizza questo metodo, scevro da ideologie e logiche estranee all’interpretazione del diritto, si giunge a conclusioni logiche e ad un risultato veritiero nel quale il TEG è, effettivamente, il risultato di un calcolo matematico che tiene conto di tutto ciò che è stato veramente pagato e/o pattuito dal Cliente (escludendo, come imposto dalla legge, solo ciò che è espressamente escluso dall’art. 644 c.p.).

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