Il principio del doppio binario “deragliato”


Lo statuto del contribuente fra sistema penale e tributario
Il principio del doppio binario “deragliato”
Si sente sempre più spesso parlare di doppio binario sanzionatorio in materia di illecito penale-amministrativo, l’argomento è di notevole interesse, considerato che accarezza diversi ambiti del diritto, da quello penale a quello tributario, passando per quello comunitario.
Venuto meno il regime della pregiudiziale tributaria, i rapporti tra procedimento penale e processo tributario sono ora regolati dal principio del "doppio binario", secondo il quale, nel caso in cui siano instaurati contemporaneamente, riguardo a medesimi fatti (ex art. 20 D.lgs. n.74 del 2000) da un lato il procedimento di accertamento tributario e dall’altro quello penale, non è più necessario che uno dei due venga automaticamente sospeso. Si configura dunque, una "fisiologica" autonomia dei procedimenti penale e tributario, nella quale l'Amministrazione finanziaria, anche a fronte di un illecito penalmente rilevante, debba comunque irrogare la sanzione amministrativa, salva solo la possibilità di sospenderne l'esecuzione fino all'esito del giudizio penale. D'altra parte, l'avvio (e addirittura la conclusione con provvedimento definitivo) del procedimento amministrativo non impedisce la celebrazione del processo penale.
Vanno dunque analizzate, in particolare, le implicazioni con riferimento all'istruzione probatoria.
Nel nostro ordinamento, ad esempio, il regime delle prove (quanto ad acquisizione e valenza) è differenziato per i due processi (tributario e penale).
Invero, se nel corso delle attività ispettive emergano indizi di reato, nel procedimento penale, differentemente dall’accertamento tributario, si devono obbligatoriamente seguire le disposizioni del codice di procedura penale. Nel processo tributario invece, non qualsiasi irritualità nell'acquisizione degli elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale comporta, di per sé, l'inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi tuttavia, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale.
In termini pratici, tutto ciò sta a significare che si riscontra un’asimmetria difensiva in capo ai contribuenti, i quali non ricevono adeguata tutela. È il caso degli accessi, delle ispezioni e delle verifiche effettuate dai verificatori fiscali (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza), dato riscontrabile dall’analisi delle più importanti pronunce della giurisprudenza di merito e legittimità.
Un dato è incontrovertibile, la mancanza di una reale parità delle armi tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti trova la sua massima espressione proprio nel corso della verifica fiscale.
In punto di diritto, le prove acquisite a seguito di un accesso, non autorizzato o non debitamente autorizzato, sono inutilizzabili e tale vizio di legittimità può arrivare fino a inficiare l’intero accertamento. Tuttavia la giurisprudenza tributaria, a differenza di quella penale, ammette le prove, e più in generale i documenti acquisiti per effetto di un procedimento illegittimo o viziato. Laddove invece nel processo penale, secondo quanto disposto dall’art. 191 c.p.p. "le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate". La domanda che si sono poste le Sezioni Unite (Sentenze n. 16424/2002 e 6315/2009) ha riguardato proprio questo aspetto, vale a dire l’estensione del principio ex art. 191 c.p.p. al processo tributario, quesito ad oggi ancora irrisolto.
Lo si può riscontrare anche dall’esame del leading case riguardante la cd. "lista Falciani", di forte impatto mediatico, infatti sono considerati "utilizzabili" i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana ai sensi della Direttiva 77799/Cee, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene siano acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria (S.C. Ordinanza n.8605 del 28.04.2015).
Le conseguenze sono evidenti, tralasciando i tempi, sicuramente più brevi del processo tributario, rispetto a quello penale, si creano dei veri e propri "buchi di tutela" in capo ai contribuenti.
Quid pluris, le conseguenti statuizioni tributarie, non fanno altro che influenzare il giudice penale, il quale "pregiudicato" si sarà fatto un’idea basata su accertamenti irrituali, perché non rispondenti ai canoni previsti dal nostro codice di rito.

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di Avv. Gianluca Iaione- Dott. P. G. Caputo

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