Anatocismo: Sent. Cass. N. 17150 del 17/08/2016
Nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito
La Corte di Cassazione, con pronuncia n. 17150 del 17/08/2016, ha sottolineato che, nelle controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista, nelle quali si eccepisce:
a) la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito in conto corrente;
b) che il contratto sia stato negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000;
Una volta che il giudice abbia dichiarato la nullità di detta clausola, la Banca non può applicare la capitalizzazione annuale degli interessi perché questi si sottraggono a qualunque tipo di calcolo capitalizzato, essendo stata precedentemente dichiarata la nullità della clausola che avrebbe legittimato la capitalizzazione.
La Corte di Cassazione ha dunque rafforzato giuridicamente la posizione del cliente che sia stato oggetto di anatocismo bancario.
Si rammenta infatti che nell’ordinamento è presente un divieto di anatocismo, ex art 1283 c.c, il quale dispone che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi" .
La norma in questione ha la sua ratio nel prevenire l’elusione del divieto d’usura: se l’anatocismo fosse consentito, infatti, pur essendo stato pattuito tra cliente e banca un tasso non usuraio, il debito per sua stesa natura - capitalizzando interessi su interessi - diventerebbe ultrausuraio.
La precedente giurisprudenza di merito era spesso stata di diverso avviso, riconoscendo erroneamente la natura di usi normativi delle clausole contrattuali e ha sovente affermato la legittimità di tali clausole con cui nel contratto di conto corrente si prevedeva la capitalizzazione degli interessi alla chiusura del conto (di solito ogni trimestre, ma in casi specifici anche ogni mese).
La sentenza numero 17150 del 17 agosto 2016 rappresenta lo spartiacque per la materia in questione.
Infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato dei principi di diritto che sembrano porre fine all’eccessive manovre oscure e poco limpide compiute dalle Banche, circa la capitalizzazione composta degli interessi e, in generale, riguardante la materia dell’usura dei contratti bancari.
Va precisato che, nel caso di specie, la banca convenuta ha dato atto di aver depositato prova dell’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso di adeguamento alla delibera C.I.C.R. del 2000, ma tale documento non è stato rinvenuto nel fascicolo di parte. In ragione di ciò non vi è nessuna prova dell’avvenuto adeguamento, né è possibile valorizzare a tal fine la comunicazione di adeguamento.
Ciò sia perché la delibera C.I.C.R. prevedeva che l’adempimento avrebbe dovuto essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, sia perché non vi è alcuna prova che tale avviso sia stato effettivamente notificato al correntista e dunque reso a lui opponibile.
Del resto, come affermato da costante giurisprudenza, tutte le comunicazioni non rese ai clienti in conformità alle normative nazionali e comunitarie intervenute in merito sono da considerarsi nulle.
Inoltre, nella pattuizione modificativa delle condizioni economiche del rapporto intervenuta in data 7/4/2000 non era possibile rinvenire traccia di una nuova regolamentazione anche della periodicità di capitalizzazione pattuita nel 1992.
La Corte dunque, in ossequio al principio di diritto sancito da due sentenze (la n. 21080 del 2005 e la n. 24483 del 2013) ha affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d'interesse o che prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421cod. civ.,senza che ciò possa tradursi in una violazione del principio della domanda e del contraddittorio.
Con riferimento ad altre due sentenze (Sez. 3, Sentenza n. 6550 del 2013; Sez. 3, Sentenza n. 2140 del 2006), la Corte ha sancito e riaffermato che le norme che prevedano espressamente la nullità di patti contrattuali che calcolino gli interessi facendo un espresso rinvio agli usi, o che fissano la misura in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura, non sono retroattive, e pertanto non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti stessi, ma possono soltanto implicarne l'inefficacia "ex nunc", rilevabile solo su eccezione di parte.
Tali clausole non operano, dunque, quando il rapporto giuridico si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme ed il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato anteriormente.
Indi per cui ogni qualvolta che si tratti il tema riguardante gli interessi usurari, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali e che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da spingersi oltre la soglia dell’usura[1], pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi, sulla base di un semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, ovvero che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell’entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch’esso cristallizzato precedentemente.
Attraverso tale pronuncia la Cassazione ribadisce con veemenza la posizione di tutela del cliente dal perpetrarsi di continue violazioni, da parte degli istituti di credito, del divieto di anatocismo. Viene dato infatti un ulteriore strumento di tutela, rappresentato dall’irretroattività delle clausole di capitalizzazione. Data la nota tendenza degli istituti di credito ad applicare tali norme secondo le proprie posizioni, è evidente come tale pronuncia apra la strada a nuovi metodi di accertamento dell’anomalia bancaria, con conseguenze rilevanti dal punto di vista della tutela del cliente.
[1] introdotte, rispettivamente, con l’art. 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfuso nell’art. 117 del d.lgs. 1 °settembre 1983, n. 385, e con l’art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108
a) la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito in conto corrente;
b) che il contratto sia stato negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000;
Una volta che il giudice abbia dichiarato la nullità di detta clausola, la Banca non può applicare la capitalizzazione annuale degli interessi perché questi si sottraggono a qualunque tipo di calcolo capitalizzato, essendo stata precedentemente dichiarata la nullità della clausola che avrebbe legittimato la capitalizzazione.
La Corte di Cassazione ha dunque rafforzato giuridicamente la posizione del cliente che sia stato oggetto di anatocismo bancario.
Si rammenta infatti che nell’ordinamento è presente un divieto di anatocismo, ex art 1283 c.c, il quale dispone che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi" .
La norma in questione ha la sua ratio nel prevenire l’elusione del divieto d’usura: se l’anatocismo fosse consentito, infatti, pur essendo stato pattuito tra cliente e banca un tasso non usuraio, il debito per sua stesa natura - capitalizzando interessi su interessi - diventerebbe ultrausuraio.
La precedente giurisprudenza di merito era spesso stata di diverso avviso, riconoscendo erroneamente la natura di usi normativi delle clausole contrattuali e ha sovente affermato la legittimità di tali clausole con cui nel contratto di conto corrente si prevedeva la capitalizzazione degli interessi alla chiusura del conto (di solito ogni trimestre, ma in casi specifici anche ogni mese).
La sentenza numero 17150 del 17 agosto 2016 rappresenta lo spartiacque per la materia in questione.
Infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato dei principi di diritto che sembrano porre fine all’eccessive manovre oscure e poco limpide compiute dalle Banche, circa la capitalizzazione composta degli interessi e, in generale, riguardante la materia dell’usura dei contratti bancari.
Va precisato che, nel caso di specie, la banca convenuta ha dato atto di aver depositato prova dell’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso di adeguamento alla delibera C.I.C.R. del 2000, ma tale documento non è stato rinvenuto nel fascicolo di parte. In ragione di ciò non vi è nessuna prova dell’avvenuto adeguamento, né è possibile valorizzare a tal fine la comunicazione di adeguamento.
Ciò sia perché la delibera C.I.C.R. prevedeva che l’adempimento avrebbe dovuto essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, sia perché non vi è alcuna prova che tale avviso sia stato effettivamente notificato al correntista e dunque reso a lui opponibile.
Del resto, come affermato da costante giurisprudenza, tutte le comunicazioni non rese ai clienti in conformità alle normative nazionali e comunitarie intervenute in merito sono da considerarsi nulle.
Inoltre, nella pattuizione modificativa delle condizioni economiche del rapporto intervenuta in data 7/4/2000 non era possibile rinvenire traccia di una nuova regolamentazione anche della periodicità di capitalizzazione pattuita nel 1992.
La Corte dunque, in ossequio al principio di diritto sancito da due sentenze (la n. 21080 del 2005 e la n. 24483 del 2013) ha affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d'interesse o che prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421cod. civ.,senza che ciò possa tradursi in una violazione del principio della domanda e del contraddittorio.
Con riferimento ad altre due sentenze (Sez. 3, Sentenza n. 6550 del 2013; Sez. 3, Sentenza n. 2140 del 2006), la Corte ha sancito e riaffermato che le norme che prevedano espressamente la nullità di patti contrattuali che calcolino gli interessi facendo un espresso rinvio agli usi, o che fissano la misura in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura, non sono retroattive, e pertanto non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti stessi, ma possono soltanto implicarne l'inefficacia "ex nunc", rilevabile solo su eccezione di parte.
Tali clausole non operano, dunque, quando il rapporto giuridico si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme ed il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato anteriormente.
Indi per cui ogni qualvolta che si tratti il tema riguardante gli interessi usurari, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali e che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da spingersi oltre la soglia dell’usura[1], pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi, sulla base di un semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, ovvero che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell’entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch’esso cristallizzato precedentemente.
Attraverso tale pronuncia la Cassazione ribadisce con veemenza la posizione di tutela del cliente dal perpetrarsi di continue violazioni, da parte degli istituti di credito, del divieto di anatocismo. Viene dato infatti un ulteriore strumento di tutela, rappresentato dall’irretroattività delle clausole di capitalizzazione. Data la nota tendenza degli istituti di credito ad applicare tali norme secondo le proprie posizioni, è evidente come tale pronuncia apra la strada a nuovi metodi di accertamento dell’anomalia bancaria, con conseguenze rilevanti dal punto di vista della tutela del cliente.
[1] introdotte, rispettivamente, con l’art. 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfuso nell’art. 117 del d.lgs. 1 °settembre 1983, n. 385, e con l’art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108
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