Le commissioni di massimo scoperto


Natura – addebito in conto – cause di invalidità – la mancanza di causa giustificatrice e l'indeterminatezza - conseguenze sul saldo debitore – resti
Le commissioni di massimo scoperto
La commissione di massimo scoperto (C.M.S.) non trova una definizione nella legge e, in genere, neppure nei contratti.
Si tratta - di fatto - di un costo posto a carico del correntista (e un corrispettivo elemento di remunerazione che si aggiunge agli interessi, in favore della Banca) che viene applicato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel corso del trimestre. L'art. 2 bis della L. 28/1/09 n.2 ne ha sancito la nullità: successivamente a tale data, pertanto, gli Istituti di Credito hanno smesso di addebitarle nei contratti ma, di fatto, tale legge ha finito per legittimare l'addebito di ulteriori costi con denominazioni e modalità di calcolo differenti dalle C.M.S., ma con effetti talvolta anche più gravosi.
Ad ogni modo, com'è evidente, la valutazione in merito alla legittimità o meno della clausola che preveda la CMS è di notevole importanza per la determinazione del saldo.

Ed infatti, essa viene spesso conteggiata in misura percentuale sulla massima esposizione debitoria raggiunta nel periodo considerato (in genere nel trimestre) venendo poi capitalizzata con la medesima periodicità ed incidendo così, considerevolmente, sul tasso effettivo applicato al rapporto. La giurisprudenza sembra da tempo ormai concorde nel ritenere tale onere illegittimo se non è espressamente pattuito.

In ogni caso la questione relativa alla validità o meno delle CMS attiene essenzialmente a due profili: 1) quello causale (art. 1325 c.c.) oppure 2) al profilo relativo alla indeterminatezza/indeterminabilità della stessa (con conseguente violazione dell'art. 1346 c.c.). In merito al profilo causale, si è tentato di giustificare l'addebito delle CMS con riferimento alla tenuta in disponibilità della somma accreditata o dell'incremento del suo utilizzo. Ma appare evidente che la remunerazione in favore della Banca per la messa a disposizione della somma dovrebbe già avvenire con la pattuizione degli interessi al momento della concessione del fido. A tutto voler concedere, seguendo tale ragionamento, potrebbe rinvenirsi una causa lecita nell'applicazione delle CMS solo allorchè essa venisse applicata al di fuori dei limiti dell'affidamento (come osservato da Trib. Mondovì 17/2/09).
Quanto al secondo profilo di invalidità, si è osservato che la mera indicazione in contratto della percentuale di calcolo in assenza di una specificazione sul metodo, non può soddisfare il requisito di determinabilità, non essendo possibile sapere se tale percentuale vada calcolata sul debito massimo raggiunto in solo giorno, in almeno dieci giorni od altro.
In sintesi, dunque, la CMS può avere natura assimilabile agli interessi passivi oppure costituire un corrispettivo autonomo dagli interessi.

Le due distinte interpretazioni vengono richiamate nella sentenza della Corte di Cassazione n. 11772/02;: "o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi - come potrebbe inferirsi anche dall’esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato - che solitamente è trimestrale - e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi...., o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo".

Non ritenendo giustificato l'addebito - per le ragioni sopra esposte - quale corrispettivo autonomo per mancanza di causa (quando non per indeterminatezza dell'oggetto della prestazione), ne consegue, evidentemente, che l'addebito delle CMS che vada ad incidere ed incrementare gli interessi pattuiti, non solo sia illegittimo ma incorra nei limiti di cui all'art. 1283 c.c. che vieta l'anatocismo (la capitalizzazione composta degli interessi n.d.r.). Da ciò consegue che il saldo del conto corrente andrebbe ricalcolato non solo semplicemente estromettendo gli importi addebitati a titolo di commissioni di massimo scoperto, ma depurando quanto versato a tale titolo dagli effetti della capitalizzazione composta.

Tralasciando in questa sede l'incidenza delle CMS sul calcolo della soglia di usura (problema anche questo piuttosto dibattuto, in particolare, con riferimento alla vincolantività o meno delle istruzioni della Banca d'Italia), appare evidente che il ricalcolo del saldo di una apertura di credito in conto corrente, ad esempio, possa evidenziare un indebito arricchimento dell'Istituto di Credito, anche di notevole entità (in rapporto alla durata e/o dell'entità dell'accordato) e il correlativo diritto del correntista di richiedere la restituzione di tali somme. Ciò vale sia per i rapporti tuttora in corso che per i rapporti chiusi da non più di dieci anni stante il termine di prescrizione decennale in materia.
Un esame preliminare delle contabili trimestrali consente di verificare se ed in quale misura siano state addebitate commissioni di massimo scoperto e, solo in tal caso, mediante una perizia contabile, determinare l'importo illegittimamente versato o richiesto al fine di agire per la restituzione o contestarlo.

Si ricorda che lo scrivente studio è disponibile ad una prima consulenza gratuita in studio.
Avv. Marco Vano

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di Avv. Marco Vano

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