Diritto all'oblio e rimozione pagine web


In caso di coinvolgimento in reati gravi l'interesse pubblico prevale sul diritto ad essere dimenticati
Diritto all'oblio e rimozione pagine web
Con un primo provvedimento del 16.2.2017 il Garante italiano della Privacy dichiarava infondato il ricorso di un soggetto che domandava - in applicazione del c.d. diritto all’oblio - la rimozione, dalla lista delle pagine web visualizzate digitando il proprio nome e cognome in un noto motore di ricerca, di alcuni URL recanti notizie su una vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto oltre vent’anni prima, ritenendole "obsolete, imprecise e pregiudizievoli per il suo reinserimento lavorativo e sociale". Nel corso del procedimento, la società resistente provvedeva a rimuovere alcune delle pagine segnalate mentre ne manteneva altre, ritenendo sussistente "l’interesse della collettività alla reperibilità di informazioni di cronaca relative a reati che destano particolare allarme sociale".
La decisione del Garante - attinente alla prevalenza dell’interesse pubblico all’accesso alle notizie de quibus di natura giornalistica - si fondava su tre ordini di motivazioni: il ricorrente nel corso dell’istruttoria non forniva elementi da cui desumere la pretesa inesattezza dei dati, i fatti narrati negli articoli delle pagine rimaste indicizzate riguardavano comunque la commissione di reati che destavano elevato allarme sociale per numero e per efferatezza di realizzazione in seno ad un’associazione criminale (racket, usura, estorsione, spaccio di droga), ed - infine - il diritto all’oblio va valutato con minor favore allorquando si tratti di informazioni riferite a reati gravi, previa analisi specifica del caso concreto.
Il Garante confermava la medesima posizione con un successivo provvedimento del 23.2.2017 in cui il soggetto ricorrente, imprenditore, parimenti chiedeva la deindicizzazione di pagine web che illustravano un procedimento giudiziario che lo vedeva coinvolto, risalente nel tempo di soli sei anni, peraltro non ancora concluso. Anche in questo caso il diritto all’oblio si è visto affievolito perché non è "venuto meno l’interesse pubblico alla conoscibilità della vicenda in considerazione della gravità dei reati contestati".
Si consolida, così, il principio (assorbito anche dalla deontologia giornalistica) per il quale finché permangono il pubblico interesse e la pertinenza della notizia, il diritto ad essere dimenticato del soggetto coinvolto (e talora anche la vittima) si vede sconfitto.

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di avv. Tania Mancini

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