Verso una casa in stile giapponese


La necessità di limitare il consumo di suolo, di contenere i consumi energetici oltre che contenere i costi, ci avvicina alla casa giapponese
Verso una casa in stile giapponese
Prendendo spunto da una mostra tenutasi a Parigi nel 2015 - "Japon, l’archipel de la maison" curata da Veronique Hours, Fabien Maduit, Jeremie Souteyrat e Manuel Tardits - in un momento in cui la cultura giapponese, in tutte le sue declinazioni, sembra essere un riferimento un riferimento, vorrei proporre alcune mie considerazioni.
L’essenzialità e la "provvisorietà" della casa giapponese, che in genere è destinata a durare un tempo relativamente breve, tra i 25 e i 30 anni, si discosta moltissimo da quella che è invece la nostra concezione sia nella dimensione che nella ricchezza di decorazioni e dettagli oltre che nella previsione di durata.
La casa giapponese, tradizionalmente, si sviluppa intorno alle dimensioni modulari del tatami (circa un metro per due), pavimento in paglia di riso intrecciata, oggi integrato con altri materiali come il parquet, raggruppando le diverse funzioni dell’abitare in poco spazio: uno, due o al massimo tre vani.
Nella nostra cultura invece ogni funzione necessita di un proprio spazio dedicato e pertanto la nostra abitazione ha in genere bisogno di superfici almeno doppie di quelle giapponesi.
Sviluppare una architettura con utilizzo di pochi minimi spazi è stato fondamentale per il Giappone, il quale ha una densità abitativa doppia rispetto al nostro paese, un territorio frammentato in molteplici isole, ed un’esigenza di mantenere quanto più spazio libero coltivabile, soprattutto per le risaie.
Pur con tanti vincoli, gli architetti giapponesi hanno saputo esprimere, nel loro minimalismo, proposte e concetti architettonici molto interessanti. Vorrei citare ad esempio la casa progettata in un quartiere residenziale di Tokyo dagli architetti Daisuke Ibano, Ryosuke Fujii e Satoshi Numanoi. Si tratta di una abitazione che si sviluppa su più livelli sfalsati, senza corridoi e muri divisori, collegati attraverso una scala angolare in una continuità verticale di spazi che assumono distinte funzioni: ingresso e stanza al piano terra, cucina e living al primo piano, la stanza da bagno e la camera da letto al secondo piano e la terrazza panoramica. Ogni ambiente è caratterizzato da una grande finestra panoramica e da finiture minimali con toni caldi. A voler fare un paragone, tale soluzione può ricordare molte abitazioni del centro storico di Martina Franca, dovute anch’esse all’alta densità abitativa del settecento, che si sviluppano su più livelli fino alla terrazza panoramica.
Un altro interessante esempio è quello della villa urbana Promenade House progettata dallo studio FORM/Konichi Kimura Architects nella città di Shiga. Si tratta di una casa minimale delle dimensioni esterne di 4 metri di larghezza e 35 metri di lunghezza, su due livelli L’interno, largo 3 metri e lungo 27, è concepito come un corridoio con gli ambienti che si susseguono, con gli spazi living al piano terra e notte al primo piano. Pochissimi gli arredi dedicati e un affaccio su di un piccolo giardino che dà la possibilità di godere in pieno centro città di un minimo di verde, nella tradizione giapponese.
Probabilmente questi ed altri esempi potranno essere spunto per quelle che cominciano ad essere anche le nostre esigenze, dovute alla necessità di limitare il consumo di suolo, di contenere i consumi energetici oltre che contenere i costi.

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di Gianfranco Aquaro

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