Mantenimento alla moglie che rifiuta un lavoro
Legittimo il rifiuto della moglie opposto ad alcune offerte di lavoro se non commisurate alla sua professionalità o comunque precarie
Con l’ordinanza n. 12878/17 del 22.05.17 la Cassazione ha precisato che non sempre il rifiuto di offerte di lavoro da parte della moglie fa venir meno il diritto all’assegno di mantenimento.
Nel caso di specie il marito ha adito la Cassazione perché la Corte d’Appello aveva sostanzialmente rideterminato nell’ammontare ma comunque confermato l’assegno divorzile dovuto alla moglie, ritenendo che il giudice del secondo grado avesse omesso di valutare un fatto "decisivo" sul punto, quale quello del rifiuto da parte della donna di alcune offerte di lavoro. Secondo l’uomo, infatti, alcun assegno divorzile sarebbe dovuto alla moglie, colpevole di aver rifiutato una potenziale occasione di produrre reddito.
La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso confermando la pronuncia di secondo grado ritenendo che "non ricorre alcun omesso esame di fatti decisivi in particolare per ciò che concerne il rifiuto, da parte della donna [n.d.r.], di alcune offerte di lavoro che la Corte di appello ha considerato occasionali valutando, altresì, come plausibili le ragioni addotte a giustificazione del rifiuto dalla odierna ricorrente e ritenendo la scarsa rilevanza della circostanza ai fini di ipotizzare una capacità di reddito potenziale e non sfruttata".
Tale pronuncia si inserisce nel solco dell’altra recentissima sentenza della Cassazione (n. 11504/17 del 10.05.2017) balzata agli onori della cronaca negli ultimi giorni, che ha rimarcato i criteri di determinazione dell’assegno divorzile, considerando la potenziale capacità di provvedere in via autonoma al proprio mantenimento come parametro principale. Ed infatti, l’orientamento prevalente nei Tribunali è in tal senso: se il marito dimostra che la moglie si rifiuta di provvedere al proprio mantenimento rifiutando o non cercando affatto un’occupazione lavorativa, quest’ultima non ha diritto all’assegno divorzile.
Tuttavia la pronuncia in analisi consente di approfondire l’orientamento che si oppone a tale visione, specificando che comunque la potenziale capacità di mantenersi da solo del coniuge economicamente più debole va commisurata in concreto, tenendo conto della professionalità di questi e del tenore dell’eventuale opportunità di lavoro: nel caso in esame la donna era una traduttrice e le offerte di lavoro rifiutate risultavano precarie e comunque non idonee a ipotizzare una potenzialità di guadagno di cui la stessa avrebbe potuto fruire qualora avesse ripreso a pieno regime la sua attività.
Dunque, se l’offerta di lavoro, laddove accettata, non consente una stabile autonomia o comunque, non risulta idonea alle competenze professionali del coniuge cui è rivolta, il rifiuto non fa venir meno il diritto a ricevere l’assegno divorzile.
Nel caso di specie il marito ha adito la Cassazione perché la Corte d’Appello aveva sostanzialmente rideterminato nell’ammontare ma comunque confermato l’assegno divorzile dovuto alla moglie, ritenendo che il giudice del secondo grado avesse omesso di valutare un fatto "decisivo" sul punto, quale quello del rifiuto da parte della donna di alcune offerte di lavoro. Secondo l’uomo, infatti, alcun assegno divorzile sarebbe dovuto alla moglie, colpevole di aver rifiutato una potenziale occasione di produrre reddito.
La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso confermando la pronuncia di secondo grado ritenendo che "non ricorre alcun omesso esame di fatti decisivi in particolare per ciò che concerne il rifiuto, da parte della donna [n.d.r.], di alcune offerte di lavoro che la Corte di appello ha considerato occasionali valutando, altresì, come plausibili le ragioni addotte a giustificazione del rifiuto dalla odierna ricorrente e ritenendo la scarsa rilevanza della circostanza ai fini di ipotizzare una capacità di reddito potenziale e non sfruttata".
Tale pronuncia si inserisce nel solco dell’altra recentissima sentenza della Cassazione (n. 11504/17 del 10.05.2017) balzata agli onori della cronaca negli ultimi giorni, che ha rimarcato i criteri di determinazione dell’assegno divorzile, considerando la potenziale capacità di provvedere in via autonoma al proprio mantenimento come parametro principale. Ed infatti, l’orientamento prevalente nei Tribunali è in tal senso: se il marito dimostra che la moglie si rifiuta di provvedere al proprio mantenimento rifiutando o non cercando affatto un’occupazione lavorativa, quest’ultima non ha diritto all’assegno divorzile.
Tuttavia la pronuncia in analisi consente di approfondire l’orientamento che si oppone a tale visione, specificando che comunque la potenziale capacità di mantenersi da solo del coniuge economicamente più debole va commisurata in concreto, tenendo conto della professionalità di questi e del tenore dell’eventuale opportunità di lavoro: nel caso in esame la donna era una traduttrice e le offerte di lavoro rifiutate risultavano precarie e comunque non idonee a ipotizzare una potenzialità di guadagno di cui la stessa avrebbe potuto fruire qualora avesse ripreso a pieno regime la sua attività.
Dunque, se l’offerta di lavoro, laddove accettata, non consente una stabile autonomia o comunque, non risulta idonea alle competenze professionali del coniuge cui è rivolta, il rifiuto non fa venir meno il diritto a ricevere l’assegno divorzile.
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