SOS Fame Nervosa


Il cibo, gioia e dolore di ognuno di noi, vale a dire che il più delle volte non si mangia per fame ma come tentativo di gratificazione
SOS Fame Nervosa
"Si, Sono una persona golosa ma a volte mi capita che sento il bisogno irrefrenabile di mangiare, se non ho in mente qualcosa di preciso posso anche accontentarmi di quello che trovo nella dispensa e quando lo trovo lo mangio finché non finisce, fino a sentire lo stomaco scoppiare, è più forte di me, perdo il controllo".
Nella mia esperienza una frase come questa non è una rarità, c'è un rapporto particolare tra noi e il cibo, che ha origine nell'era neonatale e che prescinde dal bisogno fondamentale di mangiare per sopravvivere, ma dietro il quale si maschera il bisogno di calmare, compensare, schiacciare sotto il peso del cibo emozioni e vissuti spiacevoli (fame nervosa).
Ma perché mangiare ci fa sentire meglio? Il cibo ha un enorme potere consolatorio, infatti nel gergo comune ci sono molte allusioni a questo potere ad esempio diciamo "addolcire una situazione", ma allora quale è il problema se mangiare del cioccolato aiuta a sentirsi meno soli?
Purtroppo, oltre alla perdita di controllo del proprio peso che è la conseguenza più visibile sull'organismo, l'effetto lenitivo del cibo è solo momentaneo. È infatti possibile individuare una sorta di circolo vizioso in cui mangio e mi sento appagato, rilassato, ma dopo poco aver finito questa piacevole sensazione di pienezza lascia il posto al senso di colpa, al senso di fallimento, di vergogna e di vuoto.
Per questo si mangia per cercare una rassicurazione, come consolazione, come diversivo dalla noia, per sentirsi meno soli e insoddisfatti, insomma i vissuti che si nascondono dietro questo comportamento sono tanti ma è possibile riscontrare un po' in tutti un senso di frustrazione e di vuoto.
In effetti mangiare é come un tentativo psichico di riempire questo vuoto con qualcosa che possa dare un sollievo immediato dalla frustrazione sostituendolo con un senso di piacevolezza e lo zucchero in particolare assolve perfettamente a questo compito di consolazione (comfort food).
In effetti questo sollievo immediato si verifica realmente grazie ai processi neuro-metabolici che gli elementi chimici presenti nel cibo attivano nell'organismo durante la digestione; vale a dire che gli zuccheri semplici, gli amminoacidi (carboidrati, dolci, merendine) mandano un' immediata sensazione di piacere al cervello che inizia a produrre serotonina (ormone del piacere). Tutto ciò assume un valore determinante nei casi di disturbi alimentari come nel disturbo da alimentazione incontrollata (binge-eating desorder).
In questi casi appare chiaro che per intervenire sul comportamento alimentare c'è bisogno di un lavoro terapeutico che dia uguale importanza sia all'aspetto emozionale che a quello corporeo dell'individuo perché strettamente correlati tra loro. Un percorso terapeutico secondo il modello gestaltico integrato favorisce l'individuazione della connessione tra cibo ed emozioni aiutando la persona ad essere sempre più consapevole dei bisogni sottostanti il mangiare incontrollato. Lo psicologo e il paziente lavorano insieme per potenziare le risorse personali e per trovare nuove strategie per far fronte alle difficoltà emotive e/o contestuali che sta vivendo evitando che il cibo diventi l'unico canale di sfogo. In questo approccio psicoterapico la persona è considerata come un tutt'uno, quindi anche il suo corpo merita un'attenzione terapeutica, infatti a causa di questo comportamento il corpo si deforma, e oltre ai danni organici, la persona tende a non piacersi più a non riconoscersi, avendo così anche delle conseguenze sulla propria autostima.

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di Dott.ssa Ilaria Fontana

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