Il collocamento alternato. Diritto o forzatura?


Una riflessione su alcuni dei principi più importanti introdotti con la legge 54/2006
Il collocamento alternato. Diritto o forzatura?
In tema di separazione personale dei coniugi, una nuova lettura delle norme in tema di affidamento dei figli, con una conseguente piena applicazione dei principi più importanti introdotti con la legge 54/2006, imporrebbe ai Tribunali di Italia una maggiore attenzione a modelli paritetici di affidamento nel rispetto del principio di una effettiva bigenitorialità. Infatti, il principio della bigenitorialità muove dalla convinzione che, per una equilibrata e sana crescita psico-fisica dei figli, sia necessaria un’effettiva e paritaria frequentazione di entrambi i genitori che si separano. A sostegno di questo principio vi è anche una notevole quantità di dottrina internazionale che ha da tempo dimostrato che la frequentazione di uno dei genitori per un tempo inferiore ad un terzo del tempo totale è fortemente pregiudizievole per bambini e adolescenti. Inoltre, è bene ricordare che il Governo italiano ha sottoscritto la Risoluzione 2079/2015 del Consiglio d’Europa nella quale è contenuto un espresso invito agli Stati membri a garantire ai genitori che si separano una eguaglianza concreta attraverso la promozione della "shared residence" definita come una forma di collocamento in cui i figli, dopo la separazione della coppia, trascorrono tempi più o meno uguali presso il padre e la madre. Principi tutti senz’altro importanti e giusti nell’ottica di un’evoluzione giuridica e psicopedagogica della materia, ma quali sono, in concreto, le conseguenze pratiche della loro applicazione nella vita dei figli? La casa di abitazione dei figli collocati alternativamente presso entrambi i genitori non sarà più la casa del genitore collocatario (generalmente la madre), luogo considerato ottimale per costituire punto di riferimento dei figli per il consolidamento di abitudini ed orari di vita, ma saranno entrambe le case dei genitori e quindi la residenza dei figli avrà valenza meramente anagrafica con conseguente domiciliazione dei figli presso ambedue i genitori. Questa soluzione, tuttavia, sconta le diffidenze di qualche dottrina psicopedagogica secondo cui il bambino o anche l’adolescente non può essere considerato una specie di "pacco" sballottato qua e là da una casa all’altra, soggetto ai limiti evidentemente differenti dei due genitori con conseguente disorientamento. Ad avviso di chi scrive tale dottrina non appare affatto condivisibile: la psicopedagogia più recente ha unanimemente affermato che i bambini e gli adolescenti hanno una capacità di adattamento di gran lunga superiore agli adulti ed il vantaggio psicologico che gli stessi ottengono dalla presenza e dalla quotidianità di entrambi i genitori è notevolmente superiore al disagio di alternarsi a vivere in due case. Certo "conditio sine qua non" è che entrambe le abitazioni dei genitori non siano troppo distanti l’una dall’altra e che abbiano uno spazio consono per i figli. Entrambi i genitori dovranno partecipare alla quotidianità dei figli in ragione di parità. Certo, possono verificarsi temporanee esigenze dei figli oppure temporanee condizioni di impossibilità materiale che possano giustificare la presenza maggiore di un genitore rispetto all’altro. Ma si tratta di ipotesi del tutto eccezionali. Nella quotidianità, invece, entrambi i genitori partecipano totalmente, ciascuno per il proprio tempo di appartenenza, alla vita dei figli, ai loro impegni scolastici e ricreativi, alla varie esigenze fisiche, alle visite mediche e ad ogni altra incombenza. Questo aspetto, ossia questa pura applicazione del principio della "bigenitorialità", non solo arricchisce il figlio della presenza attiva dei due genitori, ma fa sì che non sia sempre un solo genitore ad accollarsi tutte le incombenze relative alla gestione del figlio "presidiarne" la vita. In altri termini: onori e oneri di essere genitori in capo ad entrambi. Anche il tema relativo al mantenimento dei figli subisce un inevitabile cambiamento. Infatti, fatte salve le famiglie mono-reddito in cui è necessario assicurare anche all’ex coniuge e/o compagna/o un assegno di mantenimento, nei casi di collocamento alternato dei figli, i genitori provvederanno autonomamente al mantenimento dei figli provvedendo, nel tempo a ciascuno spettante, a quanto di occorrenza per i figli. Per quanto attiene alle spese straordinarie (spese scolastiche, ricreative, mediche non coperte da sistema sanitario nazionale ecc.) i vari Tribunali di Italia con vari protocolli sottoscritti con gli Ordini degli Avvocati del relativo territorio, hanno stabilito la suddivisione delle spese (per lo più in ragione del 50% ciascuno) tra i genitori, distinguendo tra spese prevedibili e quelle non, in ossequio a quanto stabilito dalla storica sentenza della Corte di cassazione n.16664/2012. Ma allora, se il collocamento alternato sembra recare solo vantaggi a figli e genitori, come mai è così poco applicato sia in sede giudiziale che in sede consensuale? La risposta è da ricercarsi in due ordini di motivi: la storica diffidenza della giurisprudenza sia di legittimità che di merito, la quale tende a limitare l’utilizzo del collocamento alternato ai casi in cui vi sia un accordo in tal senso tra i genitori e addirittura gli stessi figli. Infatti, ad avviso delle giurisprudenza dominante, l’affidamento condiviso dei figli con il collocamento alternato necessita dell’accordo e della buona intesa tra i genitori, risultando in caso contrario, pregiudizievole per i figli a causa della tensione e della difficoltà di cooperazione tra i genitori. La stessa cultura genitoriale italiana poco incline alla paritetica cooperazione nell’accudimento dei figli. Gli stessi genitori, infatti, tendono a replicare lo schema per cui la madre si occupa dei figli ed il padre del loro sostegno economico. Questo schema che può risultare equilibrato quando la coppia funziona, nel momento della crisi della stessa si trasforma nell’inevitabile collocamento prevalente dei figli presso la madre e nella quasi totale assenza del padre che si limita a vedere i figli nei week-end ed un giorno a settimana. Peraltro, le inevitabili questioni economiche che seguono alla separazione della coppia, portano il genitore collocatario a soffrire di un sovradimensionamento del proprio ruolo e il padre a soffrire della frustrazione del mero ruolo di "bancomat". A tutto ciò, aggiungasi che gli eventuali nuovi partners dei genitori spesso giocano un ruolo determinante nel raggiungimento di equilibrio dei genitori medesimi nelle frequentazioni con i figli dopo la separazione. I nuovi partners, infatti, spesso ingeriscono nel rapporto del genitore col figlio anche semplicemente con l’inevitabile "vis attrattiva" della nuova famiglia, spesso coronata dall’arrivo di un altro figlio.
Ricorrere, quindi, al classico schema collocamento prevalente - visite del padre prestabilite - mantenimento al genitore collocatario, appare l’unica soluzione accettabile per entrambi i genitori, con buona pace dei Tribunali.
Ma non tutto è perduto: nelle nuove giovani generazioni il senso della condivisione delle incombenze genitoriali si sta molto diffondendo. Il ruolo della donna lavoratrice ed in carriera spesso come e più del compagno, la genitorialità vissuta in maniera molto più consapevole, porta le giovani coppie ad una sempre più equa ripartizione dei compiti di accudimento dei figli.
Anche i Tribunali Italiani stanno recependo tale inversione di tendenza: tra tanti il Tribunale di Brindisi, che ha integralmente riformato le linee guida per la Sezione Famiglia operando finalmente la scelta della "shared residence" quale principio prevalente da seguire in tema di collocamento dei figli.
Inoltre, svariate pronunce favorevoli al collocamento alternato quale principio da prediligere provengono dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Salerno.

Qualcosa si muove, il diritto vivente del resto è principio costituzionale.

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di Avv. Rossella Vitali

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