Trasferimento del lavoratore


Quando il lavoratore può essere licenziato a seguito del rifiuto al trasferimento
Trasferimento del lavoratore
Il rapporto di lavoro non è immutabile, vi possono essere circostanze che incidono sulle modalità di svolgimento della prestazione. Il trasferimento, deciso dal datore di lavoro, è una di queste circostanze.
Lo scopo di quest'articolo, è quello di rendere edotto il lavoratore circa le conseguenze di un suo rifiuto ad essere trasferito. Il trasferimento, innanzitutto, è il mutamento definitivo del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa. Il trasferimento del lavoratore è disciplinato, per tutti i livelli di inquadramento e contratti nazionali, dall'art. 2103 del Codice Civile, secondo il quale: "il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.
Per "unità produttiva" si intende "ogni articolazione autonoma dell'impresa, avente sotto il profilo funzionale e finalistico idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l'attività di produzione di beni o servizi dell'impresa medesima, della quale costituisce elemento organizzativo, restando invece esclusi quegli organismi minori che, se pur dotati di una certa autonomia, siano destinati a scopi meramente strumentali rispetto ai fini produttivi dell'impresa. Mentre le comprovate "esigenze tecniche, produttive e organizzative" sono di volta in volta individuate dalla giurisprudenza con una valutazione fattuale circa l'esistenza di un ragionevole motivo aziendale, a titolo di esempio: "... riorganizzazione aziendale finalizzata ad una più economica gestione (nella specie, la perdita di una gara d'appalto e il conseguente smobilizzo del cantiere)...".Tali ragioni devono essere presenti al momento dell'adozione del provvedimento. Non è richiesta alcuna forma scritta dalla legge, (salvo quanto disposto dai ccnl) e non vi è nemmeno l 'obbligo, in capo al datore di lavoro, di comunicare le ragioni alla base del provvedimento (a meno che il lavoratore non ne faccia esplicita richiesta). L'unico limite posto dalla Legge, dunque, è la presenza delle esigenze tecniche. A tal proposito è utile sapere che il controllo del Giudice è limitato al solo accertamento circa la presenza o meno delle ragioni indicate dal datore di lavoro ma non può essere esteso alla scelta imprenditoriale adottata.
La Giurisprudenza ha elaborato il seguente principio di massima: il datore è libero di effettuare il trasferimento ogni qualvolta riesca a dimostrare:
1) inutilità del dipendente nella sede di provenienza;
2) necessità della presenza di quel dipendente con la sua particolare professionalità nella sede di destinazione
3) la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta del trasferimento su quel dipendente.
Una volta chiarito il concetto di trasferimento e della sua illegittimità, si deve affrontare la questione circa il rimedio da esperire per rimuovere il provvedimento illegittimo. In primo luogo, il trasferimento deve essere impugnato entro 60 giorni dalla sua ricezione e nei successivi 180 giorni instaurare il relativo giudizio, novità introdotta dalla Legge n 183 del 2010. Per cui il lavoratore, a differenza de passato, ha l'obbligo di attivarsi tempestivamente per non vedere compromessi i suoi diritti.

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di Avv. Miriam Armando

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