Fondo patrimoniale: questo sconosciuto...


E' emersa in giurisprudenza una questione di rilevante attualità: Equitalia può sempre agire sul Fondo Patrimoniale? Ed iscrivere ipoteca?
Fondo patrimoniale: questo sconosciuto...
Il fondo patrimoniale è uno strumento attraverso il quale i coniugi (dal 2016, vengono ricompresi anche i componenti dell’unione civile omosessuale) intendono porre un vincolo su alcuni beni destinandoli ai bisogni della famiglia.

Modi di costituzione e pubblicità
I coniugi (dal 2016 anche i componenti dell’unione civile omosessuale) o anche uno solo di essi possono costituire un patrimonio separato che abbia come sua specifica destinazione la finalità di far fronte ai bisogni della famiglia (art. 167 c.c.). Anche un terzo può a sua volta costituire un fondo patrimoniale, sia per atto tra vivi che per testamento.

I beni che possono formare oggetto di un fondo patrimoniale e che possono essere destinati al fondo possono essere di vario tipo: beni immobili o mobili registrati oppure titoli di credito. Su tali beni possono essere conferiti diritti di proprietà o di godimento.

La costituzione del fondo si effettua mediante atto pubblico a cui partecipano i coniugi ed eventualmente il terzo che conferisce il bene. In quest’ultimo caso la costituzione del fondo si perfeziona solo con l’accettazione dei coniugi/beneficiari.

Molto delicati sono gli aspetti che concernono la pubblicità della convenzione. Questa infatti deve essere annotata a margine dell’atto di matrimonio (e cioè nei registri dello stato civile) nonchè trascritta nei registri immobiliari e dei beni mobili soggetti a registrazione. La mancanza dell’annotazione comporta il venir meno dell’opponibilità del fondo ai creditori. A loro volta, i creditori hanno l’onere di accertare l’esistenza di una convenzione, consultando non solo i registri dello stato civile ma anche i registri immobiliari.

I beni appartenenti al fondo sono in comproprietà di entrambi i coniugi che ne hanno la gestione: tale gestione risulta essere regolata dalle norme in tema di comunione legale. I relativi frutti devono essere destinati ai bisogni della famiglia. Va evidenziato che i beni del fondo non possono mai essere alienati, ipotecati o dati in pegno se non con il consenso dell’altro coniuge, a meno che tale facoltà non sia stata espressamente prevista sin dall'origine.

In presenza di figli minori l'eventuale alienazione, costituzione di ipoteca o dazione in pegno necessitano inoltre dell’autorizzazione del Tribunale che la concederà in caso di necessità o utilità evidente (art. 169 c.c.).

I benefici del fondo
L'effetto derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale - e cioè la separazione del patrimonio familiare da quello personale dei coniugi - fa sì che si crei una limitazione di responsabilità dei beni che fanno parte del patrimonio separato, i quali vengono destinati esclusivamente alla soddisfazione di obbligazioni strettamente collegate alla loro finalità: quella cioè di far fronte ai bisogni della famiglia. Ne consegue che i beni ed i frutti del fondo possono essere aggrediti solo per debiti derivanti da obbligazioni contratte nel solo interesse della famiglia (art. 170 c.c.). La norma costituisce una deroga espressa alla normale responsabilità patrimoniale per debiti, codificata all'art. 2740 c.c..

Si deve considerare che il limite all’inespropriabilità opera solo se il creditore era a conoscenza che l’obbligazione contratta dal suo debitore era effettivamente estranea ai bisogni della famiglia: l’onere probatorio di tale conoscenza rimane in ogni caso a carico del debitore che si oppone all’esecuzione sul proprio bene.

Al fine di contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente, il debitore opponente deve pertanto provare:
la regolare costituzione del fondo patrimoniale;
la sua opponibilità nei confronti del creditore pignorante;
infine, che il debito per cui si procede è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Sul debitore grava anche l’onere di provare la conoscenza di tale estraneità in capo al creditore: ei tratta di un principio affermato dalla Cassazione già da lungo tempo (Cass. Civ. 15 marzo 2006 n. 5.684, ribadito recentemente con la sentenza n. 15.886/2014)
La suddetta prova, sulla base dei principi generali, può̀ essere fornita anche avvalendosi di presunzioni.
Circa il criterio per identificare la natura dei debiti che - essendo stati contratti per fare fronte ai bisogni della famiglia - possono essere soddisfatti anche in via esecutiva, la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo il quale la nozione di debiti contratti nell’interesse della famiglia va intesa non in senso restrittivo, vale a dire con solo riguardo alla mera necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia. Occorre infatti ricomprendere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, o al potenziamento della capacità lavorativa dei coniugi, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o meramente speculative (Cass. Civ. 30.5.2007 n. 12730, Cass. Civ. 7.7.2009 n. 15862 e Cass. Civ. 19.2.2013 n. 4011). Si è quindi preferita una nozione di bisogni della famiglia piuttosto ampia, per la quale si esclude che bisogni rilevanti siano soltanto quelli essenziali del nucleo familiare. Si ritengono pertanto ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore di vita scelto, in conseguenza delle possibilità̀ economiche.
Risulta essere controverso se possano essere ricondotti ai bisogni della famiglia i debiti derivanti dall'attività professionale o di impresa di uno dei coniugi: in giurisprudenza prevale l'opinione secondo cui l'indagine del giudice debba avere ad oggetto specificamente il fatto generatore dell'obbligazione, a prescindere dalla sua natura.
La controversa questione dell’esecuzione dei debiti tributari
La Cassazione si è recentemente interrogata circa la possibilità o meno per l’Ente di riscossione di iscrivere ipoteca sui beni del Fondo matrimoniale, manifestando le consuete aporie interpretative. Esaminiamole in rapida rassegna.
Con la sentenza n. 3.600/2016, la Corte ha infatti scrutinato se fosse legittima l’azione esecutiva avviata da Equitalia su un immobile costituito in Fondo, sul quale era altresì stata iscritta ipoteca legale. Secondo l’Ente, l' iscrizione ipotecaria non sarebbe stata preclusa al creditore, visto l'art. 170 c.c., non essendo la suddetta iscrizione azione espropriativa.
Secondo i giudici della Suprema Corte, il perimetro applicativo della norma di cui all’art. 170 avrebbe ad oggetto non solo l'esecuzione sui beni del fondo e sui suoi frutti ma anche l'iscrizione di ipoteca sui suddetti. La suddetta norma non escluderebbe pertanto in modo assoluto l'esecuzione: essa sarebbe esclusa solamente nel caso in cui la situazione debitoria per cui si procede esecutivamente sia insorta "per scopi estranei ai bisogni della famiglia" e fosse conosciuta come tale dal creditore. La Corte ha avuto modo di ribadire che il criterio identificativo riguardante la natura dei debiti per i quali può avere luogo l'esecuzione sui beni del fondo, debba essere rinvenuto non tanto nella natura dell'obbligazione - contrattuale o extracontrattuale - ma piuttosto nella relazione sussistente tra il fatto generatore di essa e i correlati bisogni familiari. Ne deriva pertanto che anche un debito di natura tributaria (che sia sorto in diretta dipendenza dell'esercizio dell'attività imprenditoriale) potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità (cfr.: Cass. Civ. n. 3.738/2015).
A distanza di pochi mesi, la stessa sezione della Cassazione ha emanato una pronuncia di senso contrario, ammettendo la possibilità per l’Ente concessionario di procedere all’iscrizione ipotecaria sull’immobile del contribuente costituito in fondo patrimoniale.
Il ricorso di Equitalia si è basato sul fatto che l’art. 170 fa riferimento soltanto a procedure di tipo esecutivo e non cautelari, come può essere qualificata l’iscrizione ipotecaria, che può essere solo preparatoria di un’eventuale e successiva fase esecutiva. Con questa sentenza, la Corte, andando contro il precedente orientamento, ha precisato che l’ipoteca ex art. 77 D.P.R. n. 602/1973, non ha natura di atto funzionale all’esecuzione forzata, con la conseguenza che non è possibile classificare l’iscrizione come atto di esecuzione.
Per rafforzare tale interpretazione la Corte ha richiamato una sentenza di legittimità resa a sezioni unite (Cass. Civ. n. 19.667/2014), con la quale si è escluso che l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 D.P.R. sia da considerare atto di espropriazione forzata, dovendo piuttosto la stessa essere considerata "un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria".
4. L’azione revocatoria e la decorrenza del termine di prescrizione
L’azione revocatoria finalizzata alla dichiarazione d’inefficacia del fondo patrimoniale in quanto atto pregiudizievole al creditore è soggetta al termine breve di prescrizione di cinque anni dalla data dell’atto, ai sensi dell’art. 2903 c.c.
Sulla formulazione letterale della norma, avendo specifico riguardo al dies a quo dell’atto, si sono susseguite numerose pronunce giurisprudenziali anche in questo caso contrastanti tra loro.
Partendo dalla più recente, la Corte di Cassazione - sentenza 24 marzo 2016 n. 5889 - ha confermato l'inconsistenza della tesi per cui l’intento di pregiudicare le ragioni del creditore deve essere rapportato non alla data di annotazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, ma a quella della sua effettiva stipulazione. Nel caso infatti di costituzione di fondo patrimoniale tra coniugi, l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni decorrenti dal giorno in cui l’atto è opponibile ai terzi, e non dalla data della stipula della convenzione, perché solo da quel momento il diritto può essere fatto valere.
A fini di maggior chiarezza, richiamando in ciò una propria decisione - resa a Sezioni Unite - del 13 ottobre 2009 n. 21.658, la Corte ha ribadito che la costituzione del fondo patrimoniale soggiace alle disposizioni relative alle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c., le quali sono opponibili ai terzi dopo l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
La trascrizione dell’atto nei pubblici registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2647 c.c., rileva come mera pubblicità-notizia, non compensando il difetto di annotazione nei registri dello stato civile - che non ammette deroghe - restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo (si veda anche Cass. Civ. 12 dicembre 2013 n. 27.854).
Lo scioglimento del fondo
L’effetto del fondo patrimoniale cessa quando si estingue il vincolo coniugale (art. 171 c.c.). Se ci sono figli minori, il vincolo del fondo rimane fino a che questi non abbiano raggiunto la maggiore età. In questo caso il Tribunale potrà affidare l’amministrazione dei beni del fondo al genitore affidatario o ad un terzo, oppure assegnare in proprietà o in godimento direttamente ai figli una quota dei beni.
Si discute infine se sia ammissibile lo scioglimento consensuale del fondo patrimoniale, poiché le cause di scioglimento sarebbero tassativamente individuate dal legislatore in quelle che portano al dissolvimento del matrimonio.
La recente Cassazione (cfr.: n. 17.811/2014) è intervenuta a dirimere un contrasto che si era creato sia in dottrina che tra i tribunali di merito. La Corte ha precisato che le cause di scioglimento di cui all’art. 171 non possono considerarsi tassative. Pertanto, in mancanza di figli, lo scioglimento può intervenire anche sulla base del solo consenso dei coniugi. In presenza di figli, invece, non è ammesso lo scioglimento consensuale da parte dei soli coniugi. L’istituzione del fondo patrimoniale - determinando un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia - implica che nel concetto di famiglia vadano ovviamente ricompresi anche i figli minori che sono i veri componenti deboli della famiglia. Conseguentemente, avendo interesse alla conservazione della consistenza patrimoniale del Fondo, per lo scioglimento è necessario il consenso dei figli minori, rappresentati da un curatore speciale autorizzato dal Tribunale, il quale possa tutelare la loro posizione nell’ipotetico conflitto di interesse che possa a sua volta derivare dalla disposizione sui beni del fondo. La suddetta disciplina è estendibile anche ai figli nascituri.

Articolo del:


di Avv. Roberto Zanchetta

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