Rilevanza delle valutazioni d'idoneità del MOG
Individuazione della sostenibilità economica quale limite allo sforzo delle scelte di compliance
IDONEITA' E SOSTENIBILITA' ECONOMICA DELLE SCELTE DI COMPLIANCE (2)
(TERZO DI UNA SERIE DI ARTICOLI - SECONDA PARTE)
Il comma 3 dell’art. 6 del Codice ci dice che i modelli possono essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti da associazioni di categoria, comunicati dal Ministero della Giustizia il quale, entro 30 gg., può formulare osservazioni sull’idoneità dei modelli a prevenire i reati.
Tutto risolto, dunque? Verosimilmente no.
La possibilità di rilievi da parte del Ministero, da un lato, deve essere intesa come finalizzata ad evitare l’adozione di codici etici puramente formali, e formalistici, privi di reale capacità di incidere sui comportamenti concreti e contrastare le violazioni di legge; e, dall’altro lato, non incide sul controllo giudiziale dell’effettiva idoneità dei Modelli, controllo che dunque può ben negare tale idoneità ancorché in assenza di rilievi ministeriali.
Un florilegio di pronunce ha tentato di individuare i requisiti di idoneità dei Modelli, che sostanzialmente guardano tutti ad ottenere una visione realistica ed economica dei fenomeni aziendali, ed in generale la prevalente corrente di pensiero sembra soffermarsi sul duplice controllo, di idoneità strutturale dei Modelli e di concreta attuazione dei medesimi. Ma non si conoscono giudizi espressi tenendo conto delle dimensioni dell’ente sottoposto a giudizio, dei rischi sottesi alla sua attività e dunque della sostenibilità economica delle scelte di compliance. Che, soprattutto in tempi di crisi, ci pare debba costituire un parametro imprescindibile nella valutazione dell’idoneità dei MOG.
Ci sono oggi, resi possibili dallo sviluppo tecnologico, strumenti metodologici per attuare con efficacia i Modelli organizzativi. La digitalizzazione dei dati e la standardizzazione dei processi consentono di organizzare flussi informativi quasi in tempo reale, garantendo un controllo rigoroso sulle attività operative dell’ente; ed è possibile immaginare un sistema di procedure che contrasti efficacemente il comportamento delittuoso; il ricorso a professionalità adeguate, infine, può garantire la disponibilità di una vigilanza concreta, efficace, tempestiva e puntuale. Ma a quale costo?
Certo non esiste una facile equazione cui fare riferimento per determinare il corretto punto di equilibrio tra tali fattori; né la lettera della legge consente a priori di legittimare il ricorso a tali formule per ottenere un giudizio preventivo di adeguatezza. Che, in ogni caso, non potrebbe, neppure esso, sostituirsi al controllo del Giudice, che come si è visto non è impedito neppure dall’assenza di rilievi ministeriali.
Però l’esigenza esiste, ed il dibattito sul punto si sta aprendo.
Per altri versi, l’accertamento del ricorrere dell’elemento psicologico a base dell’imputabilità della colpa di organizzazione, la scelta di non prevenire i reati o almeno l’accettazione della possibilità che essi possano essere commessi, l’intensità dello sforzo posto in essere per contrastarli, può essere suffragato da una serie di test che l’azienda prima, ed il Giudice poi, possono compiere per valutare la condotta.
Come il Giudice può affidarsi ad un perito per valutare l’idoneità del Modello, evidentemente in corso di causa, e quindi post facto, così deve ritenersi legittimo che l’ente si avvalga di un esperto per farsi valutare ante factum. E se da queste valutazioni scaturiscono suggerimenti di correzione o integrazione del Modello, e questi suggerimenti vengono adeguatamente vagliati ed adottati, l’azienda può ritenersi consolidata nell’intendimento di adempiere alle prescrizioni di legge.
Più ancora, il semplice fatto di aver voluto sottoporre le scelte organizzative conseguenti all’adizione ed attuazione del Modello al vaglio di un terzo esperto (diverso dal consulente che abbia aiutato a predisporre il Modello stesso, evidentemente), non può che costituire un elemento, di cui il Giudice dovrà tener conto, a testimonianza e riprova della volontà dell’ente di adempiere compiutamente alle previsioni di legge.
E se questo vaglio avrà anche preso in considerazione il rapporto fra le dimensioni quantitative sopra indicate allo scopo di valutare in concreto, e nello specifico della realtà aziendale considerata, l’idoneità del Modello in relazione alla sostenibilità dello sforzo rispetto al fine, si ritiene che anche questo elemento - pur soggetto al libero apprezzamento del giudicante - dovrà avere un peso nel decidere in merito alla responsabilità dell’ente.
(TERZO DI UNA SERIE DI ARTICOLI - SECONDA PARTE)
Il comma 3 dell’art. 6 del Codice ci dice che i modelli possono essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti da associazioni di categoria, comunicati dal Ministero della Giustizia il quale, entro 30 gg., può formulare osservazioni sull’idoneità dei modelli a prevenire i reati.
Tutto risolto, dunque? Verosimilmente no.
La possibilità di rilievi da parte del Ministero, da un lato, deve essere intesa come finalizzata ad evitare l’adozione di codici etici puramente formali, e formalistici, privi di reale capacità di incidere sui comportamenti concreti e contrastare le violazioni di legge; e, dall’altro lato, non incide sul controllo giudiziale dell’effettiva idoneità dei Modelli, controllo che dunque può ben negare tale idoneità ancorché in assenza di rilievi ministeriali.
Un florilegio di pronunce ha tentato di individuare i requisiti di idoneità dei Modelli, che sostanzialmente guardano tutti ad ottenere una visione realistica ed economica dei fenomeni aziendali, ed in generale la prevalente corrente di pensiero sembra soffermarsi sul duplice controllo, di idoneità strutturale dei Modelli e di concreta attuazione dei medesimi. Ma non si conoscono giudizi espressi tenendo conto delle dimensioni dell’ente sottoposto a giudizio, dei rischi sottesi alla sua attività e dunque della sostenibilità economica delle scelte di compliance. Che, soprattutto in tempi di crisi, ci pare debba costituire un parametro imprescindibile nella valutazione dell’idoneità dei MOG.
Ci sono oggi, resi possibili dallo sviluppo tecnologico, strumenti metodologici per attuare con efficacia i Modelli organizzativi. La digitalizzazione dei dati e la standardizzazione dei processi consentono di organizzare flussi informativi quasi in tempo reale, garantendo un controllo rigoroso sulle attività operative dell’ente; ed è possibile immaginare un sistema di procedure che contrasti efficacemente il comportamento delittuoso; il ricorso a professionalità adeguate, infine, può garantire la disponibilità di una vigilanza concreta, efficace, tempestiva e puntuale. Ma a quale costo?
Certo non esiste una facile equazione cui fare riferimento per determinare il corretto punto di equilibrio tra tali fattori; né la lettera della legge consente a priori di legittimare il ricorso a tali formule per ottenere un giudizio preventivo di adeguatezza. Che, in ogni caso, non potrebbe, neppure esso, sostituirsi al controllo del Giudice, che come si è visto non è impedito neppure dall’assenza di rilievi ministeriali.
Però l’esigenza esiste, ed il dibattito sul punto si sta aprendo.
Per altri versi, l’accertamento del ricorrere dell’elemento psicologico a base dell’imputabilità della colpa di organizzazione, la scelta di non prevenire i reati o almeno l’accettazione della possibilità che essi possano essere commessi, l’intensità dello sforzo posto in essere per contrastarli, può essere suffragato da una serie di test che l’azienda prima, ed il Giudice poi, possono compiere per valutare la condotta.
Come il Giudice può affidarsi ad un perito per valutare l’idoneità del Modello, evidentemente in corso di causa, e quindi post facto, così deve ritenersi legittimo che l’ente si avvalga di un esperto per farsi valutare ante factum. E se da queste valutazioni scaturiscono suggerimenti di correzione o integrazione del Modello, e questi suggerimenti vengono adeguatamente vagliati ed adottati, l’azienda può ritenersi consolidata nell’intendimento di adempiere alle prescrizioni di legge.
Più ancora, il semplice fatto di aver voluto sottoporre le scelte organizzative conseguenti all’adizione ed attuazione del Modello al vaglio di un terzo esperto (diverso dal consulente che abbia aiutato a predisporre il Modello stesso, evidentemente), non può che costituire un elemento, di cui il Giudice dovrà tener conto, a testimonianza e riprova della volontà dell’ente di adempiere compiutamente alle previsioni di legge.
E se questo vaglio avrà anche preso in considerazione il rapporto fra le dimensioni quantitative sopra indicate allo scopo di valutare in concreto, e nello specifico della realtà aziendale considerata, l’idoneità del Modello in relazione alla sostenibilità dello sforzo rispetto al fine, si ritiene che anche questo elemento - pur soggetto al libero apprezzamento del giudicante - dovrà avere un peso nel decidere in merito alla responsabilità dell’ente.
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