La questione dell’abuso del diritto


Titolarità del diritto e suo esercizio. Sviamento della condotta dall'interesse e principio di buona fede. Abuso del diritto in ambito societario
La questione dell’abuso del diritto
Nell’esercitare il diritto lo si fa con la ragionevole convinzione della liceità del proprio agire.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20106/2009 ha esplicitamente affermato che disporre di un potere non è condizione sufficiente per il suo legittimo esercizio.
Attraverso il principio dell’abuso del diritto, l’ordinamento pone una regola generale con la quale nega tutela ai poteri, diritti e interessi in contrasto con la disciplina dell’azione prescelta. Vengono così private di validità le rivendicazioni contrarie al principio di buona fede oggettiva, sopprimendo l’apparente conformità dell’atto al paradigma che autorizza il potere.
L’abuso del diritto è un principio generale del sistema giuridico dell’Unione Europea, che non richiede recepimento alcuno da parte degli Stati membri (Corte di Giustizia - causa C-251/2016, sentenza depositata il 22.11.2017). La pronuncia rappresenta un ulteriore tassello nel mosaico tracciato dalla giurisprudenza comunitaria in materia di abuso nel solco della celebre sentenza "Halifax" del 21.2.2006[1].

Si rinviene l’abuso del diritto in due distinte ipotesi: nello sviamento della condotta dall’interesse e nella sproporzione tra il vantaggio conseguito dall’autore della condotta e il danno arrecato.
Se il secondo caso trova forma giuridica in materia contrattuale nell’ambito della regola di buona fede, l’ipotesi di sviamento della condotta dall’interesse non trova, nel nostro ordinamento, una disposizione che la preveda o che consenta di qualificarla direttamente con l’espressione dell’abuso del diritto[2].
Facendo operare un criterio valutativo tra la fattispecie normativa e il fatto concreto, si rinviene l’elemento essenziale dell’interesse: ciò che configura la sostanza attributiva del diritto e quindi del potere che permette l’azione[3].

In ambito societario, il tema dell’abuso del diritto ha trovato spazio nel contesto di quegli atti di esercizio di diritti e facoltà da parte dei soci o degli organi di amministrazione e controllo.
In materia di abuso della maggioranza sociale ai danni della minoranza, la Cassazione con la sentenza n. 11151/1995 ha dato avvio al nuovo filone giurisprudenziale che abbandona la teoria dell’eccesso di potere esercitato dalla maggioranza mentre riconduce l’ipotesi dell’abuso del diritto alla violazione della buona fede oggettiva: si sostituisce così la prova dell’intento fraudolento come elemento costitutivo della fattispecie con una valutazione in termini del tutto obiettivi della condotta dell’abusante. La prova della voluntas nocendi lascia spazio alla prova dell’esistenza di un interesse extra sociale perseguito dall’abusante a danno dei soci e della società (Cass. civ. 15942/2007).

In materia di direzione e coordinamento di società, l’art. 2497 c.c. prevede espressamente gli obblighi di comportamento posti a capo di chi riveste tale ruolo, senza rinviare ad un generico dovere di neminem laedere. Ciò ha indotto la dottrina prevalente ad attribuire a questa responsabilità natura contrattuale[4].
Questo obbligo è a carico di un soggetto (la holding) tenuta ad una prestazione specifica a vantaggio di una o più controparti determinate o determinabili (i soci di minoranza e i creditori della società eterodiretta)[5].
Tale paradigma è in sé il criterio regolatore e il limite generale all’esercizio dell’influenza dominante: la disciplina della violazione di tale standard legale di comportamento, ossia l’abuso del diritto, permette così di tutelare gli interessi dei soci di minoranza e dei creditori della società etero diretta[6]..
[1] Italia Oggi del 23.11.2017, pag. 31.
[2] Restivo, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007, pagg. 1978-228.
[3] AAVV, Abuso del diritto e buona fede nei contratti, Torino, 2010, pag. 123.
[4] F. Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. dopo la riforma delle società, 2004, 162.
[5] A. Pavone La Rosa, Nuovi profili della disciplina dei gruppi societari, in Le società, 2003, 770. Nello stesso senso anche L. Benedetti, La responsabilità ‘‘aggiuntiva’’ ex art. 2497, 2 co., c.c., in Quad. giur. comm., 2012, 9
[6] Annapaola Negri-Clementi e Filippo Maria Federici, La natura della responsabilità della capogruppo e la tutela del socio di minoranza in Le società, 5/2013, pag. 524)

Articolo del:


di Avv. Massimo Meldoli

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