Le polizze vita


Un requisito importante: non rientrano nell'asse ereditario del contraente
Le polizze vita
Le "polizze vita caso morte" sono quelle coperture assicurative che, in caso di premorienza del contraente assicurato e a fronte del versamento di un premio, prevedono il pagamento di un capitale in favore di un beneficiario designato (generalmente gli eredi) . La polizza può corrispondere alla vita intera dell’assicurato (anche contraente) oppure può essere "temporanea" e, in questa seconda ipotesi, avrà una durata stabilita nel tempo (cd. polizza "temporanea caso morte" o T.C.M.).
In entrambi i casi, lo scopo principale delle "polizze vita caso morte" è quello di proteggere economicamente i superstiti dalla morte dell’assicurato che nel caso della TCM coincide generalmente con il contraente della polizza. Caratteristica comune ad entrambi i tipi di polizza è che il beneficiario può sempre essere cambiato dal contraente, tranne nel caso di "beneficio accettato" per iscritto, dove tale facoltà non può più essere esercitata.
Sul punto, l’art. 1920 c.c. espressamente prevede che "E’ valida l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo. La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore, o per testamento; essa è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a designazione l’attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona. Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione".
Il dispositivo implica che il beneficiario designato dal contraente acquisisca il capitale in virtù di un "diritto proprio" che trova la sua fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante" (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 26606 del 2016) e comporta, sul piano pratico che il lascito non entra in nessun caso nell’asse ereditario del contraente defunto. Non cadendo in successione, la dottrina e la giurisprudenza sono quindi concordi nel ritenere che il capitale corrisposto dall’Assicurazione non sia soggetto all’imposta di successione e non venga calcolato ai fini della lesione della "legittima" (cioè di quella quota che la legge riserva ai cd. "legittimari" e che, in nessun caso, può essere diminuita).
Pertanto, in virtù di questo "diritto proprio" e soltanto in caso di accertata lesione della quota di legittima, il beneficiario potrà - al massimo - essere chiamato a restituire la somma dei premi pagati dal contraente defunto e non sarà mai tenuto a riconsegnare il capitale nella sua interezza (ex art. 741 c.c. in tema di collazione). Ovviamente, questo principio si traduce, sul piano pratico, in un grande vantaggio sia per il beneficiario che per il contraente la polizza, dato che entrambi i soggetti avranno la certezza massima che il capitale non sarà mai intaccato da nessuno.
Un altro beneficio da non sottovalutare è la detrazione fiscale del 19% sulle rate dei premi per la parte "copertura caso morte", con un importo massimo detraibile di € 530,00 per anno d’imposta. Questo ulteriore vantaggio, unito alle sopra menzionate caratteristiche e all’impignorabilità e insequestrabilità del capitale (sebbene con taluni distinguo), ha permesso nel tempo la larghissima diffusione dell’istituto, che, come sopra evidenziato, viene ampiamente utilizzato come mezzo di protezione dalle incertezze (economiche) del futuro.
Un’ultima considerazione: la III Sezione Civile della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 19210 del 29.09.2015 ha precisato che, nel caso in cui i beneficiari siano gli eredi legittimi, il capitale deve essere liquidato secondo le singole quote ereditarie; ciò comporta che, a seguito del decesso del contraente, la Compagnia Assicuratrice dovrà pagare le polizze vita in misura proporzionale alla quota ereditaria di ogni singolo erede legittimo, beneficiario della disposizione. La "ratio" della pronuncia può essere rinvenuta nelle stesse parole della Suprema Corte che testualmente ha affermato: "Quando in un contratto di assicurazione sulla vita sia stato previsto per il caso di morte dello stipulante che l'indennizzo debba corrispondersi agli eredi tanto con formula generica, quanto e a maggior ragione con formulazione evocativa degli eredi testamentari o in mancanza degli eredi legittimi, tale clausola, sul piano della corretta applicazione delle norme di esegesi del contratto e, quindi, conforme a detta disposizione, dev'essere intesa sia nel senso che le parti abbiano voluto tramite dette espressioni individuare per relationem con riferimento al modo della successione effettivamente verificatosi negli eredi chi acquista i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920 c.c., commi 2 e 3), sia nel senso di correlare l'attribuzione dell'indennizzo ai più soggetti così individuati come eredi in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto secondo la modalità di successione effettivamente verificatasi, dovendosi invece escludere che, per la mancata precisazione nella clausola contrattuale di uno specifico criterio di ripartizione che a quelle modalità di individuazione delle quote faccia riferimento, che le quote debbano essere dall'assicuratore liquidate in misura eguale". In sintesi, la Corte, con la pronuncia in commento, ha abbandonato il precedente orientamento secondo il quale la liquidazione doveva avvenire necessariamente in parti uguali tra tutti gli eredi beneficiari e ha -giustamente- riconosciuto la cd. "liquidazione per stirpi" in base ai principi di diritto successorio.

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di Avv. Silvia Salomè

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