Contraffazione di marchi e segni distintivi


Distinzione tra contraffazione, alterazione e imitazione di marchi e segni distintivi
Contraffazione di marchi e segni distintivi
Nel corso degli ultimi anni si è constatata una proliferazione di procedimenti penali aventi ad oggetto i delitti ex artt. 473 (contraffazione, alterazione od uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni), 474 (introduzione nello Stato di prodotti con segni falsi) ovvero 517 (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) c.p..
Il fenomeno, spesso originato dall'iniziativa delle Forze dell'Ordine ex art. 354 c.p.p. nel quadro dell'attività di contrasto sul territorio alla generalizzata contraffazione di marchi e segni distintivi di capi di abbigliamento, variamente ascrivibile a soggetti tanto autoctoni quanto stranieri, è tuttavia riscontrabile in vari altri campi del panorama commerciale nazionale, in primis sul web ove una variegata moltitudine di siti pubblicizzano i servizi offerti al pubblico facendo uso di marchi e loghi legittimamente registrati da altre aziende presso l'U.I.B.M. (Ufficio Italiano Marchi e Brevetti).
La distinzione fondamentale da operare per identificare la tutela apprestata dall'Ordinamento è quella tra i concetti di contraffazione od alterazione, penalmente rilevanti, e quello di imitazione, la cui tutela è limitata all'ambito civilistico ex art. 2598, primo comma, c.c..
La contraffazione consiste nella pedissequa riproduzione del marchio o del segno distintivo, laddove per alterazione di questi ultimi se ne intende "la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali" (Cass. Pen., Sez. III, 30.11.2016, n. 14812, rv.269751); la imitazione, da ultimo, è definita come mera "riproduzione del motivo estetico-creativo che caratterizza il prodotto" (Cass. Pen., Sez. V, 30.11.2011, n. 2975, rv.251936).
La distinzione dei relativi ambiti non è sempre agevole: occorre, infatti, premettere che l’elemento caratterizzante la condotta integrante i delitti richiamati è l’attitudine del marchio contraffatto od alterato a "causare la confondibilità dell'oggetto contraffatto con il prodotto originario, o comunque ingenerare [nell’acquirente] una falsa rappresentazione della provenienza del prodotto" (Cass. Pen., Sez. V, 5 febbraio 2016, n. 16709, in C.E.D. Cass. RV266698) e che "il particolare settore dei prodotti e degli accessori di abbigliamento è, inoltre, caratterizzato da una grande attenzione all’immagine: [...] in relazione a prodotti di abbigliamento voluttuari, di elevato costo, fattura e qualità, occorre tener conto che chi si determina all’acquisto non lo fa senza oculata riflessione ed accurato esame del modello in tutte le sue caratteristiche, polarizzando la sua attenzione anche su ogni minima variante, necessariamente conducente alla ricerca della «firma» e cioè del marchio che in realtà è l’unico dato idoneo a svolgere, in questo campo, la funzione differenziatrice delle varie produzioni" (Tribunale Milano, Sezione specializzata in materia d’impresa, Sez. A, Sentenza n. 6095/2013 Gucci/Guess, pubbl. il 02/05/2013 RG n. 36857/2009, Repert. n. 4792/2013 del 02/05/2013).
Alla luce di quanto sopra, si è stabilito, in una recente pronunzia del Tribunale per il riesame capitolino, come "in assenza della riproduzione del segno distintivo tutelato dalla norma penale, non si configura il reato previsto dall'art. 517 cod. pen. (e, a maggior ragione, quello previsto dall'art. 473 o 474 cod. pen.) nell'ipotesi in cui la riproduzione riguardi le sole linee estetiche abitualmente identificative di un determinato prodotto, la cui rilevanza deve invece intendersi limitata all'ambito civile (in tal senso Cass., sez. V, 30.11.2011, [...] e Cass., sez. III, 19.5.2006, n. 28159" (Ord. Trib. Riesame Roma, 15.11.2017, Wang Jun).
Gli orientamenti patrocinati dalla Suprema Corte sono, tuttavia, non sempre lineari con l'impostazione di base, ora allargando, ora restringendo le maglie della tutela penale e, contestualmente, di quella civile: in una recente pronunzia, gli Ermellini hanno affermato come "il reato di contraffazione è configurabile con la semplice imitazione del marchio, anche se non registrato o riconosciuto, se l'imitazione è idonea a trarre in inganno gli acquirenti. Gli interessi tutelati dalle norme di diritto pubblico (penali, tributarie e amministrative) sono differenti rispetto alla tutela posta a presidio degli interessi dei produttori in ambito civile" (Cass. Pen., Sez. III, 6.6.2017, n. 27961).

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di Avv. Riccardo Brigazzi

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