Malpractice medica, condizione di procedibilità


Condizione di procedibilità e risvolti pratici post Riforma Legge "Gelli" (LEGGE 8 marzo 2017, n. 24) - Rito ordinario - 702 bis C.P.C.
Malpractice medica, condizione di procedibilità
L’art. 8, comma 1, della Legge in commento, in materia di responsabilità del sanitario, ovvero del socio-sanitario, eleva a condizione di procedibilità della domanda, l’espletamento della consulenza tecnica anticipata (ex art. 696 bis c.p.c.) finalizzata alla sottoscrizione di un atto conciliativo, che deve concludersi nel termine perentorio di 6 mesi.
Il secondo comma dell’art. 8 consente, tuttavia, di instaurare correttamente il giudizio teso ad accertare la responsabilità professionale sanitaria o socio-sanitaria, previo svolgimento del procedimento di mediazione di cui all’5, comma 1-bis, D. Lgs. 281/2010, fino a quando il procedimento della mediazione sarà mantenuto in vigore.
In relazione alla struttura del giudizio in materia di responsabilità medica emergono, tuttavia, chiare incongruenze in merito ai risvolti pratici dello stesso, in quanto il legislatore non ha ben specificato l'incidenza delle sorti della consulenza tecnica preventiva sul giudizio di merito in particolari ipotesi.
Parliamo dell'ipotesi in cui la parte attrice abbia instaurato il giudizio di merito senza preliminarmente richiedere la consulenza tecnica preventiva o la mediazione, e tale vizio del rito sia stato fatto valere dal convenuto ovvero d’ufficio dal giudice entro la prima udienza. In tale ipotesi la nuova legge prevede che il giudice debba concedere alle parti 15 giorni per espletare la procedura dell’art. 696 bis c.p.c. o la mediazione.
In tale circostanza si può rilevare un aspetto problematico della legge in commento: la brevità del termine perentorio di sei mesi per definire la consulenza tecnica preventiva innanzi al giudice quando non sia stata rispettato il procedimento previsto dall’art. 8, comma 1, L. 24/2017.
Infatti, se la consulenza tecnica preventiva deve espletarsi innanzi al giudice, di fronte al quale sia fatta valere la violazione dell’art. 8, comma 1, sarà difficile rispettare il termine di sei mesi per la conclusione del procedimento di consulenza preventiva in quanto, entro il suddetto termine, vi saranno da adempiere molte formalità, tra cui integrare il contraddittorio tra le parti, alle quali dovrà essere poi garantito il rispetto dei termini per la difesa, permettere alle parti chiamate di nominare propri consulenti, i quali, in contraddittorio con il CTP, dovranno presentare memorie necessarie per la stesura della bozza della consulenza, vi saranno inoltre i tempi per la redazione della relazione definitiva finalizzata alla conciliazione e quelli per il deposito della stessa. Tali attività dovranno concludersi entro il termine di sei mesi.
Ad ogni modo, nel caso in cui le attività connesse allo svolgimento della consulenza tecnica preventiva non si siano concluse nel termine fissato, il legislatore con il comma 3, art. 8,
L. 24/2017 ha stabilito che la domanda diviene procedibile con salvezza degli effetti se, entro 90 giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine di sei mesi, le parti ricorrano allo strumento di cui all’art. 702 bis c.p.c. da presentarsi innanzi al medesimo giudice assegnatario di conoscere della consulenza tecnica preventiva.
Tuttavia, anche in tale circostanza, il legislatore ha mancato di chiarire quale sia il rapporto tra la domanda di merito introdotto con rito ordinario e il ricorso ex art. 702 bis c.p.c.; infatti, allo stato attuale, in attesa di un intervento chiarificatore, possono configurarsi due interpretazioni circa il rapporto tra la domanda di merito ed il ricorso disciplinato dall’art. 702 bis c.p.c.
Una prima interpretazione possibile tende a considerare la domanda di merito sospesa in attesa della definizione del giudizio introdotto con lo strumento del ricorso d’urgenza. Una seconda interpretazione ritiene, invece, che il ricorso di cui all’art. 702 bis c.p.c., secondo le modalità previste dal comma 3, dell’art. 8, L. 24/2017, determini il mutamento del rito della domanda originaria nelle forme del procedimento sommario, con la possibilità però di una successiva riconversione del rito da sommario ad ordinario (secondo le normali previsioni delle norme che regolano il 702 bis c.p.c).
A ben vedere, se dovesse prevalere il primo orientamento, si potrebbe verificare la violazione del principio latino del "ne bis in idem" in quanto le parti potrebbero coltivare contemporaneamente sia il procedimento ordinario sia il procedimento sommario, con la conseguenza che potrebbero aversi decisioni differenti all’esito dei giudizi condotti con riti diversi tra i medesimi soggetti in ordine ad uno stesso oggetto.

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di Avv. Tiziano Mariani

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