Testimonianza e sommarie informazioni testimoniali


Se le deposizioni rese dalla stessa persona prima davanti alla Polizia Giudiziaria e poi in aula di udienza sono contrastanti, come ci si regola?
Testimonianza e sommarie informazioni testimoniali
Nel corso di un procedimento penale accade sovente che una persona informata sui fatti per i quali è giudizio sia chiamata a deporre sui fatti medesimi prima davanti alla Polizia Giudiziaria nella fase delle indagini preliminari e poi in aula di udienza, davanti al magistrato, durante l’istruttoria dibattimentale. Per distinguere le dichiarazioni rese in fase di indagini dalle testimonianze vere e proprie, ci si riferisce alle prime come sommarie informazioni testimoniali (s.i.t.). Tra la deposizione resa in sede di s.i.t., che solitamente è assunta a breve distanza dai fatti cui il dichiarante ha assistito, e quella che la stessa persona sarà chiamata ad effettuare davanti al giudice, può intercorrere un lasso di tempo considerevole, ragion per cui non è rara l’eventualità che il teste, al momento di deporre in aula, non ricordi gli eventi in modo nitido come quando li ha esposti agli inquirenti in corso di indagini. Il decorso del tempo altera la capacità di ricordare e raccontare i fatti.
Non è infrequente, dunque, che il contenuto della deposizione testimoniale contrasti con quello delle sommarie informazioni rese dalla stessa persona: in tale caso chi conduce l’esame, in conformità alla previsione dell’art. 500, primo comma, del codice di procedura penale, può contestare al testimone questa divergenza rileggendogli il verbale delle dichiarazioni dallo stesso rese a s.i.t., purché il verbale faccia parte del fascicolo del P.M. e su quei fatti il teste abbia già deposto. A volte la contestazione riesce nell’intento di "risvegliare" la memoria del teste compromessa dal passare del tempo e lo induce a rettificare la sua deposizione a ad allinearla a quella resa precedentemente; altre volte, viceversa, ciò non avviene, quindi ci si trova di fronte a due dichiarazioni rese dalla stessa persona e sugli stessi fatti di tenore differente o addirittura contrastante. Che fare in questi casi?
Nell’odierno sistema processuale penale di tipo accusatorio vige una regola "aurea" secondo cui la prova decisiva ai fini della pronuncia del giudice si forma al suo cospetto, in aula di udienza e nel contraddittorio delle parti. Solamente in questa sede la persona che conosce i fatti di causa assume il ruolo di testimone, mentre quando viene interrogato in fase di indagini è semplicemente una "persona informata sui fatti", ossia un potenziale futuro testimone, il quale rilascia "sommarie informazioni". Ne deriva che in caso di contrasto tra le due dichiarazioni, rese in tempi diversi e di fronte ad autorità diverse, chi giudica dovrà reputare completamente irrilevanti le informazioni emergenti dai verbali di s.i.t.? Assolutamente no.

Le dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti nel corso delle indagini preliminari e lette per la contestazione in dibattimento costituiscono comunque un elemento attraverso il quale il giudice può stabilire l’attendibilità come testimone di quella persona che ha deposto davanti a lui offrendo una narrazione dei fatti di causa difforme dalla precedente. Ciò è stabilito a chiare lettere dal secondo comma dell’art. 500 cit. Le dichiarazioni rese a s.i.t., dunque, sono strumento di valutazione della credibilità del teste, e non di ricostruzione della verità dei fatti. Come prova dei fatti vale la testimonianza, con un’importante eccezione: se, per le circostanze emerse nel corso del dibattimento, il giudice dispone di elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto ad illecite ed indebite pressioni affinché non deponga o deponga il falso, le dichiarazioni rese a s.i.t. e contenute nel fascicolo del P.M. vengono acquisite al fascicolo per il dibattimento e, da semplici strumenti per valutare se il teste sia attendibile o meno, diventano veri e propri elementi di prova (4° comma art. 500 cit.). La regola che impone la formazione della prova in dibattimento non è per questo messa in discussione, ma, naturalmente, nella motivazione della sua sentenza il giudice avrà cura di specificare, con un percorso argomentativo giuridicamente e logicamente condivisibile, i motivi e le circostanze che lo hanno indotto a reputare la testimonianza raccolta in aula di udienza palesemente falsa e/o reticente, e a toglierle valore probatorio a tutto vantaggio della sommaria informazione testimoniale che il dichiarante abbia reso nella fase delle indagini.

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di Cristina De Marchi

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