La clausola solve et repete


L'operatività della clausola alla luce del principio di buona fede e di proporzionalità
La clausola solve et repete
Il contratto è un fenomeno complesso e la sua analisi in sede contenziosa richiede un’indagine verso la volontà delle parti tenuto conto tuttavia dell’esistenza di un potere attribuito al Giudice il quale può incidere sulla relativa disciplina: dall’applicazione di clausole generali[1], prima fra tutti il principio di buona fede e quello di proporzionalità.
Nell’ambito della loro autonomia negoziale, le parti possono stipulare la clausola c.d. solve et repete, disciplinata dall'art. 1462 cod. civ. In base ad essa si trova ad essere bloccata la possibilità che una parte opponga all’altra le proprie eccezioni, sinché quest’ultima non abbia adempiuto.
E’evidente il carattere vessatorio di tale clausola.
Per tale ragione, la sua operatività incontra il principio di proporzionalità, che assolve ad una funzione di controllo sugli atti di autonomia[2], mentre quello di buona fede permette di riequilibrare gli accordi vistosamente squilibrati ab origine o per effetto di circostanze esogene. Soprattutto permette di sanzionare la condotta contrattuale scorretta della parte nel cui interesse opera la clausola.
Il contraente "forte" non può valersi di quella disposizione qualora abbia agito in spregio agli obblighi di cooperazione che regolano i rapporti tra i contraenti.
La limitazione al potere di eccezione di cui all’art. 1462 c.c. richiede una ponderata valutazione delle circostanze del caso concreto, del comportamento del beneficiario della clausola medesima nonché della posizione personale di quella parte nei cui confronti viene invocata.
Il sistema, come è noto, sanziona quei comportamenti che sono espressione dell’abuso del diritto[3].
Qualora circostanze esogene possano alterare l’equilibrio contrattuale, rendendo eccessivamente onerosa la prestazione di cui alla clausola in discussione rispetto a quanto poteva risultare prevedibile al momento della conclusione del contratto, occorrerà ridefinire i termini dell’accordo.
La rinegoziazione preserva la validità del contratto e salvaguarda l’obbligo di tutela dell’altro contraente, nel rispetto del principio del neminem laedere.
L’art. 1462, al 2° comma, prevede un rimedio correttivo a situazioni di oggettiva lesione dell’interesse dell’onerato, anche a prescindere dall’atteggiamento psicologico del beneficiario: il limite di rilevanza posto dalla legge è dato dallo «[...] squilibrio causale derivante dal conseguimento di un risultato ottenuto violando le regole di correttezza" [4].
I principi di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano dunque"sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti" [5].
Ove ricorrano gravi motivi, "il giudice può sospendere la condanna, imponendo se del caso, una cauzione": il Legislatore gli attribuisce il potere di stabilire mediante giudizio equitativo il contenuto del diritto alla revisione del contratto che non sia stato riconosciuto ed attuato dal contraente inerte o renitente.
Il Giudice ha così "la facoltà di piegare e rendere duttile, secondo le varie esigenze dei singoli casi concreti, quella clausola che, per l’ipotesi di una sua incondizionata efficacia, risulterebbe ferrea e potrebbe secondo i casi essere anche iniqua" [6].
Sotto quest’ultimo profilo, tali principi consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto.
L’intervento dell’organo giudicante può arrivare a riempire di contenuti la clausola di buona fede, canone inderogabile con funzione di limitazione e controllo dell’autonomia contrattuale[7].

[1] Stefano Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 73.
[2] Perlingieri, P., Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, pag. 451.
[3] Cass., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106.
[4] Giovanni Sicari "La clausola solve et repete nel sistema delle obbligazioni negoziali", Scuola di Dottorato in Diritto Internazionale, Privato e del Lavoro Indirizzo di Diritto Privato nella dimensione europea, Università Degli Studi di Padova, anno 2008 Ciclo XX, pag. 183 e ss.
[5] Cass. Civ. n. 20106/2009.
[6] Greco, P., La clausola «solve et repete» : ragioni e limiti del la sua efficacia, in Riv. Dir. comm., 1931, I, pag. 163.
[7] Sul punto si veda Morelli Mario, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti, in Giustizia civ., 1994, I, 2168.

Articolo del:


di Massimo Meldoli

L'autore dell'articolo non è nella tua città?

Cerca un professionista con le stesse caratteristiche a te più vicino.

Cerca nella tua città o in una città di tuo interesse