L'impianto dell'embrione post mortem


Il Tribunale di Bologna (ordinanza del 16.01.2015) ha detto sì all'impianto di un embrione post mortem
L'impianto dell'embrione post mortem
La vicenda è iniziata nel lontano 1996, quando due coniugi si sono rivolti al Centro di Fecondazione Assistita del Policlinico Sant'Orsola Malpighi di Bologna per ricorrere alla tecnica di procreazione assistita e nello specifico alla tecnica Fivet.
L'intervento, eseguito nella primavera dello stesso anno, si concludeva con un esito negativo e i medici procedevano alla crioconservazione degli embrioni non impiantati.
La coppia rinnovava nel 2010 la propria volontà di procedere ad un nuovo impianto, ma nel 2011 il marito decedeva. Così la donna si rivolgeva al Policlinico per ottenere il trasferimento degli embrioni conservati, ma la sua richiesta non veniva accolta, così come il ricorso depositato in via d'urgenza presso il Tribunale di Bologna.
Diversa è stata la soluzione adottata dal Collegio in sede di reclamo del provvedimento negativo.
Il Collegio ha rilevato la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, ravvisando dunque la necessità di procedere in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c.; quanto al periculum, questo è stato individuato nell' "età della reclamante, di anni cinquanta, nonchè nell'aleatorietà dei risultati della fecondazione assistita e delle maggiori difficoltà proporzionate al progredire dell'età dei genitori".
La problematica centrale era rappresentata dalla presenza o dall'assenza di un valido consenso dei coniugi al trattamento sanitario ex art.6 L.40/2004: il documento firmato nel 2010, la "Dichiarazione di interesse al futuro impianto degli embrioni", non lo avrebbe integrato, rappresentando solo una manifestazione di volontà idonea ad escludere lo stato di abbandono degli embrioni.
Tuttavia il Collegio, dando rilievo alla tempistica del trattamento, iniziato prima del 2004, prima dell'entrata in vigore della legge, ha richiamato la disciplina prevista dalle linee guida in materia di PMA che espressamente contemplano "gli embrioni in attesa di un futuro impianto, compresi tutti quelli conservati prima dell'entrata in vigore della legge", e prevedendo che "la donna ha sempre il diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati".
Dovendosi applicare questa disciplina viene superato il problema relativo all'interpretazione di quanto previsto in tema di consenso dall'art. 6 L.40/2004.
Nè può destare alcun dubbio la parola "trasferimento", da intendersi come impianto in utero dell'embrione, dovendosi escludere che per trasferimento si intenda passaggio materiale da una struttura all'altra.
Sulla base di quanto sopra, dando rilievo alla volontà della reclamante, è stato accolto il ricorso, ed è stato ordinato all'Azienda Ospedaliera di procedere.
La L.40/2004 ha introdotto forti limitazioni alla possibilità di conservare gli embrioni non impiantati, a differenza di ciò che avveniva in precedenza, ed è questo il motivo per cui non è prevista un'analitica disciplina quanto alla loro sorte, specialmente per quanto riguarda eventuali revoche del consenso da parte di uno o di entrambi i coniugi.
I limiti sono venuti meno con la sentenza n.51/2009 della Corte Costituzionale, potendosi ora ricorrere alla crioconservazione di embrioni prodotti ma non impiantati.
L'art.6 prescrive che "la volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati fino al momento della fecondazione dell'ovulo". La coppia deve quindi manifestare la propria volontà, nelle forme indicate, per accedere alle tecniche, disponendo successivamente di almeno sette giorni per cambiare idea e revocare il proprio consenso.
A rigor di logica, dopo questi sette giorni, e comunque dopo la fecondazione dell'ovulo, non ci sarebbero ulteriori consensi da prestare. Ogni successivo evento non dovrebbe rilevare, nè la morte, nè un'eventuale separazione della coppia.
L'art.5 prevede che per accedere alla tecnica bisogna essere maggiorenni, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Queste caratteristiche sono richieste per l'accesso e nulla si dice per quanto riguarda l'espletamento della procedura, argomentazione rafforzata dalla considerazione dell'embrione come essere vivente, la cui esistenza non può essere messa in discussione da vicende che potrebbero verificarsi anche in presenza di una gravidanza naturale, non giustificandosi una tale disparità di trattamento.
E' quindi possibile interpretare le disposizioni così come ha operato il Tribunale di Bologna, dando risalto alla volontà della donna ad ottenere il trasferimento dell'embrione, coronando quel lungo, incerto e faticoso iter qual è la procreazione medicalmente assistita.

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di Avv. Milena Iannaccone

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