Risparmio e previdenza: un confine "labile"


Dove finisce il risparmio o dove inizia la previdenza: esigenze reali che possono trovare soluzione su strumenti complementari e con similitudini
Risparmio e previdenza: un confine "labile"
Secondo dati resi noti anche da recenti statistiche, i cittadini italiani sono meno propensi dei cittadini di altri paesi europei nel sottoscrivere polizze assicurative. Vi è la tendenza a dotarsi di strumenti di protezione ed assicurazione quasi esclusivamente ove questo sia previsto come obbligo legislativo (responsabilità civile, polizze infortuni, fondi pensionistici) ed a poco sembrano servire anche i vantaggi di natura fiscale previsti per incentivarne l'afflusso (fondi pensione, trattamento fiscale favorevole per TFR, polizza caso morte). Sarà ma la "scaramantica attitudine" dei popoli del Sud sembra prevale sulla ragione...

Eppure, a mio avviso, una riflessione è quanto mai d'attualità sia per i cambiamenti sociali e demografici che il Paese sta attraversando, sia per l'evoluzione che lo "stato sociale" o "welfare" si trova ad affrontare, sia per i cambiamenti che i mercati tradizionali di allocazione del risparmio "nazionale" hanno subito che per le loro prospettive viste da qui in avanti.

L'esigenza di rimodulare, ripensare l'approccio e l'allocazione del risparmio anche in chiave previdenziale-assistenziale e sanitaria affiora ora da una indagine recente (l'ennesima, si dirà...) circa ad esempio il differenziale tra l'ultima retribuzione prima della quiescenza e la pensione.

Oggi chi ha avuto accesso alla pensione a 65 anni e dopo un periodo di contribuzione di 38 anni percepisce un reddito pari circa all' 84% dell'ultimo stipendio. I giovani che hanno iniziato da poco a lavorare che andranno in pensione a 67 anni (o giù di lì) percepiranno una pensione pari all'incirca al 70% dell'ultimo stipendio. Per quanto si possa dire che l'esempio è ipotetico, fornisce una buona approssimazione del "rischio" che grava sulle nuove generazioni ed anche su chi ha ancora un percorso piuttosto lungo, i termini lavorativi, da qui alla pensione.

Oggi ricordiamo che siamo ormai pienamente in un regime contributivo: per chi voglia ragionare sul caso pratico e fare un approfondimento su questo tema oltre a leggere la "busta arancione" o rivolgersi all' INPS, consiglio di digitare "EPHESO" su internet accedendo così all'applicativo messo gratuitamente a disposizione da "Il Sole 24 Ore": con pochi anonimi dati, è possibile ottenere, con buona approssimazione, il calcolo della propria pensione in relazione al reddito percepito. Vedere espresso il gap tra stipendio e pensione in termini percentuali fa un certo effetto!

Altro aspetto sul quale tutti siamo particolarmente sensibili: il servizio sanitario nazionale (S.s.n.).

Un articolo di Pasquale Dell'Aversana (Associazione per il Progresso del Mezzogiorno) che promuove il convegno del prossimo 21 marzo a Roma presso l'Avvocatura dello Stato dal titolo "Sanità tra equità ed equilibrio" ricorda l'evoluzione della spesa pubblica relativamente a questo capitolo di spesa e di come questa sia correlata, come le altre del bilancio dello Stato, all'andamento del P.I.L.. E di come sia cambiata, dal 1978 ad oggi, per l'adozione del principio dell' "universalismo" dell'assistenza sanitaria.

Principio, sostiene l'autore, che potrebbe (usiamo il condizionale) essere messo in crisi in futuro tanto da far sì che "il S.s.n. potrebbe non essere in grado di dare garanzia di equità della risposta pubblica alla domada sanitaria dei cittadini. L'universalismo del Ssn si salverà solo se lo stesso, da unico fornitore si evolverà a fornitore compartecipe e integrato di un sistema complessivo, ove l'offerta del privato (sanità privata intermediata e complementare) sia chiamata legittimamente a dare il suo apporto".

A ciò si aggiunga, dico io, il trend di incremento delle aspettative di vita (con conseguenze, ad esempio, sui fattori di conversione in rendita), l'aumento dell'insorgenza di malattie neuro-degenerative che necessitano di assistenza (anche professionale e in adeguate strutture), ecc...

Se il risparmio, come dovrebbe, è fatto, anche, per fronteggiare eventi inaspettati, per proteggere il patrimonio (inteso nel complesso di beni mobili ed immobili), alla luce di attese di rendimenti dalle forme tradizionali d'investimento oggi molto compressi verso il basso ritengo corretto prendere in considerazione forme di previdenza complementare (secondo e/o terzo "pilastro"), polizze sanitarie (per copertura spese mediche, di assistenza e/o costo esami di prevenzione), polizze infortunistiche, ecc...

In taluni casi il vantaggio fiscale vale di per sè il rendimento che l'alternativa dell'investimento avrebbe offerto; la velocità e la qualità dell'accesso alla prestazione "garantita" nel caso di evento "avverso" sgrava da incombenze difficili da gestire in situazioni per giunta già difficili anche solo emotivamente, il mancato ricorso allo smobilizzo di risorse finanziarie che potrebbero richiedere tempi incerti e penalizzazioni economiche può poi essere considerato un "extra-rendimento" del patrimonio.

Gli articoli a cui mi riferisco sono apparsi su "La Stampa" lo scorso 13 marzo 2018 con il titolo "Allarme CENSIS: 5,7 milioni di giovani a rischio povertà entro il 2050" e il 16 marzo 2018 su "Il Sole 24 Ore" con il titolo "Equità fiscale e crescita per salvare il Ssn" a firma Pasquale Dell'Aversana.

Articolo del:


di Stefano Chiavon

L'autore dell'articolo non è nella tua città?

Cerca un professionista con le stesse caratteristiche a te più vicino.

Cerca nella tua città o in una città di tuo interesse