Responsabilità psichiatrica


La responsabilità dello psichiatra e della struttura sanitaria nel difficile equilibrio tra rispetto della libertà e protezione di pazienti e terzi
Responsabilità psichiatrica
Per meglio chiarire ed individuare le responsabilità del medico psichiatra e della struttura in cui sono accolti pazienti con problemi psichiatrici, si ritiene utile preliminarmente definire un PERIMETRO delle medesime; e, una volta ‘perimetrate’ le responsabilità, considerare quali sono gli strumenti per farvi fronte.
A) Responsabilità del medico
A1) Responsabilità penale
A1a) Responsabilità per atti auto ed etero lesivi del paziente in cura.
Con l’introduzione della l. n. 180/78 il malato mentale è stato riconosciuto come titolare di un diritto all’autodeterminazione in riferimento alla propria cura, al pari di qualsiasi altro malato.
Ciò ha condotto una parte della dottrina (CUPELLI: "La responsabilità penale dello psichiatra", Napoli, 2013, pp. 99 e segg.; MANNA: "La riforma Basaglia e la responsabilità penale dello psichiatra per atti auto - ed etero - lesivi dei pazienti in Italia", in "Archivio Penale", gennaio - aprile 2016, pp. 4 e segg.) a distinguere tra malati sottoposti a t.s.o. - incapaci di badare a sé stessi - e malati non sottoposti a ricovero coatto che decidono in maniera autonoma ed acconsentono ad un trattamento terapeutico da parte dello psichiatra: "tale distinzione è di fondamentale importanza in quanto giustamente si è sostenuto come una posizione di controllo e, dunque, una responsabilità per omissionem penalmente rilevante può sorgere solo durante il t.s.o., giacchè soltanto in tale ambito il paziente psichiatrico è incapace di badare a sé stesso e quindi gli eventuali atti auto o etero lesivi possono venire imputati allo psichiatra per omesso controllo, ma solo in tale caso, perché viceversa, nell’ipotesi in cui il paziente abbia deciso autonomamente di affidarsi ad una terapia psichiatrica e quindi abbia prestato il relativo consenso, non potrà fondarsi alcuna posizione di garanzia, in particolare, di protezione, proprio a causa della autonomia decisionale del paziente medesimo" (MANNA, op. cit. p. 4).
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità e di contrario avviso ed ha ritenuto sussistere una responsabilità colposa per omissione del medico anche in caso di pazienti non sottoposti a t.s.o.:
- "anche fuori dell’ipotesi di ricovero coatto lo psichiatra è titolare di una posizione di garanzia, sullo stesso gravando doveri di protezione e di sorveglianza del paziente in relazione al pericolo di condotte autolesive" (Cass. Pen. IV, n. 48292/08)
- "il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto ed ha, pertanto, l’obbligo - quando sussista il concreto rischio di condotte auto lesive, anche suicidiarie - di apprestare specifiche cautele" (Cass. Pen. IV, nn. 16975/2013 e 33609/16).
- "risponde di omicidio colposo il medico curante e direttore di casa di cura psichiatrica che abbia cagionato il suicidio di una paziente, ricoverata volontariamente presso la struttura sanitaria per sindrome depressivo psicotica, consentendo che la stessa uscisse accompagnata da una assistente volontaria non qualificata ed omettendo di fornire all’accompagnatrice medesima informazioni sui pregressi tentativi di suicidio della paziente" (Cass. Pen. IV, n. 10430/2003, nel caso in esame la S.C. ha chiarito che è irrilevante, per escludere la responsabilità dello psichiatra, il fatto che la l. 180/1978 non consenta al medico di impedire l’uscita di paziente non sottoposta a t.s.o., perché sussiste comunque l’addebito per le modalità di affidamento della paziente all’assistente volontaria non qualificata, né adeguatamente informata sui pregressi tentativi di suicidio).
Le fattispecie concrete dalle quali sono scaturite le su indicate pronunce della S.C., riguardavano atti auto lesivi consistenti del suicidio del paziente.
I medici curanti sono stati ritenuti responsabili in quanto avevano omesso di assicurare una stretta e continua sorveglianza del malato o non avevano impedito al malato, con divieto di uscita senza autorizzazione, di allontanarsi dal reparto od ancora (come su visto) avevano affidato una paziente con pregressi tentativi di suicidio ad un’assistente non preparata e non informata su detti passati tentativi.
In tema di atti auto lesivi, si è dell’avviso, comunque, che, al fine di evitare di incorrere in responsabilità, il medico non solo debba realizzare quelle cautele che, nei casi in esame, non erano state poste in essere, ma anche debba applicare la terapia più adatta e meglio conforme a quelle linee guida o buone pratiche clinico assistenziali di cui all’art. 5 l. 24/2017.
Si ritiene che il medico possa subìre una condanna per omicidio colposo solo nel caso venga dimostrato che l’evento era prevedibile a causa di un elevato rischio suicidiario e che l’esito tragico si sarebbe potuto evitare tramite la predisposizione di una serie di specifiche adeguate misure.
Interessante in proposito la recente Cass. Pen. IV n. 14766/2016, in tema di suicidio per impiccagione: la S.C. ha assolto lo psichiatra, escludendo la sussistenza di un’omissione penalmente rilevante, perché egli si era attenuto al dovere oggettivo di diligenza ricavato dalla regola cautelare, applicando la terapia più aderente alle condizioni del malato ed alle regole dell’arte psichiatrica; nella fattispecie, alla luce dei dati clinici in suo possesso ed ai parametri di valutazione individuabili nella letteratura scientifica, non era ravvisabile un rischio suicidiario concreto ed imminente.
In tema di atti etero lesivi, la giurisprudenza di legittimità ha oramai riconosciuto un concorso colposo del medico nel delitto doloso del paziente "sia nel caso in cui la condotta colposa (del medico) concorra con quella dolosa (del paziente) alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello di vera e propria cooperazione colposa, purchè in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto dalle legge anche nella forma colposa (ad es. lesioni personali o omicidio) e nella sua condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa; in particolare è necessario che la regola cautelare violata sia diretta ad evitare anche il rischio dell’atto doloso del terzo (il paziente), risultando dunque quest’ultimo prevedibile per l’agente (il medico). In pratica, risponderà di omicidio colposo lo psichiatra che, senza acquisire le conoscenze disponibili sul percorso patologico del paziente ed essersi informato in modo continuativo sull’evoluzione della malattia al fine di verificare l’esistenza di sintomi ‘allarmanti’ conseguenti alla modifica del trattamento, con modalità diverse da quelle prescritte dalla migliore scienza psichiatrica, riduca e poi sospenda il trattamento farmacologico neurolettico nei confronti del paziente psicotico che poi commette un omicidio (Cass. Pen. N. 10795/2007).
Di recente v. Cass. Pen. IV n. 28187/2017 secondo cui "la responsabilità del medico psichiatra a titolo di concorso colposo nel delitto doloso commesso dal paziente psichiatrico è un ipotesi configurabile in astratto nel nostro ordinamento, che va in concreto vagliata alla luce delle raccomandazioni contenute nelle linee guida che consentono di determinare il perimetro del rischio consentito, nonché sulla base di una valutazione ‘ex ante’ dell’adeguatezza delle scelte terapeutiche poste in essere"
Si deve osservare, però, che, a seguito dell’introduzione dell’art. 590 sexies c.p. ad opera dell’art. 6 l. 24/2017, in caso di morte o lesioni personali (a seguito di atti auto od etero lesivi), il rispetto delle linee guida o delle buone pratiche clinico assistenziali esclude la punibilità del medico solo in caso di colpa - anche grave - per imperizia: in tal caso sarebbe soddisfatto solamente l’obbligo di cura.
Quindi, al fine di evitare un’imputabilità per colpa dovuta ad imprudenza e, soprattutto, a negligenza - e quindi per adempiere all’obbligo di custodia - il medico (e la struttura di ricovero), ad avviso di chi scrive, dovrà fare di più che limitarsi a seguire linee guida o buone pratiche.
Una condotta diligente e prudente che possa avere efficacia scriminante (da porre in essere in accordo con la struttura sanitaria di ricovero) potrebbe quindi consistere nell’apprestamento di cautele ed attività di prevenzione anche attraverso l’utilizzo di linee o codici di condotta, come la stretta e continua sorveglianza del malato in caso di rischio suicidiario o, ancor di più, nel caso in cui il paziente abbia già tentato il suicidio o si sia inflitto delle lesioni; l’applicazione delle terapie più aderenti alla condizioni del degente psichiatrico; il rendere effettivo il divieto di uscita dal reparto senza la necessaria autorizzazione; l’accompagnamento del paziente fuori della struttura ad opera di personale qualificato ed informato della situazione clinica del paziente medesimo.
A1b) Responsabilità per abbandono di incapace.
Il medico può inoltre essere ritenuto responsabile, oltre che per gli atti auto ed etero lesivi del suo paziente, anche per l’ ‘abbandono’ dello stesso.
L’art. 591 c.p. commìna la reclusione da 6 mesi a 5 anni a ‘chiunque’ abbandoni una persona incapace di provvedere a sé stessa per malattia di mente e della quale abbia la custodia o debba avere cura. La pena è della reclusione da 1 a 6 anni se dal fatto derivi una lesione personale e da 3 ad 8 anni se ne derivi la morte.
Ovviamente gli eventi lesione e morte non devono essere voluti dall’agente (che deve però rappresentarsi il pericolo) nemmeno a titolo di dolo eventuale (configurandosi, in tal guisa, una figura di delitto preterintenzionale); altrimenti questi risponderà di omicidio o lesioni volontari in concorso del reato di abbandono (in dottrina è di questa opinione MANTOVANI, in giurisprudenza lo sono Cass. Pen. I, 5/7/1989 e 18/12/1991).
La giurisprudenza di legittimità ha via via qualificato come soggetti attivi del reato il direttore sanitario (Cass. Pen. V n. 491/1991), tutti i responsabili dell’assistenza di soggetti ricoverati presso una casa di cura (Cass. Pen. IV n. 45431/2001), il medico psichiatra responsabile del reparto (Cass. Pen. I n. 35814/2015, che si esaminerà meglio in seguito).
Costituisce ‘abbandono’ ai sensi dell’art. 591 c.p. qualsiasi azione od omissione che contrasti con l’obbligo di cura e custodia (Cass. Pen. V n. 332/1983).
Ai fini della sussistenza dell’ elemento oggettivo del reato è sufficiente che sussista un pericolo potenziale di danno e non uno effettivo (Cass. Pen. V n. 8180/1974: nella fattispecie, in una clinica si facevano mancare medici e personale specializzato e si affidavano i ricoverati a persone incompetenti ed in numero inadeguato); la condotta dell’agente deve essere oggettivamente idonea a determinare, anche in via potenziale, l’aggressione del bene protetto dalla norma incriminatrice (Cass. Pen. V n. 4407/1998, nella fattispecie la S.C. ha escluso la configurabilità del reato, in capo al direttore sanitario di una clinica, nel caso di donna affetta da schizofrenia in fase di remissione che, allontanatasi dalla clinica, era deceduta a seguito di una collasso cardiocircolatorio); l’esposizione a pericolo può essere anche meramente virtuale, non restando esclusa la configurabilità del reato da una condotta sia pure temporanea di abbandono (Cass. Pen. V n. 1947/1990); si è altresì ritenuto configurabile il reato laddove l’incapace psichico sia stato lasciato in balìa di sé stesso o di personale inidoneo (Cass. Pen. V n. 3905/1990).
La S.C. ha inoltre stabilito che non si può porre alcun limite nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia ed assistenza: norme giuridiche di qualsivoglia natura, convenzioni di natura pubblica o privata, regolamenti legittimi ordini di servizio (Cass. Pen. V n. 290/1994).
Vi è sussistenza di un dovere giuridico o di custodia gravante sull’agente ( la cui omessa osservanza integra gli estremi del reato) indipendentemente dalla natura del servizio (sanitario o di semplice ospitalità) di tutela e sorveglianza in ogni situazione o stato di pericolo, per cui qualsiasi abbandono deve essere considerato pericoloso e l’interesse tutelato dalla norma penale deve ritenersi violato anche quando l’abbandono sia solo relativo o parziale (Cass. Pen. V n. 15245/2005).
Per la sussistenza dell’ elemento psicologico (doloso) del reato è tuttavia richiesta la consapevolezza di abbandonare il soggetto che non abbia la capacità di provvedere a sé stesso (Cass. Pen. V nn. 12334/1990 e 15147/2007).
Per cui, pur assodata la sussistenza dell’elemento materiale dell’ ‘abbandono’, sarò poi indispensabile valutare - nelle singole fattispecie concrete ed attraverso una serie di elementi da considerare caso per caso - se il medico era realmente ‘consapevole’ di aver ‘abbandonato’ il suo paziente e di essere venuto meno al suo dovere di cura e custodia dello stesso.
Come per la responsabilità del medico in ambito di atti auto ed etero lesivi del paziente, anche in tema di abbandono di incapace la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non determinanti le novità introdotte dalla l. 180/1978, con la necessità di approntare comunque forme di protezione e sorveglianza.
Secondo la recente Cass. Pen. I n. 35814/2015 è ravvisabile la sussistenza del reato di cui all’art. 591 c.p. a carico del medico psichiatra responsabile del reparto in cui sia stato ricoverato un paziente a rischio di fuga - incapace a provvedere a sé stesso - che non disponga opportune forme di sorveglianza per evitare che il paziente si allontani dalla struttura (nella fattispecie il degente si era effettivamente allontanato ed era stato ritrovato morto cinque anni dopo). Anche a seguito della l. 180/1978 il personale medico ed infermieristico ha il dovere giuridico di protezione e sorveglianza della persona affidata, specie se questa non sia in grado di badare a sé stessa ed a prestare collaborazione: l’abbandono per legge del modello di cura manicomiale con l’uso sistematico della coercizione e dell’isolamento interno ed esterno del paziente, sostituito da forme di custodia in strutture aperte, richiede pur sempre modalità di protezione e sorveglianza, che devono contemperare il rispetto della libertà individuale con la protezione della persona da atti auto ed etero lesivi, della cui verificazione - in conseguenza dello stato di abbandono rilevante per la configurabilità di cui all’art. 591 c.p., - deve rispondere chi sia tenuto alla custodia e non via abbia provveduto.
A2) Responsabilità civile.
A fronte di una responsabilità penale del sanitario a seguito di atti auto ed etero lesivi del paziente e/o per abbandono dello stesso, sussiste una sua speculare responsabilità civile per fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., dalla quale scaturisce un obbligo di risarcimento in favore della vittima dell’illecito o, in caso di suo decesso, dei suoi aventi diritto: "qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".
La responsabilità per fatto illecito del medico ai sensi dell’art. 2043 c.c. è stata riconosciuta dall’art. 7 c. 3 della l. 24/2017.
Il Giudice, nella quantificazione del risarcimento del danno, dovrà tener conto della condotta del sanitario ai sensi degli artt. 5 e 6 della su indicata legge.
Quindi, la corretta osservanza di linee guida e buone pratiche clinico assistenziali, potrebbe escludere la responsabilità colposa per imperizia, con le relative conseguenza di natura risarcitoria.
Tuttavia, come su dedotto, pur tale corretta osservanza di linee guida e buone pratiche - senza l’adempimento di un’ulteriore attività cautelare e preventiva - potrebbe non essere sufficiente ad evitare la punibilità per una colpa per negligenza o imprudenza ed una conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Speculare alla responsabilità penale per atti etero lesivi del paziente psichiatrico è la norma di cui all’art. 2047 c.c. ("danno cagionato dall’incapace"): "in caso di danno cagionato da persona incapace di intendere e di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto".
‘Sorvegliante’ è colui che si trova ad esercitare la custodia dell’incapace in forza di una convenzione negoziale, come le strutture ospedaliere che ospitano gli incapaci non interdetti (così Cass. Civ. nn. 5306/1994 e 3142/1981)
Tuttavia, ad avviso della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 12965/2005) è configurabile anche a carico del personale sanitario addetto al reparto psichiatrico un dovere di sorveglianza nei confronti di persona ospite nel reparto, pur non interdetta, né sottoposta a t.s.o., e la conseguente responsabilità risarcitoria ex art. 2047 c.c. per i danni cagionati dal ricoverato, purchè sia data la prova concreta dell’incapacità di intendere e di volere dello stesso al tempus commissi facti.
B) Responsabilità della struttura sanitaria
B1) Responsabilità penale
In ambito penale si ritiene essere necessario, in primo luogo, considerare se possano sussistere dei profili di responsabilità in ipotesi di atti auto e etero lesivi dei pazienti (quali suicidio, omicidio, lesioni personali auto ed etero inflitte) e, in caso positivo, chi siano i soggetti responsabili.
E’ importante premettere come la responsabilità della struttura per danno a pazienti (e per quello da essi cagionato) in un contesto di tipo penalistico ponga problemi complessi per l’interferenza con la responsabilità dei singoli operatori.
Seguendo alcuni riferimenti dottrinali (LORE’ - MARTINI: "Sulla responsabilità penale degli amministratori di strutture sanitarie" in "Rivista Italiana di Medicina Legale", 3, 403, 1998) ad avviso di chi scrive potrebbe configurarsi una responsabilità della struttura in caso di CARENZE STRUTTURALI ed ORGANIZZATIVE.
E quindi - per la tipologia delle strutture oggetto del presente studio - mancanza di efficaci strumenti (sia di natura tecnica che umana) di controllo dei pazienti all’interno ed anche fuori della struttura in caso di uscita del degente da questa.
Ma anche - si può ipotizzare - carenza di linee guida o codici di condotta i quali, all’interno della struttura, delineino le singole competenze e responsabilità: strumenti che potrebbero essere utili in caso di processo penale sorto a seguito di un evento tragico, all’interno od all’esterno della struttura, che coinvolga pazienti o terzi.
Quali persone fisiche responsabili, gli Autori su citati individuano il Direttore Generale (fatta salva una sua delega ad altri soggetti secondo ripartizioni istituzionali dei compiti), il Direttore Sanitario ed il Direttore Amministrativo: "la individuazione di questi tre soggetti può permettere di attribuire responsabilità penali anche nel caso in cui, in presenza di danni ai pazienti, vi siano state (indipendentemente dalla correttezza comportamentale dei medici e degli infermieri) carenze strutturali ed organizzative chiaramente attribuibili a queste figure, al cui operato sembrerebbero applicabili i criteri della responsabilità di equipe" (LORE’ - MARTINI, cit. pag. 3).
Tuttavia possono sussistere dei limiti alla responsabilità sul piano del difetto di colpevolezza, in ipotesi, ad esempio, di mancanza assoluta di risorse di bilancio: "la giurisprudenza ritiene configurabile, in questa ipotesi, un caso di ‘forza maggiore’ che esclude la responsabilità" (LORE’ - MARTINI, cit. pag. 3).
In ambito di abbandono di incapaci, una pronuncia sopra riportata in tema di responsabilità del medico (Cass. Pen. IV n. 45431/2001) ha ritenuto responsabili anche il titolare e l’amministratore di fatto della casa di cura ove risiede il soggetto passivo del reato.
B2) Responsabilità civile
In tema di responsabilità civile, la struttura sanitaria risponde della condotta dolosa o colposa degli esercenti la professione sanitaria che lavorano al suo interno (quindi quando costoro siano coinvolti in un giudizio penale o civile in ipotesi di atti auto ed etero lesivi dei pazienti) anche se scelti dal paziente o non suoi dipendenti, ai sensi degli artt. 1218 (per inadempimento del contratto atipico di spedalità) e 1228 c.c.(quale responsabile del fatto doloso o colposo dei propri ausiliari), così come disposto dall’art. 7 l. 24/2017.
La struttura sanitaria risponde anche dei danni cagionati a terzi dall’incapace ex art. 2047 c.c.: infatti questa (come su accennato) riveste la qualifica di ‘sorvegliante’.
Ad avviso della giurisprudenza di legittimità "il contratto di ricovero produce l’obbligo della struttura sanitaria di sorvegliare il paziente in modo adeguato rispetto alle sue condizioni, al fine di prevenire che questi possa causare danni a terzi o subirne; la circostanza che il paziente sia capace di intendere o di volere, ovvero il fatto che non sia soggetto ad alcun trattamento sanitario obbligatorio, non esclude il suddetto obbligo, ma può incidere unicamente sulle modalità del suo adempimento" (Cass. Civ. n. 22331/2014).
Al fine di sottrarsi dalla responsabilità, il sorvegliante potrà solo dimostrare di ‘non aver potuto impedire il fatto’, a nulla rilevando la diligenza impiegata nell’esercizio della custodia.
Secondo un Autore (BELLI, "Sorveglianza degli incapaci e responsabilità del custode" in "La responsabilità civile", dicembre 2011, pag. 850) "una volta che il danno sia stato cagionato dall’incapace e che sia accertato il rapporto di custodia, il sorvegliante deve fornire una prova che è identica a quella che libera il debitore ex art. 1218 c.c., consistente nella dimostrazione del fortuito, della forza maggiore o di un costringimento fisico assoluto ad opera di terzi, essendo la prova dell’assenza di colpa inidonea a superare la responsabilità di cui all’art. 2047 c.c.".In argomento si veda anche in dottrina GALGANO: "I fatti illeciti", Padova 2008, pag. 239. In giurisprudenza vedasi Cass. Civ. n. 19060/2003: "l’accertamento in sede penale della mancanza di prova della colpa dei soggetti tenuti alla sorveglianza dell’incapace non comporta il superamento della presunzione di colpa su di essi gravante ai sensi dell’art. 2047 c.c., né costituisce prova del caso fortuito".
Per tale ragione alcuni Autori collocano l’illecito in esame tra le ipotesi di responsabilità oggettiva: "ed invero, la dimostrazione della diligente custodia da parte del sorvegliante è insufficiente a liberarlo da responsabilità rilevando unicamente la prova della concreta impossibilità materiale di intervenire ad impedire il fatto, sì che questo risulti estraneo alla sfera di controllo del sorvegliante" (BELLI, op. cit. pag. 850; v. anche FRANZONI, "L’illecito" I, in "Tratt. Franzoni", Milano, 2010, pag. 695; MINERVINI , "Orientamenti verso la responsabilità senza colpa nella più recente dottrina straniera", in "Atti del primo convegno nazionale di studi giuridico - comparativi", Roma, 1953, pag. 374; MONATERI: "Le fonti delle obbligazioni", 3, "La responsabilità civile" in "Tratt. Sacco", Torino, 1998, pag. 931).
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All’esito di quanto su descritto, si è evidenziato come sussista una responsabilità penale e civile sia del medico psichiatra che della struttura sanitaria ove egli lavora in forza di una serie di norme previste sia nel codice penale che in quello civile: artt. 1218,1228, 2043 e 2047 c.c.; artt. 590 sexies e 591 c.p..
La gestione del paziente psichiatrico, tuttavia, pur dopo l’approvazione della 180/78, rimane complicata e deve essere svolta con estrema attenzione.
Ed infatti:
a) nonostante il contenuto della l. 180/78 e l’opinione di parte della dottrina, la giurisprudenza continua a ritenere che il medico (e, indirettamente, i responsabili della struttura) sia ancora titolare di una posizione di garanzia nei confronti del degente non in t.s.o. e quindi debba approntare le necessarie cautele al fine di adempiere non solo all’obbligo di cura, ma anche a quello di controllo;
b) l’art. 590 sexies c.p. scrimina la condotta del sanitario, in caso di sua osservanza di linee guida e buone pratiche clinico - assistenziali, ma solo in caso di colpa per imperizia; quindi il medico, per poter dimostrare di essere stato anche prudente e diligente, non potrà limitarsi solamente a sostenere di aver aderito alle su dette linee guida e buone pratiche;
c) la struttura sanitaria, in caso di danni cagionati a terzi da un suo paziente ex art. 2047 c.c., ha una responsabilità oggettiva, per cui non potrà difendersi sostenendo di essere stata diligente nella custodia, ma dovrà dimostrare di non aver potuto impedire il fatto doloso o colposa commesso dal degente per caso fortuito o forza maggiore.
Dalla lettura della giurisprudenza in argomento si possono quindi enucleare le seguenti misure previdenziali e cautelari da applicare (misure che non hanno alcuna pretesa di esaustività e ovviamente, vanno considerate caso per caso, in relazione sia alla complessità della struttura ed al numero dei degenti sia alla disponibilità economica della stessa) al fine di adempiere alle responsabilità penali e civili su esaminate:
1) adozione, da parte del medico, delle terapie più adatte e meglio conformi alle linee guida ed alle buone pratiche clinico assistenziali in materia;
2) necessaria autorizzazione per l’uscita del degente dal reparto e dalla struttura; suo accompagnamento da parte di addetti qualificati ed informati della sua condizione e dei suoi precedenti clinici;
3) stretta e continua sorveglianza del paziente mediante l’ausilio del personale sanitario e/o di impianti di videosorveglianza;
4) adozione di codici di condotta interni, ove siano previste e disciplinate le attività di autorizzazione e controllo, indicando anche i soggetti responsabili alle stesse.
Si potrà obiettare che procedure di controllo troppo stringenti siano in contrasto con la libertà individuale e di autodeterminazione del paziente psichiatrico alla luce della l. 180/78.
Tuttavia si è dell’avviso che, nel bilanciamento tra i diritti del degente ed il parallelo diritto, sia di terzi che del paziente medesimo, a vedersi preservata la propria incolumità personale, sia quest’ultimo a prevalere ed a giustificare l’adozione delle su dette procedure.

Articolo del:


di Avv. Carlo Delfino

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