L`importanza di dire "no" ai bambini


I no dell’adulto e le relative emozioni negative che ne conseguono, svolgono un ruolo importantissimo nello sviluppo del bambino
L`importanza di dire "no" ai bambini
Negli ultimi anni l’attenzione alle emozioni dei bambini e ai loro vissuti, nelle famiglie, ha acquisito sempre maggiore importanza. Si tratta di un cambiamento per molti aspetti positivo poiché rende gli adulti più sensibili alle esigenze dei bimbi, tale attenzione porta però sovente, come conseguenza, i genitori a cercare di evitare il più possibile ai figli emozioni negative. Allo scopo di non creare disagio nei loro figli, molti adulti scelgono di non dire dei no per evitare le reazioni considerate negative, come ad esempio possono essere il pianto e la rabbia dei figli. Questo atteggiamento di condiscendenza è più marcato nei confronti dei bambini piccoli che sono ritenuti troppo immaturi e per questo si pensa che i divieti non possano avere nessuna valenza positiva. Si tende così a rimandare i divieti e i no alla scuola primaria o all’adolescenza.
La psicologia dell’età evolutiva ci insegna che i no dell’adulto e le relative emozioni negative che ne conseguono, svolgono un ruolo importantissimo nello sviluppo del bambino, evitando a quest’ultimo di "infilarsi" in una dinamica autocentrata e onnipotente (tipica dei bimbi molto piccoli che sono caratterizzati da egocentrismo e vorrebbero vedere immediatamente soddisfatti tutti i loro bisogni).
Secondo lo psicologo Spitz, l’espressione del no è una tappa importantissima dello sviluppo che coinvolge aspetti emotivi e cognitivi, egli l’ha considerato uno degli organizzatori dell’io poiché il bimbo, identificandosi con la madre che, tramite la proibizione gli sta infliggendo una frustrazione, ne interiorizza il no superando in modo positivo il dispiacere del divieto. Si tratta di un’acquisizione importante perché la negazione diventa una prima forma di comunicazione. Non si tratta dunque di "no" arbitrari, estemporanei, reattivi: nascono da un progetto educativo chiaro, e condiviso il più possibile tra i genitori, e hanno l’obiettivo di perseguirlo. Sono i no che ci consentono di dare a nostro figlio, a nostra figlia, un’informazione precisa: "No, non è il momento ...", "No, questo non puoi farlo ...", ma al tempo stesso di mantenere la relazione, di restare in una prospettiva di apertura e di ascolto. Il no ha una funzione regolativa e di indirizzo che si integra bene con la componente affettiva e di legame con i figli.
I "No" che diamo ai nostri figli svolgono diverse funzioni nelle varie fasi di vita, vediamone alcune:

- Nella prima infanzia il no ha la funzione del divieto. Il bambino o la bambina comincia a esplorare il mondo e incontra pericoli o attiva comportamenti che vanno educati. I no, detti in modo chiaro, immediato e rassicurante, aiutano i bambini a costruirsi una "segnaletica di base" nel loro muoversi nello spazio. Sono semplici, privi di complicazioni, e non richiedono numerose quanto inutili spiegazioni per lo più incomprensibili ai piccoli.

- Tra la prima e la seconda infanzia i no sono quelli del limite. Si tratta di un’età in cui progressivamente la centratura sul sé del bambino si evolve nelle relazioni tra i pari e nel rapporto con la realtà anche scolastica. In questa fase i no arginano e contengono e direzionano le energie e la sensazione di onnipotenza sul mondo. Sono no che producono frustrazione, ma in questo senso fondamentali per aiutare i bambini a cogliere i limiti delle proprie possibilità e attivare nuove risorse e competenze. Imparare a gestire la frustrazione che nasce dall’incontro con l’altro è una capacità fondamentale e protettiva per il futuro.

- Nella seconda infanzia e nella preadolescenza il no è quello della regola: consente di consegnare ai ragazzi la bussola per orientarsi nel mondo. Si tratta di un no più complesso degli altri, che punta verso l’autonomia. Erroneamente alcuni pensano ancora che le regole siano limiti alla libertà personale, e invece ogni volta che diamo una regola creiamo uno spazio di separazione e definiamo degli ambiti di possibile esercizio della libertà, consentendo lo sviluppo dell’autonomia.

Fondamentale è sottolineare che, perché il no sia un’occasione di crescita per i bambini, è necessario che sia detto con fermezza e coerenza, ma in modo pacato, non adirato o con rabbia. La mimica e il tono di voce dell’adulto sono molto importanti poiché il bimbo, qualora il no venisse pronunciato in tono agitato, coglierebbe solo l’aspetto negativo del no, senza alcuna possibilità di sviluppo individuale. Inoltre i no devono essere accompagnati da "sì" e devono essere proporzionati alle esigenze e alle capacità del bambino.
La riluttanza a dire no e a comportarsi con fermezza possono dare origine a difficoltà importanti nel bambino, perché questi non sarà mai in grado di controllare l’aggressività e le emozioni negative se non ha imparato a farlo sperimentandole in prima persona. Soltanto provandole sulla propria pelle egli potrà valutarle e trovare in sé le soluzioni e le risorse per utilizzare tali emozioni per scopi vantaggiosi e in questo senso i limiti imposti dai genitori, pur facendolo infuriare, sono delle barriere che lo proteggono e lo fanno sentire al sicuro. Un adulto sempre accondiscendente mette il bambino in una posizione a dir poco pericolosa, perché la mancanza di "no" lo farà sentire più potente da un lato e terribilmente indifeso dall’altro, come potrebbe sentirsi protetto se si sente più potente di chi si prende cura di lui?
Quando dobbiamo dire dei "no" ai nostri figli è sempre bene ricordarsi che è insito nella natura del bambino opporsi alle regole poiché attraverso questa opposizione il bambino cerca di affermare la propria identità, innescando un processo di separazione-individuazione necessario per la sua crescita. Tale processo ha inizio intorno al primo anno di vita, con la "fase del no", in cui compare una rigida opposizione alle imposizioni dell’adulto per trovare una propria individualità/autonomia differenziata dalla dipendenza familiare. Quest’opposizione poi si riproporrà con nuova forza nel periodo adolescenziale. Siamo noi, come genitori, con il nostro ruolo e con i limiti che sapremo imporre ai nostri figli che costituiamo il modello, la "palestra educativa" nella quale i nostri figli impareranno il ruolo di adulti del loro domani, quindi il genitore che risparmia al figlio qualunque sofferenza, non distinguendo il bisogno dal capriccio, lo priva del privilegio di sviluppare in modo creativo ed unico gli strumenti necessari ad affrontare le inevitabili difficoltà della vita.

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di Dott.ssa Elisa Piovani

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