Prigionieri di una crisi imposta (parte seconda)


Come liberarci dalla profonda crisi economica ripartendo dai fondamentali teorici del più grande economista del XX secolo: John Maynard Keynes
Prigionieri di una crisi imposta  (parte seconda)
...Si consideri quanto sarebbe vitale, oggi, la liberazione dalla crisi economica imposta finanziandola in deficit positivo fino al 7-8% del PIL per realizzare la piena occupazione con l’indotto derivante da grandi opere e servizi come:

- la ristrutturazione di tutto il patrimonio immobiliare pubblico (ospedali e scuole in primis in gran parte fatiscenti) adottando criteri antisismici onde evitare tragiche perdite umane e disastrosi danni a causa dei ricorrenti terremoti;
- la sistemazione idrogeologica dei territori, costantemente soggetti a frane e inondazioni;
- la manutenzione ricorrente di tutta la rete stradale per assicurarne uno stato d’efficienza e sicurezza (ormai scaduti a paese del terzo mondo per buche e voragini);
- l’ammodernamento e potenziamento della rete ferroviaria ordinaria per garantire un servizio pubblico degno di questo nome ai cittadini pendolari che usano il treno ogni giorno per recarsi al lavoro;
- la diffusione capillare in tutto il paese di tutte le più moderne reti di comunicazione, quali la banda larga, oltre alla digitalizzazione di tutta la macchina amministrativa e burocratica dello Stato;
- la pubblicizzazione e valorizzazione del nostro patrimonio storico, artistico e naturale, unici al mondo, con iniziative mirate per portare l’Italia al primo posto del turismo mondiale (classifica che vede la Francia al primo posto, il nostro paese soltanto al quinto);
- la valorizzazione e promozione di tutta la nostra gastronomia e tradizione culinaria che per varietà e qualità rappresenta un’eccellenza a livello globale;
- la costruzione di strutture di accoglienza di elevata qualità per gli anziani bisognosi di assistenza e cure stante l’innalzamento della durata della vita;
- la costruzione e diffusione di asili nido e scuole materne totalmente gratuite per facilitare le nuove generazioni con la ripresa occupazionale di formarsi una famiglia e non essere più costrette ad emigrare per sopravvivere.

...e di ogni altro intervento teso ad aumentare il benessere e la dignità della persona umana.

Un tale programma d’intervento pubblico (così peraltro come già avvenuto nell’ultimo dopoguerra fino alla fine degli anni 70) costituirebbe un insostituibile volano per tutto il settore privato, il quale potendo contare su una eccezionale disponibilità di denaro ad esclusivo favore dell’economia reale, per realizzare le opere di cui sopra, e in presenza di una struttura statale più moderna ed efficiente, riprenderebbe vigore con nuovi investimenti sia nei settori tradizionali che nelle nuove tecnologie con conseguente richiesta di nuova occupazione.
Esattamente il contrario di quanto sta facendo da alcuni anni la BCE immettendo mensilmente imponenti iniezioni di liquidità elettronica creata dal nulla (Quantitative Easing) sul sistema bancario per finire quasi totalmente nelle fauci di una folle e insaziabile speculazione finanziaria, lasciando briciole per l’economia reale.

- Già nel 1937, Keynes argomentava come l’austerità in una situazione di crisi economica fosse controproducente.
Comprimendo la spesa pubblica anche il reddito nazionale si comprime e con esso la capacità di spesa dei cittadini con conseguente e inevitabile contrazione della domanda di beni e servizi; a loro volta le imprese private sono costrette a licenziare per non fallire generando così nuovamente disoccupazione con profonde ripercussioni di disagi sociali fino alla creazione di estese aree di povertà e indigenza. In sostanza un ciclo vizioso da cui è impossibile uscire.

La positiva esperienza keynesiana a partire dal New Deal americano degli anni 30 che ha ispirato e influenzato con aiuti concreti l’Europa post bellica (piano Marshall) per l’adozione di politiche d’intervento pubblico in economia, ha assicurato all’occidente libero decenni di prosperità unitamente a lotte per la conquista di una maggiore giustizia sociale.

L’abbandono di tali politiche a partire dagli anni 90 con l’affermazione-imposizione della dottrina neoliberista all’insegna del "laissez-faire" e di piratesche privatizzazioni, a cui s’è aggiunta dagli anni 2000 la deregolamentazione di una finanza predatrice, sono all’origine della crisi imposta che stiamo vivendo. Occorre invertire la rotta e riprendere la retta via per un ritorno ad un’economia liberale, ma socialmente equa e solidale dove lo Stato si riprenda il ruolo che democraticamente gli spetta di regolatore e propulsore dello sviluppo e del benessere umano.

Articolo del:


di Nivel Egidio Ruini

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