La separazione della coppia di fatto


Il mantenimento dei figli e il loro affidamento nella coppia di fatto
La separazione della coppia di fatto
La legge Cirinnà ha introdotto importanti novità per le coppie di fatto; porta con sé però il difetto di non garantire, in caso di separazione, una tutela adeguata a chi, tra i conviventi, risulti essere poù debole da un punto di vista economico. Non viene infatti stabilito un assegno di mantenimento a favore del convivente più svantaggiato, ma solo il diritto agli alimenti, valutabile in base alla durata della convivenza.
Discorso diverso deve essere fatto per i figli e il loro mantenimento.
I genitori devono infatti provvedere alle necessità della prole proporzionalmente alle loro capacità economiche. Il Giudice, confrontate le posizioni dei due ex conviventi, stabilirà chi tra i due sarà tenuto a corrispondere l'assegno di mantenimento e la misura dello stesso; nell'ambito di tale valutazione, il Giudice dovrà altresì considerare il tenore di vita dei figli nel corso della convivenza.
Relativamente alle spese straordinarie, stabilite solitamente nella misura del 50% a carico di entrambi i genitori, queste sussistono anche nella famiglia di fatto ed essendo strettamente connesse alle esigenze di crescita del bambino e, per loro natura, sono diverse a seconda dei casi, non possono certo essere previste (spese mediche, sportive, corsi di varia natura etc.).
L'affidamento
Anche nella cosiddetta coppia di fatto sussiste il principio della bigenitorialità, cioè a dire che la potestà genitoriale viene esercitata da entrambi i genitori.
Relativamente alla collocazione fisica del figlio si ritiene che, per la tutela del suo equilibrio psico-fisico, sia preferibile che egli dorma e trascorra le proprie giornate prevalentemente presso l'abitazione del genitore capace di assicurare una maggiore presenza e attenzione, concedendo all'altro, generalmente il padre, una o due notti alla settimana.
Ci si chiede se il principio della bigenitorialità e quello della parità genitoriale abbiano portato, nella pratica, all abbandono del cosiddetto criterio della "maternal preference" nell'affidamento o nella collocazione prevalente dei minori.
La Corte di Cassazione (sent. 14.09.'16 n.18087) ha applicato il principio secondo cui, se i figli sono di età prescolare o scolare, la madre è il genitore con il quale i bambini devono convivere prevalentemente, secondo il criterio presuntivo della maternal preference, anche se il padre ha eccellenti capacità genitoriali e ha avuto i minori in tenera età in collocazione paritaria; questa posizione degli Ermellini ha fatto discutere in quanto verrebbe calpestato l'interesse morale e materiale dei figli e violato l'art. 337 ter c.c. che tutela il diritto alla bigenitorialità. Il Tribunale di Milano con decreto del 19 Ottobre 2016, di poco successivo alla pronuncia della Cassazione, non si è uniformato al criterio della maternal preference nello stabilire la collocazione dei minori perché non previsto dagli artt. 337 ter e segg. c.c., ed in contrasto con la stessa ratio ispiratrice della L. 54 del 2006 sull'affidamento condiviso, oltre che con le fonti di diritto internazionale.
In base a tale pronuncia sembrerebbe quindi che il criterio da seguire nell'affidamento e collocazione del minore, poco abbia a che fare con il favorire l'uno o l'altro genitore, ma che debba solo essere ispirato alla tutela del minore stesso, in tutti i suoi ambiti, potendo essere genitore affidatario tanto il padre tanto la madre.
Oggi la giurisprudenza è sempre più orientata nel tutelare la genitorialità paterna anche in presenza di minore in tenera età, contribuendo così ad abbattere un roccioso luogo comune duro a cadere definitivamente: il fatto che un padre non sia in grado di occuparsi di un figlio piccolo.

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di Massimo Sperti

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