Coronavirus, approccio penale al rischio sanitario


L'efficacia della deterrenza penale e i reati prospettabili in relazione al rischio di diffusione del Coronavirus
Coronavirus, approccio penale al rischio sanitario

 

Ieri sono uscito da casa, per la prima volta da diversi giorni, perché ero di turno per le emergenze alle direttissime. L’arresto di una persona ha richiesto la mia presenza. Guanti, mascherina e toga sono andato in Tribunale, in caso di arresti l’attività giudiziaria non si ferma.

Piuttosto preoccupato per la situazione (osservo rigorosamente i limiti alla mia libertà che liberamente ho recepito) non ho potuto non notare l’incredibile – a fronte della situazione – quantità di persone in giro.

Ho pensato che se il rischio di ammalarsi, per alcuni, non è un deterrente sufficiente per convincersi a non spostarsi, figurarsi il rischio di essere portatori asintomatici del virus e, dunque, di contagiare altri.

Rimane la deterrenza penale, quella oramai, penso, nota a tutti coloro che abbiano compilato una autodichiarazione (quella prevista dal Ministero dell’Interno e scaricabile pressoché ovunque) prima di uscire dalla propria abitazione.

La deterrenza penale è stata affidata esplicitamente alla previsione di due comportamenti illeciti:
1)  uscire senza una valida ragione e
2) se fermati, dichiarare il falso circa tali ragioni.

Si deve dare atto (anche da molte semplici richieste da parte di amici che cercano chiarimenti) che le eventuali conseguenze riservate alla prima delle violazioni, uscire e spostarsi senza una valida ragione, sono spesso confuse e percepite alla stregua di una multa per sosta vietata.

Non è così.

Il tipo di sanzione riservata dal codice penale a questi casi, è vero, non porterà in carcere, ma non è una multa da codice della strada. Si tratta di una sanzione penale, non amministrativa. Essa (art. 650 c.p.) prevede l’arresto fino a tre mesi o il pagamento di un’ammenda fino ad € 206. Ma si deve considerare che, in ogni caso costringerà ad affrontare un procedimento penale, a prescindere dal suo esito. Non è una bella esperienza. Inoltre potrebbe portare a compromettere altri progetti, se ad es. per un lavoro, un concorso, un contratto, un incarico professionale, un finanziamento sarà richiesto di firmare una dichiarazione relativa alla propria situazione nei confronti della giustizia penale (relativa all’esistenza di carichi pendenti, di iscrizioni nel registro degli indagati o all’aver riportato condanne).

Più serie sono, invece, le conseguenze riservate al caso delle dichiarazioni menzognere rese al pubblico ufficiale che dovesse effettuare un controllo (art. 495 c.p.). Per queste, al netto dei dubbi che ho sulle difficoltà applicative della norma – che tralascio non trattandosi di uno scritto prettamente tecnico –, è prevista la reclusione da uno a sei anni. Non si possono confondere con una multa per divieto di sosta. È vero, anche in questo caso, se si è incensurati, è difficile non pensare in caso di condanna, ad una sospensione condizionale della pena. Tuttavia questa è una considerazione, oggi, talmente vaga e astratta da non potervi fare assoluto riferimento.

La coscienza sociale sta mutando di giorno in giorno, i provvedimenti normativi si susseguono di giorno in giorno, la percezione sociale della gravità di tali violazioni troverà un riflesso nelle modalità con le quali gli operatori del diritto (Giudici, Pubblici Ministeri, Avvocati) applicheranno concretamente e al singolo caso le norme delle quali si sta parlando.

Ma vi è di più. Oggi sono prevedibili anche altre conseguenze penali che, tuttavia, non sono state così esplicitamente richiamate, per lo meno fin dal primo momento di allarme, e non sono diventate di “dominio pubblico”.

Ne devo parlare e scrivere perché temo che ci possano essere persone che, pur sapendo di essere contagiate con o senza sintomi, pur avendo sintomi influenzali, pur sapendo di essere state a contatto con colleghi/amici/familiari risultati positivi o pur essendo esplicitamente in quarantena, per evitare di far chiudere le realtà economiche presso le quali lavorano, per evitare di fermarsi e/o di rimanere a casa, sarebbero indotte a tacere, ad uscire e a spostarsi dissimulando il perfetto controllo del proprio stato di salute, andando al lavoro, al supermercato, etc..

Temo anche che ci possano essere persone in posizioni di responsabilità aziendale, in particolare i datori di lavoro, nei confronti dei quali si può parlare tecnicamente di una “posizione di garanzia”, che non predispongono le condizioni minime di sicurezza (intesa dal rischio di contagio da Covid-19) per i propri collaboratori.

Vorrei allora esplicitare come il diritto penale potrebbe trattare questi casi.
E’ possibile trovare il termine “epidemia” anche all’interno del codice penale. Esiste, infatti, il reato di epidemia dolosa, che potrebbe essere contestato a chi, pur sapendosi contagiato, magari asintomatico, o semplicemente in quarantena per essere stato a contatto con altre persone a loro volta contagiate, decida di uscire e, in questo modo, di accettare il rischio di contagiare altre persone. Ed esiste anche il reato di epidemia colposa. Potrebbe essere contestato, nei casi più gravi, anche a chi, per una autovalutazione negligente o superficiale, non pensa di aver contratto il virus ma, magari un semplice raffreddore, e decida comunque di uscire e di non attenersi alle prescrizioni, o magari, decida di creare assembramenti pur di prendere un treno in fuga dalla città o, ancora, in presenza di sintomi, si rechi al pronto soccorso omettendo di dichiarare, per es., di avere avuto pregressi contatti con persone positive.
Esplicitiamo il rischio penale.

Per l’epidemia dolosa (art. 438 c.p.) è prevista la pena dell’ergastolo.

Per l’epidemia colposa (art. 452 c.p.) è prevista la pena, a seconda o meno che ne derivi la morte di più persone, da uno a cinque anni o da tre a dodici anni di reclusione.

E’ vero, si parla di fattispecie di reato di rarissima applicazione, per di più con precedenti risalenti nel tempo e che sembrerebbero escludere la responsabilità del singolo che sappia di essere egli stesso contagiato dal virus.

Tuttavia, ribadisco, i tempi e la coscienza sociale stanno cambiando alla stessa velocità con la quale il virus si sta diffondendo. E questa condiziona e condizionerà inevitabilmente gli esiti dei procedimenti penali. Alla fine, a seconda delle drammatiche conseguenze che la diffusione del virus avrà causato, a fronte della novità assoluta della situazione che ci ritroviamo ad affrontare, non si può escludere che tali norme vengano applicate in maniera estremamente severa e contestualizzata a tale situazione.

Un passaggio vorrei farlo anche con riferimento alle persone con incarichi di responsabilità all’interno delle aziende e, come dicevo sopra, dei datori di lavoro titolari di una posizione di garanzia. Nella misura in cui si ometta di predisporre e/o rafforzare le misure di sicurezza specificamente richieste in tema di coronavirus, o, se ciò non risulti possibile, si decida di proseguire comunque con l’attività, o anche nel caso in cui si sappia di colleghi o collaboratori venuti a contatto con il virus ma si taccia in proposito, pur di non rischiare di compromettere l’attività aziendale, nel caso di malattia del collaboratore potrebbero configurarsi i reati di lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro (art. 589 c.p.), fino ad arrivare all’omicidio colposo (art. 590 c.p.). Anche in questo caso, a seconda del grado di accettazione del rischio o di negligenza, le conseguenze saranno diverse, ma comunque estremamente gravi, con risvolti, tra l'altro, non solo personali, ma diretti anche nei confronti dell'azienda stessa, così come previsto dal D.lgs. 231/2001.

Ora, vorrei scrivere un’ultima cosa. Se una persona non teme per la propria salute né per quella degli altri, è difficile che la sua coscienza possa essere destata dal timore per le conseguenze penali delle proprie azioni. Tuttavia questo non può fermarci dal formulare, ciascuno dalla propria prospettiva, la mia di avvocato penalista, un continuo, pressante e strenuo richiamo ad un grado superiore di coscienza e responsabilità collettiva rispetto a quella che si era soliti avvertire appena quindici giorni fa. I tempi cambiano. Dobbiamo cambiare anche noi.

 

Articolo del:


di Avv. Giuseppe Terrasi

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