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Il risarcimento da infedeltà coniugale


Si può chiedere il risarcimento del danno per tradimento? In che termini? Cosa dice la giurisprudenza al riguardo?
Il risarcimento da infedeltà coniugale

Anche nell’ambito della famiglia, i diritti inviolabili della persona rimangono assolutamente intatti, cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia (nella specie, il coniuge) può determinare una piena responsabilità civile.

Questo è il ragionamento su cui poggia il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno derivante da infedeltà coniugale.

Così come l’addebito della separazione non comporta un’automatica responsabilità risarcitoria, quest’ultima (la responsabilità risarcitoria), non è vincolata dall’assenza di richiesta di addebito e/o dalla sua mancata concessione (Cass. Civ. sez. I 15 settembre 2011 n. 18853.DPP, 2012, 163).

In questi casi, i danni che vengono in considerazione, come conseguenza della violazione del dovere di fedeltà, sono per lo più di ordine psichico, comportanti - come tali - la violazione di un diritto della personalità, che è il protagonista della vicenda, mentre non é scopo della giurisprudenza quello di sanzionare, in senso pecuniario/risarcitorio, la violazione dell’obbligo di fedeltà solo in quanto tale.

In altri termini, occorre verificare se il comportamento del coniuge integri gli estremi di un illecito civile, in quanto “anche nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono tali” (Cass. Civ. sez. I, 15 settembre 2011 n. 18853).

Per lungo tempo, l’illecito civile endofamigliare è rimasto assolutamente compromesso dall’immunità famigliare.
In tempi coevi, tuttavia, si assiste ad una rinnovata visione del ruolo del singolo, quale soggetto distinto dalla famiglia, con conseguente sradicamento di ogni immunità intrafamigliare, ormai relegata a  retaggio del passato, in quanto “la famiglia si configura quindi non già come un luogo di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili, ma come sede di autorealizzazione e di crescita (Cass. Civ. 10 maggio 2005 n. 9802).

Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, l’art. 151 c.c. indicava l’adulterio come la prima causa, tra quelle tassativamente elencate della separazione. Peraltro il tradimento del marito era disciplinato diversamente da quello della moglie.
Con l’affermazione del principio di uguaglianza degli sposi, il dovere di fedeltà è finalmente diventato reciproco ed ha assunto lo stesso contenuto per entrambi gli sposi. Eliminato il termine “adulterio”, la “fedeltà” viene identificato come un dovere coniugale ex art. 143 c.c.

La fedeltà diventa perciò la componente di un dovere più ampio rispetto alla mera astensione da relazioni sessuali extraconiugali, e si traduce, come si esprime la giurisprudenza, nel saper sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda (ex multis: Cass. Civ. sez. I, 18 settembre 1997 n. 9287).

Tanto è vero che che in dottrina, ci si è spinti ad ipotizzare che, in certi contesti, i rapporti adulterini possano essere tollerati, senza conseguenze civilistiche particolari, ove non scalfiscano la comunione spirituale (Pilla, 2008, 94 e 97; Petta, 2012, 1462), non potendo l’astensione da rapporti sessuali extramatrimoniali essere considerato un criterio esaustivo di valutazione.

Ad ogni modo, l’art. 160 c.c. vieta testualmente ai coniugi di derogare ai doveri previsti dalla legge; ciò nonostante alcuni autori, in dottrina, legittimano una sorta di “affidamento reciproco sulla liceità intrafamigliare della infedeltà” in caso di assenso dell’altro coniuge.
Ed in tal caso deve ritenersi esclusa, tendenzialmente, pure ogni forma di responsabilità extracontrattuale (De Marzo, 2001, 747).

Vi è, anche in giurisprudenza, una nozione ampia di fedeltà, non limitata alla mera astensione da rapporti sessuali con persone terze, e tale da ricomprendere “il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi” e tale che se lesa viene “ferita la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti” (per tutte: Cass. Civ. sez. I 18 settembre 1997 n. 9287).

Questo concetto consentirà alla Suprema Corte di colpire anche un certo tipo di relazione, come nel caso, se il lemma è consentito, di una donna innamoratasi, non ricambiata, di un altro uomo, con lesione della dignità del marito per ostentazione della sua irrefrenabile passione (Cfr. Cass. Sez. I, 7 settembre 1999 n. 9472).

Non ci si soffermerà sui presupposti e sui limiti, già noti dell’addebito coniugale, introdotto con la riforma del 1975 e disciplinato dall’art. 151 c.c.

La Corte di Cassazione comunque riconobbe, già nel lontano 1975, il diritto al risarcimento del danno per tradimento (Cass. Civ. sez. I, 19 giugno 1975 n. 2468), in relazione al discredito derivato dal fatto all’interno dell’ambiente sociale dello sposo, in linea con il concetto di ingiuria grave come conseguenza della condotta fedifraga.

L’impostazione della giurisprudenza, col tempo, non è mutata di molto; anche se vi sono state oscillazioni e decisioni almeno apparentemente contrastanti nel concedere o denegare i risarcimento.

Nel 1993, la Suprema Corte, infatti, in due occasioni, sosteneva che non vi poteva essere risarcimento del danno, ma solo addebito (cfr. sentenza n. 3367/1993 e 4108/1993).

Una nuova apertura si registrava perciò nel 1995, quando la Corte di Cassazione ammetteva, in linea teorica, la risarcibilità del danno, laddove i fatti, integrassero  gli estremi dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. (Cass. 26 maggio 1995 n. 5866).

L’addebito ed il risarcimento diventano dunque, a poco a poco, due facce della stessa medaglia: la prima con funzione assistenziale/solidaristica, la seconda con funzione sanzionatoria.

Per i danni non patrimoniali da lesione della fedeltà coniugale occorre in particolare “la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 c.c. riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo affermati nella sentenza 11 novembre 2008 n. 26972 delle Sezioni Unite” (Cass. Civ. sez. I 15 settembre 2011 n. 18853).

Deve trattarsi, dunque, di una violazione di dovere di fedeltà obiettivamente grave, anche secondo l’insegnamento delle sentenze di San Martino del 2008, in quanto una minima efficacia lesiva non può rilevare, ma anzi deve trovare composizione all’interno della famiglia “in forza dello spirito di collaborazione e tolleranza” (così Cass. N. 9801/2005).

Occorre poi, almeno normalmente, che l’infedeltà abbia trasmodato in atti lesivi della dignità della persona (Cass. N. 18853/2011): per esempio, ciò potrebbe verificarsi se la relazione è divenuta nota a terzi, se il coniuge è stato preso in giro, se ha ricevuto commenti denigratori,  con compromissione dell’onore e della dignità del leso.

Nel caso esaminato in particolare da Tribunale Prato, 18 febbraio 2010, DFP, 2010, 1276, l’istruttoria aveva confermato la conoscenza dell’infedeltà del coniuge da parte di tutti i famigliari e di un’amica, oltre al deplorevole invio, da parte del marito alla moglie, di sms contenenti dettagli sulle relazioni extraconiugali (!).

Per contro, il Tribunale di Roma, con sentenza sez. I civ.17 ottobre 2012 n. 19545 ha escluso la rilevanza della sola sofferenza patita dal marito per la scoperta della relazione della moglie.

Secondo un consistente filone della giurisprudenza di merito, infatti, l’ipotesi illecita viene circoscritta ai casi in cui il tradimento di sia realizzato in forma plateale, ostentata e con atteggiamenti umilianti e mortificatori (Corte App. L’Aquila 11 gennaio 2013, n. 11 Lex 24; Trib. Roma sez. I civ., 17 ottobre 2012 n. 19545;  Tribunale Catania, sez. I civ., 20 aprile 2012, Lex 24; nello stesso senso, in dottrina Cendon e Sebastio, 2002, 1306).

E’ quindi richiesto un “salto di qualità” rispetto ad una normale infedeltà, come evidenziato anche recentissimamente dalla Suprema Corte della Cassazione, nella seguente decisione:
La violazione dell'obbligo di fedeltà coniugale comporta il risarcimento del danno non patrimoniale solo ove la condizione di afflizione indotta nell'altro coniuge superi la soglia della normale tollerabilità e si traduca, per le modalità con le quali è realizzata, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, come quello alla salute o all'onore o alla dignità personale” (Cassazione civile sez. III, 07/03/2019, n.6598).

In tale interessante caso, la Suprema Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso non solo, in radice, che la violazione del dovere di fedeltà fosse stata causa della separazione, avendo la moglie svelato al marito il tradimento solo mesi dopo la separazione, ma anche che il tradimento, per le sue modalità, avesse recato un apprezzabile pregiudizio all'onore o alla dignità del coniuge, in quanto non noto neppure nell'ambiente circostante e di lavoro e comunque non posto in essere con modalità lesive della dignità della persona.

V’è poi un’importante precisazione effettuata dalla giurisprudenza di merito (Tribunale Milano SEZ. IX, 09.07.2015 N. 37959 in  Diritto di Famiglia e delle persone II, 2016, 1, I, 180):
“E' ritenuto che la violazione maritale del dovere di fedeltà coniugale non fa, in sé, del padre fedifrago un padre inadatto alla cura, all'affidamento della prole e al diritto di vistarla, potendo la violazione maritale essere sanzionabile con l'addebito e, financo, con l'azione risarcitoria, ma non con un affidamento monogenitoriale o con una limitazione del diritto paterno di visita: in ogni caso, tuttavia, una madre che utilizzi la infedeltà del coniuge come un mezzo per incidere negativamente sui rapporti genitoriali tra padre e figli, tiene una condotta scorretta, non conforme ai propri doveri genitoriali e rilevante ex art. 337 quater e 709 ter c.p.c.”.

Il danno alla salute arrecato per effetto della condotta illecita è ovviamente più grave di quello alla reputazione o alla dignità; in ogni caso, sicuramente nell’elaborazione delle Corti rilevano anche il diritto all’onore, alla dignità ed alla reputazione, quali diritti lesi in ipotesi di adulterio (Trib. Vicenza 3 novembre 2009, FD, 3,  2010, 281).

Può configurarsi anche un danno patrimoniale (per esempio, per le spese mediche o per mancato guadagno in presenza di un danno alla salute invalidante a sua volta derivante dalla condotta umiliante del coniuge).

Il danno non patrimoniale, ripetesi, è risarcibile nell’ipotesi di rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti nella vicenda, ove il danno sia di una certa rilevanza.

Rileveranno senz’altro, per il danno alla salute, i certificati medici e le testimonianze circa il mutamento dell’agenda di vita.

Nel caso della violazione della dignità dello sposo, vale a dimostrazione qualsiasi prova, anche in via presuntiva, che può costituire anche l’unica fonte del convincimento del giudice (Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972).

La Corte di cassazione in un caso, ha rigettato in toto il ricorso, facendo riferimento ai principi già affermati in un suo significativo precedente (Cassazione 4 maggio 2011 n. 18853, in «Guida al Diritto» n. 42/2011, pagina 12).

I doveri coniugali, sottolinea la Corte, non costituiscono in capo a ciascun coniuge altrettanti diritti protetti a livello costituzionale. La loro violazione non comporta perciò “automaticamente” responsabilità risarcitoria e perché siano integrati tutti gli estremi dell’illecito civile occorre che la condotta posta in essere comporti “anche” la lesione di tali diritti “forti”.

Con riferimento specifico al dovere di fedeltà - afferma la Corte - non esiste una tutela tout court a livello costituzionale dell’unità familiare. Anche se l’ordinamento protegge e sostiene dall’esterno tale importante formazione sociale, non si spinge fino al punto di ammette che si configuri una responsabilità per dolo o colpa in capo a chi, per sua volontà contraria o con il suo comportamento, ponga fine o dia causa alla fine del legame.

Se si intende ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all’altrui tradimento occorrerà allegare e provare la lesione di specifici diritti fondamentali (quali, come si è detto, la salute, la dignità personale), ed occorrerà inoltre allegare e provare tutti gli elementi dell’illecito, compreso il superamento della soglia minima di tollerabilità della lesione, secondo quanto s’è sopra detto.

Quanto poi ai terzi, non può ravvisarsi secondo la Corte una loro responsabilità per violazione dell’obbligo di fedeltà (cui è tenuto ovviamente solo il coniuge). Si potrà semmai ammettere la responsabilità dell’amante qualora questi abbia platealmente violato (o abbia concorso a violare) con il proprio comportamento la dignità e l’onore del coniuge tradito, secondo le regole degli artt. 2043 e 2049 c.c.

Laddove sia richiesto  il ristoro dei danni non patrimoniali, la norma da considerare è  l’articolo 2059 del cc, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata datane dalle sezioni Unite con la nota sentenza 11 novembre 2008 n. 26972 (in «Guida al Diritto», n. 47/2008, pagina 18). In base a tale pronuncia il danno non patrimoniale è risarcibile in tre ipotesi specifiche: quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; quando la legge espressamente ne prevede la risarcibilità anche al di fuori di un’ipotesi di reato; quando infine, il fatto illecito abbia violato «in modo grave» i diritti fondamentali della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.


La giurisprudenza più recente

Da segnalare  è la recente pronuncia della Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 29 settembre 2015, n. 19193, che ha stabilito la condanna di un marito al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della moglie per avere continuato, nonostante l'avvenuta riconciliazione tra i coniugi a seguito di un tradimento, la propria relazione extraconiugale. L'atteggiamento ingannevole del marito violava gravemente e  profondamente la dignità della moglie, facendola cadere in uno stato di vera e propria depressione.

Le sentenze della Cassazione civile, sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853, ed ancora della Cassazione civile, sez. I, 1° giugno 2012, n. 8862, avevano invece riconosciuto il diritto della vittima dell'infedeltà al ristoro del danno non patrimoniale (in quanto «la violazione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, anche ai sensi dell'art. 2 Cost., incidendo su beni essenziali della vita, dà luogo a risarcimento di danni non patrimoniali»), ritenendo provate le modalità lesive della dignità umana con cui era stata posto in essere l'adulterio, nonché l'elevato grado di intensità della volontà malevola nell'autore della condotta.

Insiste da ultimo sulla prova del nesso di causalità fra danni vantati e condotta fedifraga la giurisprudenza di merito:
“In tema di separazione tra coniugi, il relativo addebito può costituire titolo per una richiesta risarcitoria, al di fuori dell'ipotesi di reato, soltanto qualora sia accertata la lesione, in conseguenza della violazione del dovere di fedeltà, di un diritto costituzionalmente protetto. La prova del nesso di causalità fra detta violazione e il danno, per essere rilevante a tal fine, non può solo consistere nella sofferenza psichica causata dall'infedeltà e dalla percezione dell'offesa che ne deriva, di per sé non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un diritto costituzionalmente protetto quale la salute o la dignità del coniuge” (Tribunale Roma sez. I, 22/11/2013, n.23543 in Guida al diritto 2014, 12, 76).


Avv. Cesare Menotto Zauli

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