Nuovi scenari e nuove responsabilità per il nostro paesaggio


Dal consumo del suolo alla rigenerazione urbana, dal "boom" edilizio ad un responsabile riuso del nostro patrimonio edilizio
Nuovi scenari e nuove responsabilità per il nostro paesaggio

E’ finito da tempo l’ottimismo del “boom” edilizio anche se ancora non si è fermata l’onda lunga dell’occupazione del suolo e della distruzione del terreno agricolo (- 50% tra il 1961 e il 2007). Nonostante le prescrizioni della Legge urbanistica regionale lombarda (L.R. 12/05) che ha reso obbligatoria la materia paesaggistica nella stesura dei Piani di Governo del territorio, molti comuni hanno comunque ampliato gli ambiti di trasformazione in aree di pregio paesaggistico o hanno addirittura tendenzialmente ignorato tali raccomandazioni.

Il problema è che in molti vedono la questione paesaggistica solo come una questione di vincoli e di complessi passaggi burocratici.
Eppure ci sono segnali di quanto il paesaggio possa costituire anche un motore per lo sviluppo sostenibile delle nostre vallate. La costituzione del Distretto culturale del versante retico terrazzato valtellinese, la realizzazione della Via dei terrazzamenti e i molti progetti avviati su quest’area, sono concreti esempi di una possibile diversa concezione del territorio.

L’inizio del secondo millennio sta ponendo la tematica del paesaggio in modo diverso rispetto a quanto avvenne negli anni ’70 del Novecento.

Non si tratta solo di ribadire i problemi di conservazione, denunciando la speculazione edilizia e la distruzione dei centri storici e dei segni del passato. E’ sempre più chiaro, infatti, come il paesaggio sia un palinsesto in cui si riflette  non solo la concezione della vita dei nostri progenitori, ma anche la nostra concezione dell’esistenza e la nostra capacità creativa. La domanda da porsi non è dunque solo: “Cosa lasceremo dei segni lasciati da chi ci ha preceduto?”, ma anche: “Verso quale paesaggio ci stiamo indirizzando?”.

Si pone, dunque, un problema di fondazione, di creatività, di nuovi paesaggi. Per questo le società tradizionali hanno sempre dato estremo rilievo a questo tema: abitare una casa e abitare un territorio, per l’uomo del passato coincideva con l’aprirsi di un nuovo mondo, di un nuovo cosmo (una realtà ordinata). Un problema che rischia di essere sottovalutato da un mondo secolarizzato che si rapporta con la natura solo in termini quantitativi e che pensa di poter fare ciò che vuole con la realtà.

La casa è oggi figlia della concezione degli epigoni del Le Corbusier della “macchina per abitare” e molti si indirizzano sulle case prefabbricate in legno, chiavi in mano: ha senso, in questo contesto, parlare di “fondazione di un cosmo?”.  Più di quanto non possa apparentemente apparire.

Infatti anche l’architettura contemporanea deve fare i conti con la realtà in cui si viene a porre, con i materiali impiegati, con la loro origine e con la loro composizione, con la filiera che arriva allo smaltimento dei componenti di cui la casa è fatta (a breve sarà in vigore una normativa per la sostenibilità ambientale, economica e sociale degli edifici).

“Spezzare il tetto della casa” è il titolo di un saggio del grande storico delle religioni Mircea Eliade. Tutta la cultura tradizionale indoeuropea pone nella casa un “punto di fuga”, che la collega con il cosmo. “L’esistenza umana è paragonata ad una dimora; di conseguenza la liberazione finale, il Nirvana equivale alla distruzione della casa… Il corpo è anche paragonato a un Tempio, e la porta di questo Tempio è stretta come un granello di senape. E’ una allusione all’apertura che si trova alla sommità del cranio, bramarandhra”.

Anche nelle antiche dimore di Livigno una finestrella veniva aperta quando, all’interno, una esistenza stava per concludere il suo cammino: affinché l’anima potesse uscire più agevolmente da corpo.

Questo rapporto con il cosmo è valido ancora oggi, anche per l’uomo che non crede più ai miti tradizionali: l’evoluzione dell’effetto serra e il riscaldamento globale, sono collegati e dipendono alla nostra piccola casa, dal nostro modo di vivere e di consumare. “Nel momento in cui l’uomo abita un territorio – scrive ancora Eliade – riproduce su scala umana il sistema dei condizionamenti reciproci e dei ritmi che caratterizza e costituisce un “mondo”, che insomma definisce ogni universo”.

Sarebbe lungo parlare qui dell’analogia corporea della casa nella tradizione classica ma interessa qui il riproporsi e il riattualizzarsi del concetto di microcosmo e macrocosmo, così come emerge nelle suggestive immagini lasciateci dalle visioni estatiche di Ildegarda di Bingen (Liber Divinorum Operum, XIII secolo).  

Noi facciamo parte del mondo e ogni nostra azione ne condiziona il destino, così come il mistero di ogni particella dell’Universo è collegata alla nostra esistenza interiore.

Da questo punto di vista le nuove tecnologie e, in particolare i sistemi G.I.S. (Geographic Information System) hanno aperto nuove prospettive di gestione e di compartecipazione dell’uomo con la realtà e con un sistema complesso come il paesaggio: non per osservare dall’esterno le dinamiche territoriali ma per esserne protagonisti, per legare ancor di più l’uomo al suo contesto e alle dinamiche di trasformazione che in esso si svolgono, per monitorare gli effetti delle scelte antropiche, dalla pianificazione, ai trasporti, dallo smaltimento dei rifiuti all’inquinamento ambientale.

Si aprono, dunque, in questi anni, nuove potenzialità a cui però deve corrispondere anche un soggetto sociale adeguato, in grado di imboccare le strade più consone per uno sviluppo che sappia conciliare l’equilibrio locale delle risorse con la globalizzazione, la conservazione dell’ambiente e la sua valorizzazione.

 

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di Dario Benetti

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