La comunicazione interculturale e la conoscenza della cultura


La traduzione, l’interpretariato, la formazione nelle lingue fanno parte della comunicazione interculturale
La comunicazione interculturale e la conoscenza della cultura

“L’Istruzione è tutta una questione di costruire ponti” (Ralph Ellison). È opportuno avere un'istruzione sufficiente se ci preoccupiamo di colmare i divari tra dove siamo oggi e dove vogliamo essere in futuro.

Il ponte indica la relazione come sostanziale struttura esistenziale: essendo attraversato nei due sensi, è simbolo di reciprocità; è necessario per superare ciò che separa luoghi prossimi, indica il superamento degli ostacoli naturali, il suo attraversamento aiuta a superare le fratture che separano i popoli  e apre alla novità dell’altro mettendo in comunicazione due realtà, agevola il superamento della diffidenza o delle lacerazioni pregiudiziali, assegna alle realtà messe in dialogo pari dignità.
 
“Imparare a conoscere la lingua, la storia, la cultura, le abitudini, i pregiudizi e gli stereotipi, le paure delle diverse comunità conviventi è un passo essenziale nel rapporto interetnico..." (Alex Langer).

“Scambiare messaggi vincenti” è comunicazione volontaria, programmata, consapevole di scambiare messaggi per perseguire il proprio fine. Chi tiene una conferenza sa comunicare e tiene molto in considerazione il feedback dato dal sorriso degli ascoltatori, dalla loro postura, dal fatto che continuino o smettano di prendere appunti; il saggista che scrive si pone il problema della chiarezza concettuale ed espositiva che facilita il compito del lettore, e definisce quei termini che il lettore potrebbe non conoscere, perché l’ascoltatore ed il lettore sono ben presente nella mente di chi sa comunicare.

Dunque, non scambiamo solo parole: ciò che viene scambiato tra i partecipanti ad un evento comunicativo è un messaggio, cioè una struttura complessa composta di lingua verbale e di linguaggi non verbali: gesti, grafici, icone, oggetti, indicatori di ruoli sociali, layout grafico, ecc.

Il messaggio orale viene creato da vari interlocutori che collaborano alla sua creazione, negoziano significati e linguaggi per giungere ad un messaggio conclusivo accettato da tutti (anche nel caso di una lite ci sono elementi accettati da tutti i litiganti: il fatto di essere in disaccordo, la possibilità di andare sopra le righe, l’estremizzazione delle posizioni, il rischio di una conclusione traumatica dell’evento comunicativo, ecc.); nel messaggio scritto questa negoziazione non è possibile.

Nella comunicazione aziendale, “vincere” significa far prevalere il proprio punto di vista sull’organizzazione dell’azienda, sulle priorità strategiche, sui metodi di progettazione e produzione, sulle prospettive di commercializzazione, sui prezzi da spuntare, e così via. In quella accademica si comunica per veder accettato ed apprezzato il proprio impianto concettuale e metodologico di ricerca e per ottenere, dove possibile, un sostegno economico oltre che scientifico.

La dicotomia tra comunicazione ed espressione è nella differenza tra le due nozioni che mentre nella “comunicazione” la decisione di creare un messaggio, prevede un destinatario intenzionalmente individuato ed avviene per uno scopo sociale, nell’ “espressione” non si parla o scrive a qualcuno per produrre un risultato pragmatico, il tutto si esaurisce nell’atto stesso di produrre il testo (o il quadro, la canzone, ecc.,): una lettera è “comunicazione”, una poesia è “espressione”.
 


Situazione comunicativa, evento comunicativo

La comunicazione si realizza in “eventi” che hanno luogo in un “contesto situazionale”. Si tratta di concetti da chiarire, perché proprio in alcuni dei loro fattori si hanno delle variabili che risultano fonti di incidenti nella comunicazione interculturale.
Secondo le prime definizioni, da Malinowsky a Fishman, la “situazione comunicativa” veniva definita da quattro variabili:
a.  Si è parlato genericamente di “luogo”, ma la scienza della comunicazione ha scisso il “luogo” in setting fisico e scena culturale; la caratteristica della comunicazione interculturale è di avvenire tra persone che vengono da scene diverse e che, indipendentemente dal setting fisico in cui si trovano, conservano le regole e i valori del luogo culturale da cui provengono;
 
b.  Il “tempo” pare una costante, ma in realtà è una variabile culturale e crea significativi problemi di comunicazione interculturale;
 
c. Uno dei fattori di rischio è l’”argomento” perché gli interlocutori, convinti che l’argomento di cui stanno parlando sia condiviso, possono dimenticare che i valori che sottostanno a tale argomento possono non essere sempre condivisi nelle varie culture;
 
d.  Il “ruolo dei partecipanti” è un altro elemento di grave difficoltà. In ogni cultura lo status sociale viene attribuito e mantenuto secondo valori e regole proprie, spesso fortemente distanti, se non contrastanti, tra le diverse culture;

e.  Un “testo linguistico”;
 
f.  I “messaggi extralinguistici”: nella comunicazione interculturale, di solito condotta in inglese (inglese internazionale), le norme linguistiche possono essere condivise e proprio sulla lingua si focalizzano l’attenzione e lo sforzo di chi parla: cercare il lessico appropriato, evitare errori grossolani, ecc.; invece le norme dei linguaggi non verbali non vengono prese in considerazione, quasi che i gesti, la mimica facciale, le distanze interpersonali, ecc., fossero dei concetti universali;
 
g. “Scopi dichiarati e non” che i partecipanti perseguono: i messaggi sono vincenti nella misura in cui questi scopi pragmatici sono raggiunti. Le varie culture regolano in maniera diversa il modo in cui si possono rendere espliciti certi scopi - e si tratta di regole che coinvolgono valori fortemente marcati come la gerarchia, lo status, il rapporto uomo-donna: il modo di velare o enfatizzare gli scopi cambia da cultura a cultura – e anche all’interno della stessa cultura, della stessa famiglia, si è notato ad esempio come spesso uomo e donna si dicano You Just Don’t Understand Me (D. Tannen, 1990) a causa del modo femminile di velare i propri scopi e i desideri, contrapposto al modo proprio dell’uomo che li mette in luce;
 
h.  “Atteggiamenti psicologici”, che Hymes-1972- chiama “chiavi”, dei partecipanti nei confronti degli interlocutori, della loro cultura, della loro azienda, istituzione o università: sarcasmo, ironia, rispetto, ammirazione, diffidenza, ecc., emergono nel testo linguistico e soprattutto nei linguaggi non verbali, per cui informano l’interlocutore su atteggiamenti che certo non si vorrebbero comunicare. Ciò dà luogo a fraintendimenti, così la sensazione di imbarazzo e di difficoltà di un asiatico si esprime con un sorriso, come indicatore “chiave”, che invece l’occidentale prende come indicatore di una chiave diversa, positiva, disponibile e rilassata;

i. “La grammatica contestuale” include anche il concetto di sequenza prevista per un dato evento, che in alcune culture può essere ritualizzata o abbastanza rigida e prevedibile, mentre in altre porta ad avere una maggiore flessibilità: ne consegue che chi viene da una cultura del primo tipo ha la sensazione di trovarsi nelle sabbie mobili, nell’incapacità di gestire l’evento comunicativo.


Alcuni eventi possono essere brevissimi (il grido "aiuto" di chi sta annegando, seguito dal tuffo del bagnino), altri possono richiedere anche mesi, come alcune operazioni commerciali (dalla visita alla fiera alla ricevuta di pagamento, passando attraverso preventivi, ordinativi, fatture pro-forma e reali, lettere di addebito e accredito, eventuali reclami, giustificazioni, ecc.): maggiore è la durata dell’evento, più probabile è lo scontro deliberato o l’errore involontario sul piano culturale.

Ci sono poi degli eventi particolarmente ritualizzati (una cena formale, una conferenza, una riunione di un consiglio d’amministrazione, una presentazione, ecc.) che ogni cultura gestisce secondo regole proprie, la cui mancata conoscenza porta a situazioni spiacevoli in cui la comunicazione viene fortemente appesantita e, in alcuni casi, diviene impossibile.

La consuetudine e l’attenzione precisa consentono a persone che frequentano ambiti internazionali di cogliere il continuo variare degli argomenti di uso libero e di quelli tabù. Spesso, ad esempio, gli stessi italiani non si rendono conto di quanto sia tabù nella nostra cultura l’accenno alle cure psicologiche: il consiglio di andare da uno psicologo o da uno psicoanalista viene sentito come offesa, significa “sei matto!”; l’italiano del nord cui uno straniero chiede qualcosa sulla mafia esorcizza anzitutto il problema (“Primo, la mafia è in Sicilia; secondo: Riina è in galera, ce la faremo”) e poi cambia discorso. Allo stesso modo, un inglese rimesta in ogni torbidume della Royal family ma reagisce se lo fa un non-inglese (soprattutto se lo fa un americano, cui ribatte elencando le segretarie e le stagiste del Presidente Clinton).

Ogni cultura ha dei tabù noti e ne ha altri che mutano rapidamente: ad esempio il cenno al passato comunista dell’Europa orientale oppure al fascismo di Pinochet in Cile è delicatissimo perché molte delle persone che oggi hanno contatti con stranieri da posizioni manageriali ed accademiche elevate hanno una storia personale in quei regimi e quindi la semplice battuta di un italiano, a tavola, per riempire un silenzio, può essere vissuta molto male dall’interlocutore.

Altre volte ci sono tabù incomprensibili per alcuni: da quello delle carezze in testa a un bambino nelle Filippine, che fanno passare l’italiano affettuoso per un pedofilo incallito, a quello che riguarda la riservatezza degli europei sulla propria famiglia, atteggiamento che non è compreso dai giapponesi per i quali la famiglia di provenienza  rappresenta la credenziale base di una personalità: informarsi sulla famiglia dell’interlocutore, sui figli, sull’eventuale divorzio di qualche familiare, ecc..

Due tabù da ritenere universali (anche se vi sono eccezioni) sono eros e thanatos, cioè i discorsi riguardanti il sesso e la morte, e quelli sulle secrezioni del corpo (sudore, muco, cerume, sperma, urina, feci, vomito). Anche i discorsi sulla digestione e sui sentimenti personali vanno considerati tabù nelle culture di origine inglese.

Una volta commesso un grave ‘errore culturale’ risulta spesso impossibile porvi rimedio e possono passare parecchi mesi prima che ci si renda conto che rifiuti gentili significano in realtà isolamento e messa al bando.
 

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di Barbara Cupiti

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