Accertamento induttivo: il ritardo equivale ad omissione


Se si presenta la dichiarazione dei redditi dopo la scadenza prevista per legge, è legittimo l’accertamento induttivo per omissione
Accertamento induttivo: il ritardo equivale ad omissione

Tra i diversi tipi di accertamento che l’Amministrazione finanziaria può compiere c’è l’accertamento induttivo. In base all’art. 39, comma 2, del D.P.R. 600/1973, tale tipologia di controllo si applica esclusivamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e nei casi previsti espressamente dalla legge (mancanza della dichiarazione dei redditi, mancanza o inattendibilità di una o più scritture contabili, rifiuto del soggetto sostituto d’imposta a compilare questionari o esibire degli atti). Si tratta di un accertamento extracontabile, perché l’Agenzia delle Entrate può analizzare altri dati e documenti oltre alla contabilità presente (che può essere appunto assente o carente).

Con la sentenza n. 6963 dell’8 aprile 2015, la Corte di Cassazione ha espresso il principio in base la quale se la dichiarazione dei redditi di impresa vengono presentati oltre il termine dei 30 giorni dalla scadenza, tale ritardo viene considerato come omissione di presentazione. Non solo, l’accertamento induttivo può scattare anche nel caso in cui le scritture contabili presentate rivelino una gestione di impresa caratterizzata da antieconomicità.

Il caso sui cui la corte si è trovata a decidere è quello di un contribuente al quale l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ai fini Iva, a fronte di un accertamento induttivo basato su indici parametrici, un maggiore volume di affari per l’anno 1996. Il contribuente in questione oltre ad aver presentato in ritardo oltre i limiti di legge la dichiarazione dei redditi, non aveva neppure riposto al questionario inviatogli dall’Amministrazione finanziaria. Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) sia la Commissione Tributaria Regionale (CTR), però, avevano dato ragione all’uomo poiché la determinazione dei ricavi effettuata tramite accertamento induttivo non era stata ritenuta adeguatamente provata dai parametri applicati dall’AdE.

La Suprema Corte, invece, ha ribaltato le due sentenze sottolineando sostanzialmente due principi:
1. Il ritardo nella presentazione oltre il termine di trenta giorni previsto per legge è equiparato all’omessa presentazione della dichiarazione stessa con la conseguenza che, in base a quanto sancito dall’art. 55, comma 1, del D.P.R. n. 633/72, l’Amministrazione finanziaria possa procedere alla determinazione di quanto dovuto dal contribuente attraverso accertamento induttivo "sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte o venuti a conoscenza dell'ufficio".
2. L’Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento induttivo anche quando i dati contabili raccolti mostrino un’evidente antieconomicità della gestione di impresa. Nel caso specifico, ad esempio, dalle scritture contabili emergeva l’eccessivo e continuo acquisto di merci nonostante una cospicua quantità di invenduto e un incomprensibile aumento di immobilizzazioni materiali a fronte di ricavi sempre più al ribasso.
In sostanza, l'accertamento induttivo è legittimo così come è legittima la risultanza dell’AdE fondata non solo su prove documentali, ma anche su indizi aventi i caratteri di gravità, precisione e concordanza, il cui onere della prova contraria spetta al contribuente. Nella sentenza della Corte, infatti, si legge che "il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, in tali, ipotesi è consentito al fisco di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate, utilizzando presunzioni semplice e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità delle stesse".

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