Danni causati da animali selvatici: chi risarcisce?
Nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non in base all’art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale), ma in base all’art. 2052 c.c. (danno cagionato da cosa in custodia), poiché in tale norma non si fa espresso riferimento ai soli animali domestici, ma in generale a tutti gli animali suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo (come quelli selvatici che sono di proprietà dello Stato). Inoltre, sempre nella norma, non si fa espresso riferimento ai soli animali che sono effettivamente in custodia, ma anche a quelli che siano smarriti o fuggiti.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell’ordinanza n. 13848/2020 pubblicata il 6 luglio 2020 in cui viene affrontato il tema del risarcimento dei danni per incidenti causati da animali selvatici.
L’ordinanza in questione, tra l’altro, è stata anche un’occasione per avere dei chiarimenti in questo ambito che presenta diverse interpretazioni giurisprudenziali.
Nel caso di specie, la Regione Abruzzo era stata condannata dal Tribunale dell’Aquila al risarcimento a favore di un uomo che aveva subito dei danni alla macchina che si era scontrata con due cervi lungo la strada.
I giudici di merito avevano riconosciuto la responsabilità dell’ente regionale per non aver installato “barriere di protezione o di altri strumenti volti a evitare danni del tipo di quello verificatosi nell'area interessata dal sinistro”.
La regione Abruzzo, però, era ricorsa in Cassazione eccependo un solo motivo, ovvero il difetto di titolarità passiva dell’obbligo. In altre parole, secondo la Regione, il risarcimento doveva essere versato dalla Provincia territorialmente competente, dall’ente proprietario della strada e/o dal Parco nazionale della Majella.
Chi deve risarcire i danni?
Secondo gli ermellini, però, il motivo è infondato.
I giudici hanno sottolineato preliminarmente come la giurisprudenza abbia espresso in passato orientamenti non sempre univoci su chi debba risarcire i danni causati dall’attraversamento di animali selvatici.
Inoltre, hanno sottolineato come tali orientamenti siano sorti in considerazione del fatto che il legislatore ha determinato “il superamento della tradizionale impostazione che ravvisava nella fauna selvatica una “res nullius”, con conseguente impossibilità del ristoro dei pregiudizi dalla stessa cagionati”.
Nello specifico, con la legge 27 dicembre 1977, n. 968, la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell’interesse della comunità nazionale.
I altri termini, prima che la fauna selvatica diventasse per legge patrimonio statale, chi subiva dei danni a causa di incidenti dovuti a scontri con tali animali non aveva il diritto al risarcimento poiché gli animali non avevano proprietario.
Fatti tali premesse, nell’ordinanza si fa chiarezza su due punti concatenati tra loro:
• In base a quale norma vige la responsabilità dell’ente pubblico?
• Chi deve risarcire i danni?
In merito all’individuazione della norma codicistica in base alla quale imputare la responsabilità, i giudici hanno sottolineato come finora la giurisprudenza si sia espressa nel senso che “il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico”.
In conseguenza dell’applicazione dell’art. 2043, si sono sviluppati due orientamenti in merito al soggetto/ente pubblico responsabile:
1. Il primo orientamento individuava la Regione quale soggetto responsabile poiché “titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio; e ciò anche laddove la Regione avesse delegato i suoi compiti alle Provincie, poiché la delega non fa venir meno la titolarità dei tali poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante”;
2. Il secondo orientamento affermava che “i danni causati dagli animali selvatici non fossero sempre imputabili alla Regione, bensì all’ente, fosse esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, cui fossero stati concretamente affidati, nel singolo caso, poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, e ciò sia che essi derivassero dalla legge, sia che trovassero la fonte in una delega o concessione”.
Secondo gli ermellini, proprio il fatto di escludere l’applicazione del regime previsto dall’art. 2052 c.c. (danno cagionato da cosa in custodia), ha generato orientamenti non univoci sull’individuazione del soggetto responsabile. E tale esclusione, secondo i giudici, è stata compiuta poiché la norma è stata interpretata considerando i soli animali domestici e non anche quelli selvatici.
Eppure, sottolinea la Corte nell’ordinanza in questione, il dispositivo dell’art. 2052 c.c. non fa menzione al fatto che la norma sia rivolta esclusivamente agli animali domestici, ma a quelli “suscettibili di proprietà o di utilizzazione”.
Inoltre, non si fa solo riferimento agli animali in custodia, ma anche a quelli “smarriti o fuggiti”.
Dunque, dato che gli animali selvatici sono di proprietà statale in nome della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema, ben si può applicare l’art. 2052 c.c..
In conseguenza di ciò, proprio perché la funzione della tutela è svolta mediante l’attribuzione delle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, di indirizzo e coordinamento e di controllo su altri enti, è proprio sulle Regioni che va imputata la responsabilità.
Chiarito ciò, i giudici hanno poi espressso chierimenti sull’onere della prova e sulla prova liberatoria in capo alle Regioni.
Onere della prova del danneggiato
In ragione dell’applicazione dell’art. 2052 c.c., i giudici hanno stabilito che deve essere il danneggiato a dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall'animale selvatico, provando “la dinamica del sinistro e il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela (…) o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato".
Ma non solo. Il danneggiato dovrà altresì provare “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida”.
Prova liberatoria per le Regioni
Da parte sua, la Regione può non essere considerata responsabile se riesce a provare che l’incidente sia stato dovuto a “caso fortuito”, che rappresenta la prova liberatoria prevista dall’art. 2052 c.c. (“Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”).
Per provare il caso fortuito, la Regione deve dimostrare “che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile del danno. Occorrerà, in altri, provare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, e ciò anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta".
Azione di rivalsa della Regione
Infine, i giudici hanno concluso affermando che la Regione che “reputi che le misure idonee a impedire il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro ente, potrà - anche in quello stesso giudizio - agire in rivalsa, senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all'azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio”.
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