Edifici storici solo agli architetti
Il Tar del Veneto ha confermato che anche i professionisti stranieri che operano in Italia devono avere competenze artistiche specializzate
La ristrutturazione, il recupero o le manutenzioni straordinarie effettuate sugli edifici italiani di carattere storico-artistico devono essere svolti esclusivamente dagli architetti, con esclusione di ingegneri e geometri. E’ quanto stabilito dall’articolo 52 del Regio Decreto del 23 ottobre 1925 n. 2537, che al secondo comma, afferma come "le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L.20 giugno 1909, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere".
Sono state molte le sentenze giuridiche che nel corso degli anni passati hanno confermato tale orientamento. L’ultima, in ordine di tempo, è quella del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, n. 743/2014 che, però, ha sottolineato un ulteriore principio: l’esclusione ai lavori edilizi storici non vale solo per gli ingegneri italiani, ma anche per quelli stranieri che non abbiano conseguito esperienze e qualifiche nel settore dei beni culturali.
La questione di base, infatti, era la possibile discriminazione degli ingeneri italiani rispetto a quelli provenienti da uno Stato membro dell’Unione Europea (diverso dall’Italia) ma in possesso di un titolo equiparato a quello dell’architetto italiano. Ci si è chiesto, quindi, se l’ingegnere italiano fosse "discriminato" rispetto al collega straniero non potendo operare come, invece, poteva essere consentito all’ingegnere straniero. Il TAR del Veneto, dunque, ha fatto chiarezza su questo punto, anche sulla base di considerazioni giuridiche esposte dalla Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 21 febbraio 2013 (C 111-12), e dal Consiglio di Stato, con la sentenza n.21/2014.
La Corte di Giustizia Ue ha precisato che gli articoli 10 e 11 della Direttiva europea n. 85/384/CE vanno interpretati nel senso che il professionista europeo che svolge un’attività rientrante nel settore dell’architettura in uno Stato Ue diverso dal proprio, deve essere in possesso di specifiche qualifiche di idoneità inerenti all’ambito dei beni culturali. Il Consiglio di Stato ha, così, ribadito che la Direttiva Europea in questione (n. 85/384/C) non intende equiparare i diplomi di laurea di architettura e ingegneria in Italia, ma solo sottolineare, a livello europeo, il reciproco riconoscimento dei titoli e delle qualifiche nell’area Ue.
Dunque, gli ingegneri italiani possono essere sicuri di non subire una discriminazione da parte dei colleghi europei, mentre gli architetti italiani possono vedersi riconosciuto il diritto sancito dal Regio Decreto 2537/1925 di essere i professionisti competenti privilegiati in ambito di ristrutturazione, recupero e manutenzione degli edifici e delle opere di rilevante carattere storico-artistico-culturale.
Sono state molte le sentenze giuridiche che nel corso degli anni passati hanno confermato tale orientamento. L’ultima, in ordine di tempo, è quella del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, n. 743/2014 che, però, ha sottolineato un ulteriore principio: l’esclusione ai lavori edilizi storici non vale solo per gli ingegneri italiani, ma anche per quelli stranieri che non abbiano conseguito esperienze e qualifiche nel settore dei beni culturali.
La questione di base, infatti, era la possibile discriminazione degli ingeneri italiani rispetto a quelli provenienti da uno Stato membro dell’Unione Europea (diverso dall’Italia) ma in possesso di un titolo equiparato a quello dell’architetto italiano. Ci si è chiesto, quindi, se l’ingegnere italiano fosse "discriminato" rispetto al collega straniero non potendo operare come, invece, poteva essere consentito all’ingegnere straniero. Il TAR del Veneto, dunque, ha fatto chiarezza su questo punto, anche sulla base di considerazioni giuridiche esposte dalla Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 21 febbraio 2013 (C 111-12), e dal Consiglio di Stato, con la sentenza n.21/2014.
La Corte di Giustizia Ue ha precisato che gli articoli 10 e 11 della Direttiva europea n. 85/384/CE vanno interpretati nel senso che il professionista europeo che svolge un’attività rientrante nel settore dell’architettura in uno Stato Ue diverso dal proprio, deve essere in possesso di specifiche qualifiche di idoneità inerenti all’ambito dei beni culturali. Il Consiglio di Stato ha, così, ribadito che la Direttiva Europea in questione (n. 85/384/C) non intende equiparare i diplomi di laurea di architettura e ingegneria in Italia, ma solo sottolineare, a livello europeo, il reciproco riconoscimento dei titoli e delle qualifiche nell’area Ue.
Dunque, gli ingegneri italiani possono essere sicuri di non subire una discriminazione da parte dei colleghi europei, mentre gli architetti italiani possono vedersi riconosciuto il diritto sancito dal Regio Decreto 2537/1925 di essere i professionisti competenti privilegiati in ambito di ristrutturazione, recupero e manutenzione degli edifici e delle opere di rilevante carattere storico-artistico-culturale.
Articolo del: