I disturbi del comportamento alimentare: anoressia


Colpisce prevalentemente le giovani donne ed è caratterizzata da rifiuto del cibo, perdita di peso e amenorrea
I disturbi del comportamento alimentare: anoressia

Si tratta di una patologia caratterizzata dal rifiuto del cibo, dalla perdita di peso e dall’amenorrea. Colpisce prevalentemente le giovani donne, soprattutto in età adolescenziale, con una percentuale variabile dallo 0,5 all’1%. Il rapporto d’incidenza tra il sesso femminile e quello maschile è di circa 15/1 e il picco si verifica tra i diciassette e i diciotto anni.

Frequentemente le pazienti hanno alle spalle il ricorso frequente a diete dimagranti, spesso estremamente drastiche. Il quadro clinico è caratterizzato da un costante rifiuto del cibo con perdita di peso significativa, spesso estrema, associata ad alterazioni neuroendocrine e metaboliche, tra cui la più comune è l’assenza del ciclo mestruale. In genere le pazienti non riconoscono di essere affette da una patologia, hanno un atteggiamento iperattivo e sono ossessionate dalla paura di acquistare peso. Talora alternano i lunghi periodi di digiuno con crisi bulimiche, spesso notturne, seguite da vomito autoindotto.

Il ruolo decisivo è sicuramente svolto dai fattori psichici. Frequentemente le pazienti presentano una personalità con caratteri francamenti psicotici, caratterizzati da manifestazioni comportamentali ossessivo-compulsive, atteggiamenti di rigidità e tendenza al perfezionismo. Pur precisando che non è stato individuato il "profilo" di famiglia in cui più frequentemente si sviluppa la patologia, spesso le pazienti hanno relazioni molto strette e disturbate con i componenti del nucleo familiare. Tuttavia le cause psicogene sono spesso così complesse, da sfuggire a schematismi e classificazioni.

La terapia si fonda sul supporto psicologico, eventualmente integrata da una terapia farmacologica. Nel caso di una perdita di peso superiore al 30% del peso ideale, è indicato il ricovero. I disturbi idro-elettrolitici e metabolici devono essere prontamente trattati, al fine di evitare danni per la salute estremamente gravi. Circa l’80% delle pazienti durante il ricovero registra un aumento ponderale, ma più del 50% delle pazienti ben curate durate il ricovero hanno una ricaduta entro il primo anno dalla dimissione.

È dunque evidente che laddove il ricovero si riveli inevitabile, è necessario che questo non debba essere finalizzato esclusivamente a trattare i disturbi "fisiologici" secondari alla privazione del nutrimento, ma che si debba intervenire sui meccanismi psicologici che sostengono la patologia. Ne consegue che la durata del ricovero deve essere sufficientemente lunga per prevenire le inevitabili ricadute. Infatti molti esperti del settore ritengono che il vero ruolo terapeutico sia rappresentato non tanto dalle cure mediche finalizzate a risolvere i danni organici secondari allo squilibrio alimentare, quanto e soprattutto dal distacco del paziente dal suo nucleo familiare e dalle dinamiche che tendono a sostenere la patologia stessa.

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