Il supporto psicologico nella malattia-dolore


Un paziente con dolore cronico è un paziente che ha bisogno di un supporto psicoterapeutico per sconfiggere il dolore
Il supporto psicologico nella malattia-dolore

Come è ben noto il dolore è un sintomo, un campanello di allarme che mette in guardia il nostro organismo rispetto a un pericolo imminente. Se poggiamo inavvertitamente la mano su una superficie calda, il senso acuto di bruciore innesca un riflesso di allontanamento e previene così che si verifichi un danno. Proprio perché sintomo importante, per secoli la scienza medica non si è dedicata alla sua cura, anzi l’atteggiamento predominante è sempre stato quello opposto. Ai giovani medici veniva insegnato di non eccedere con i farmaci antidolorifici, perché camuffare il dolore poteva compromettere sia la diagnosi che il trattamento. Se al paziente fa male la pancia il medico capisce che c’è un problema sulla pancia e se il dolore nel tempo diminuisce, vuol dire che le cure praticate sono state valide. Quest’atteggiamento è stato trasmesso ai pazienti stessi, i quali assumono quotidianamente ogni tipo di farmaco (farmaci per la pressione, per proteggere lo stomaco, per abbassare il colesterolo, etc.), ma sono molto diffidenti quando devono assumere un analgesico. La frase più frequente è: "finché riesco a sopportare il dolore, preferisco non assumere farmaci".

Negli ultimi anni tuttavia l’atteggiamento della scienza medica verso il dolore è mutato. È stato chiaramente stabilito che trattare il dolore è in primo luogo un dovere etico. Inoltre è stato introdotto il concetto di malattia-dolore. Esistono delle patologie in cui il dolore diviene esso stesso malattia, come il dolore neuropatico (un dolore causato dalla lesione di strutture nervose, le stesse preposte alla trasmissione del dolore) o in tutti i casi in cui la patologia che induce il dolore è cronica e intrattabile.

Un paziente affetto da un dolore cronico che persiste negli anni con intensità elevata, è un paziente che sta compiendo un percorso terapeutico estremamente difficile ed è sottoposto ad un intenso stress emotivo.

È un paziente che subisce l’esclusione dalla vita sociale, perché il dolore gli impedisce semplicemente di uscire da casa; ha problemi lavorativi e quindi economici; è un paziente con problemi sessuali talvolta secondari agli stessi farmaci che deve assumere per gestire il dolore e inoltre, cosa da non sottovalutare, può essere un paziente che teme di non essere creduto o persino considerato pazzo. Esistono infatti delle patologie dolorose, come la fibromialgia, dove non è evidenziabile nessuna patologia organica e quindi il paziente si sente ripetere dai vari medici che non ha nulla. È evidente che il paziente con dolore cronico è un paziente a rischio di sviluppare uno stato depressivo reattivo severo e non deve stupire che molti pazienti possano cominciare ad ipotizzare il suicidio come rimedio estremo al dolore.

La depressione peggiora il dolore. Incrementa la percezione del dolore stesso e quindi diminuisce la risposta terapeutica ai farmaci analgesici. S’innesca un circolo vizioso in cui è difficile stabilire se il paziente è depresso perché ha dolore o se è la depressione stessa a causare il dolore.

Non stupisce dunque che negli ultimi anni si è resa evidente la necessità di affiancare al paziente con dolore cronico un supporto psicoterapeutico.

Le linee guida delle principali società scientifiche che si occupano della malattia-dolore stabiliscono che l’approccio al paziente con dolore cronico debba essere multidisciplinare e che la figura professionale di uno psicoterapeuta incrementa significativamente il successo terapeutico. Per questo si stanno delineando delle figure professionali specializzate nel supporto psicologico dei pazienti affetti da dolore cronico. Il loro ruolo è di insegnare al paziente il corretto approccio mentale alla malattia, suggerire stratagemmi comportamentali per superare i problemi quotidiani e prevenire o trattare uno stato depressivo che può avere delle conseguenze rilevanti.

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