La tutela del made in Italy con il marchio storico e la lotta all’Italian sounding


Il Decreto crescita introduce il marchio storico per chi commercia da più di 50 anni e agevolazioni sulle spese legali sostenute per tutelare il made in Italy
La tutela del made in Italy con il marchio storico e la lotta all’Italian sounding

Il Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2019 scorso ha approvato, in seconda deliberazione, il decreto-legge, conosciuto come “Decreto crescita” che introduce “Misure urgenti per la crescita economica ed interventi in settori industriali in crisi”.
Tra questi compare il nuovo “marchio storico” e il contrasto all’ “Italian sounding”, due misure per tutelare il made in Italy.

 

Cos’è il marchio storico?

Con il recente consiglio dei ministri del 23 aprile 2019 scorso il Governo, a guida della presidenza Giuseppe Conte, ha introdotto il registro dei marchi storici di interesse nazionale.

Il marchio storico è definito come il logo utilizzato da un’azienda, avente un’unità produttiva localizzata in Italia, da almeno cinquant’anni e che sia stato registrato oppure utilizzato per lo stesso periodo di tempo in maniera continuativa per immettere sul mercato un prodotto legato alla tradizione del nostro Paese e ormai conosciuto dai consumatori.

Per tutelare i marchi storici italiani, il Ministero dello sviluppo economico ha istituito il logo ufficiale “Marchio storico di interesse nazionale” che le imprese storiche, dopo averlo richiesto, possono utilizzare come garanzia della loro almeno cinquantennale presenza sul mercato.

Con il Decreto crescita, si è detto,  si istituisce, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, il registro speciale dei marchi storici.

L’iscrizione al registro speciale dei marchi storici è effettuata:
- su istanza del titolare dell’azienda di cui si vuole tutelare il marchio come “storico” o del licenziatario del marchio;
- d’ufficio dall’Ufficio italiano brevetti e marchi nel caso in cui l’Ufficio abbia notizia del fatto che un’impresa storica titolare o licenziataria del marchio ubicata sul territorio italiano intenda chiudere il sito produttivo di origine, o comunque principale, per delocalizzare l’attività in un altro Paese, con il conseguente licenziamento collettivo dei dipendenti delle sedi italiane.

Gli scopi dell’istituzione del marchio storico sono quelli di tutelare il made in Italy, “salvaguardare i livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività produttiva sul territorio nazionale”.

 

Cosa accade se un’impresa storica decide di delocalizzare?

Come detto, se un’impresa storica decide di delocalizzare la sua attività in uno Stato estero e non ha iscritto il suo marchio nell’apposito registro dei marchi storici, tenuto, dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, è lo stesso Ufficio a procede con la sua registrazione. In tal modo, l’azienda rientra nella disciplina dei marchi storici.

La nuova normativa prevede che, se una società titolare o licenziataria di un marchio storico intende delocalizzare la sua attività, chiudendo il sito produttivo di origine, o comunque principale, con conseguente licenziamento collettivo, deve notificare tempestivamente al Ministero dello Sviluppo economico le seguenti informazioni relative alla decisione di delocalizzare:
1.    I motivi economici, finanziari o tecnici dei progetti di chiusura o delocalizzazione;
2.    Le azioni tese a ridurre gli impatti occupazionali attraverso incentivi all’uscita, prepensionamenti, ricollocazione dei dipendenti all’interno del gruppo;
3.    Le azioni che intende intraprendere per trovare un acquirente;
4.    Le opportunità per i dipendenti di presentare un’offerta pubblica di acquisto di ogni altra possibilità di recupero degli asset da parte degli stessi.

Nel caso in cui tale comunicazione non avvenga, l’impresa iscritta al registro dei marchi storici si vedrà applicare una sanzione amministrativa fino al 3% del fatturato medio annuo conseguito nell’ultimo triennio.

Mentre, nel caso in cui i progetti dell’azienda titolare o licenziataria del marchio storico non sia riuscita a trovare un acquirente oppure non sia riuscita a rispettare i progetti presentati al Ministero dello Sviluppo economico (come precedentemente descritti), la società e il Ministero avvieranno una collaborazione al fine di individuare azioni alternative per la reindustrializzazione e l’utilizzo del marchio storico.

 

Il fondo per lo sviluppo e la coesione

Oltre al Registro speciale dei marchi storici tenuto dall’Ufficio italiano marchi e brevetti, è stato istituito un fondo per lo sviluppo e la coesione al fine di valorizzare le attività produttive storiche del made in Italy.

Lo stanziamento previsto dalla prima bozza del Decreto crescita era pari a 100 milioni di euro a valere sulle disponibilità per il 2020, ma con la seconda bozza definitiva firmata nel Consiglio dei Ministri del 23 aprile scorso, lo stanziamento è stato ridotto a 30 milioni di euro.

I fondi saranno destinati alle PMI titolari o licenziatari di marchi storici che presenteranno progetti di valorizzazione della propria attività e del prorpio marchio storico.

 

Il contrasto all’Italian Sounding

Nel Decreto crescita vi sono anche norme che hanno lo scopo di contrastare il fenomeno dell’Italian sounding.

L’Italian sounding è quella pratica commerciale che prevede l’immissione sul mercato di prodotti non originali italiani, ma che per il loro nome e pronuncia richiamano prodotti storici del made in Italy. Ne sono un esempio i prodotti caseari distribuiti sul mercato e che ricordano il tradizionale Parmigiano Reggiano.

Tale pratica svantaggia le imprese che producono prodotti tradizionali italiani creando confusione nel consumatore.

Per tutelare le aziende italiane vittime dell’Italian sounding, è prevista un’agevolazione per coprire il 50% delle spese legali sostenute dalle imprese per tutelare legalmente i propri marchi e prodotti.

L’importo massimo del beneficio è pari a 30 mila euro annui.

 

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