Nomofobia: cos'è, i sintomi e come curarla
“O mio Dio, ho lasciato il cellullare a casa!”. Quanti di noi abbiamo pronunciato almeno una volta questa frase con un velo di disperazione? Più o meno tutti. Eppure, molti di noi hanno vissuto per decenni senza essere rintracciabili e allora perché solo poche ore senza cellulare ci mettono in ansia?
Indubbiamente negli anni il nostro stile di vita è cambiato: ci spostiamo con il navigatore, mandiamo comunicazioni anche rilevanti tramite mail e chat, pianifichiamo la nostra giornata tramite l’agenda google, programmiamo il week end in base alle previsioni meteo più aggiornate, pianifichiamo call di lavoro mentre siamo in macchina e tanto altro ancora. Ma è solo questo o c’è dell’altro?
Il termine Nomofobia non vuol dire, anche se lo sembra, paura dei nomi, ma NO-Mobile fobia o No-Mobile Phone Fobia, cioè la paura di essere senza cellulare, o meglio, in modo più esteso, la paura di essere impossibilitati ad accedere ad internet.
Il termine è stato coniato per la prima volta in uno studio inglese del 2008, in cui si esaminava il comportamento di un gruppo di individui messi in condizioni di non poter utilizzare il cellullare.
I sintomi sono quelli di qualsiasi altro disturbo di ansia: senso di irrequietezza, agitazione, tachicardia fino ad arrivare a un vero e proprio attacco di panico.
Ciò nonostante, la Nomofobia possiede delle dinamiche psicologiche differenti. Ad esempio, il paziente claustrofobico ha paura di rimanere in luoghi chiusi ed angusti e in molti casi la causa della paura è da ricercarsi del vissuto psicologico del paziente stesso ed è ricollegabile a probabili eventi traumatici.
Nel caso della Nomofobia il meccanismo che genera l’ansia non è legato ad un evento traumatico, ma ad una dipendenza e quindi in questo senso i disturbi sono attribuibili ad una crisi di astinenza.
La dipendenza da una persona, una sostanza o un comportamento, in termini neurobiologici, si realizza con il rilascio di dopamina in specifiche aree cerebrali ogni volta che noi la soddisfiamo. Così un’abitudine che ci da piacere diviene prima compulsione e poi dipendenza. Il paziente nomofobico è un paziente dipendente dalla rete.
La scimmia impara che abbassando una leva ottiene una banana e continua a farlo indipendentemente dai suoi reali bisogni. Il ludopatico abbassa compulsivamente la leva della slot machine indipendentemente dalla vincita o dall’entità della perdita.
Il nomofobico continua a strisciare verso il basso il dito sullo smartphone per ottenere la sua dose di dopamina.
Altro aspetto non meno rilevante da prendere in considerazione è il tipo di attività che viene svolto in rete e che può avere dei risvolti molto importanti. Ad esempio, se il soggetto è particolarmente dedito a frequentare dei social d’incontri (Cyber relaction addiction), tenderà progressivamente a impoverire la sua rete reale di amicizie fino ad arrivare al completo isolamento e il sesso virtuale (Cyber sexual addiction) diventerà più attrattivo di quello reale.
Nel caso invece in cui il paziente sia attratto dal gioco, le conseguenze potrebbero essere rilevanti anche e soprattutto da un punto di vista finanziario. Altri comportamenti analizzati in differenti studi sono: la compulsione a ricercare in rete un numero sempre maggiori di dati e di informazioni (Information overload) o la tendenza a partecipare a giochi di ruolo creandosi identità fittizie.
La nomofobia, come tutte le dipendenze può essere curata tramite un adeguato supporto psicoterapeutico.
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