Parco eolico bocciato
Il Consiglio di Stato ha negato l’autorizzazione a realizzare un parco eolico a una società costruttiva che aveva presentato VIA viziata

Il caso è scoppiato nelle Marche. Un gruppo di cittadini, proprietari di immobili vicini all’area dove una società aveva intenzione di costruire un parco eolico, hanno fatto ricorso chiedendo che l’autorizzazione alla costruzione venisse negata. Vinta la prima battaglia dai cittadini, la società costruttrice ha impugnato la decisione davanti al Consiglio di Stato che, ancora una volta, gli ha dato torto. Con la sentenza della sezione quarta n.1217 depositata il 13 marzo scorso, l’organo statale ha stabilito che la società in questione aveva violato la normativa italiana e comunitaria in ambito di impatto acustico.
Nello specifico, si è contestato che l’Autorizzazione Unica concessa dalla Regione Marche fosse stata rilasciata a fronte della presentazione di una VIA incompleta. La VIA (la Valutazione di Impatto Ambientale) è un documento in cui, tra le alte informazioni richieste, deve essere annotata la stima di quale potrebbe essere l’impatto acustico di un’opera una volta messa in funzione. Infatti, in base all’art. 8 della legge quadro n. 447 del 1995 sull’inquinamento acustico, "i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale (...) devono essere redatti in conformità alle esigenze di tutela dell’inquinamento acustico delle popolazioni interessate". Quindi, proprio per tutelare l’interesse dei proprietari delle case che sorgevano nelle zone vicine, la società avrebbe dovuto predisporre una verifica, seppur preventiva e previsionale, dell’impatto che avrebbe avuto l’opera una volta compiuta.
La società costruttrice aveva motivato il ricorso sostenendo che la verifica dell’impatto acustico sull’ambiente poteva essere fatto soltanto dopo la conclusione dei lavori e dell’entrata in funzione dell’impianto e che, nel caso di superamento dei limiti legali di inquinamento acustico, avrebbe potuto attuare tutti i rimedi tecnici per ridurre le emissioni "illegali". In questo modo, avrebbe poi presentato una VIA più completa, che garantisse la piena autorizzazione all’attività.
Tale tesi, però, non ha convinto i giudici del Consiglio di Stato che, anzi, hanno ribadito come anche nel caso di previsione di immissioni al di sopra di quelle consentite, sulla base dell’art. 8, comma 6 della legge-quadro, sia sufficiente indicare le "misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore" eccedenti per ottenere comunque l’autorizzazione. Solo se tali misure non dovessero apparire idonee, allora l’ente competente al rilascio dell’autorizzazione potrebbe richiedere alla società di apporre delle modifiche progettuali.
Inoltre, nella sentenza del Consiglio di Stato, viene ribadito a chiare lettere che è sufficiente il requisito della "vicinitas" (cioè la vicinanza dei cittadini che si ritengono parte lesa) a un impianto di produzione di energia per essere legittimati a impugnare l’autorizzazione a costruire. E’ un presupposto giuridico di notevole importanza che aggiunge uno strumento in più a chi, in casi simili, si può sentire danneggiato dalla prevista realizzazione di un nuovo impianto.
Nello specifico, si è contestato che l’Autorizzazione Unica concessa dalla Regione Marche fosse stata rilasciata a fronte della presentazione di una VIA incompleta. La VIA (la Valutazione di Impatto Ambientale) è un documento in cui, tra le alte informazioni richieste, deve essere annotata la stima di quale potrebbe essere l’impatto acustico di un’opera una volta messa in funzione. Infatti, in base all’art. 8 della legge quadro n. 447 del 1995 sull’inquinamento acustico, "i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale (...) devono essere redatti in conformità alle esigenze di tutela dell’inquinamento acustico delle popolazioni interessate". Quindi, proprio per tutelare l’interesse dei proprietari delle case che sorgevano nelle zone vicine, la società avrebbe dovuto predisporre una verifica, seppur preventiva e previsionale, dell’impatto che avrebbe avuto l’opera una volta compiuta.
La società costruttrice aveva motivato il ricorso sostenendo che la verifica dell’impatto acustico sull’ambiente poteva essere fatto soltanto dopo la conclusione dei lavori e dell’entrata in funzione dell’impianto e che, nel caso di superamento dei limiti legali di inquinamento acustico, avrebbe potuto attuare tutti i rimedi tecnici per ridurre le emissioni "illegali". In questo modo, avrebbe poi presentato una VIA più completa, che garantisse la piena autorizzazione all’attività.
Tale tesi, però, non ha convinto i giudici del Consiglio di Stato che, anzi, hanno ribadito come anche nel caso di previsione di immissioni al di sopra di quelle consentite, sulla base dell’art. 8, comma 6 della legge-quadro, sia sufficiente indicare le "misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore" eccedenti per ottenere comunque l’autorizzazione. Solo se tali misure non dovessero apparire idonee, allora l’ente competente al rilascio dell’autorizzazione potrebbe richiedere alla società di apporre delle modifiche progettuali.
Inoltre, nella sentenza del Consiglio di Stato, viene ribadito a chiare lettere che è sufficiente il requisito della "vicinitas" (cioè la vicinanza dei cittadini che si ritengono parte lesa) a un impianto di produzione di energia per essere legittimati a impugnare l’autorizzazione a costruire. E’ un presupposto giuridico di notevole importanza che aggiunge uno strumento in più a chi, in casi simili, si può sentire danneggiato dalla prevista realizzazione di un nuovo impianto.
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