Può essere indagato l’abuso del permesso della 104


Il permesso può essere concesso anche se il coniuge o i genitori dell’assistito hanno 65 anni. Ma il datore di lavoro può indagare
Può essere indagato l’abuso del permesso della 104

La legge n. 104 del 1992 permette di ottenere il permesso mensile retribuito di tre giorni a tutti coloro i quali dimostrino di dover assistere un familiare portatore di handicap. Per portatore di handicap si intende una persona che presenti una minorazione fisica, psichica o sensoriale dovuta a malattia o all’età avanzata. Tale permesso può essere richiesto da un parente o un affine entro il terzo grado allo scopo di fornire l’assistenza al familiare che versa in una situazione di gravità.

A tal proposito il Ministero del Lavoro ha risposto a un’interpellanza in materia, affermando che il permesso può essere chiesto da un qualunque parente o affine entro il terzo grado se il coniuge dell’assistito o i suoi genitori abbiano compiuto i 65 anni di età, siano affetti da patologie invalidanti oppure siano deceduti. In pratica, se si verifica almeno una delle tre ipotesi appena descritte, si ha diritto ai tre giorni retribuiti di permesso, anche in presenza di altri familiari in grado comunque di assistere il portatore di handicap. E’ il caso, ad esempio, di un nipote che chiede il permesso per assistere il nonno. Può ottenerlo se i suoi genitori (che sono anche i figli dell’assistito) abbiano compiuto i 65 anni, indipendentemente dalla loro possibilità di assistere la persona invalida.

Se da una parte ciò consente una maggiore tutela della persona portatrice di handicap, dall’altra potrebbe comportare un aumento dell’abuso legato alla richiesta di permessi retribuiti a fini personali e non per scopi assistenziali. La Corte di Cassazione, però, ha chiarito che il datore di lavoro, che abbia un sospetto fondato sull’uso improprio dei permessi da parte del dipendente, possa controllarlo anche tramite un investigatore privato e che, in caso di abuso, possa licenziarlo per giusta causa. Va sottolineato, però, che il sospetto deve essere fondato, deve cioè essere legato a comportamenti dubbi del dipendente; sono degli esempi i permessi richiesti a ridosso dei week end o delle ferie.

La giurisprudenza si è interrogata sulla liceità del comportamento del datore di lavoro; se possa, cioè, far pedinare il dipendente, anche in presenza di fondati sospetti di un utilizzo scorretto dei permessi. In particolare, si è chiesta se il "controllo" non fosse in contrasto con lo Statuto dei Lavoratori, che vieta proprio il controllo a distanza del dipendente tramite, ad esempio, impianti audiovisivi o tramite l’accesso a e-mail o pc aziendali, per tutelarne il diritto alla libertà e privacy.

La Cassazione, anche in questo caso, si è dichiarata permissiva con il datore di lavoro affermando che il controllo del titolare non riguarda la modalità di svolgimento delle mansioni lavorative. Non è, quindi, un controllo sull’esatto adempimento del contratto di lavoro, ma solo sull’affidabilità di condotta del dipendente. Inoltre, si tratterebbe di una verifica che si svolge fuori dall’orario di lavoro, durante i giorni di permesso. In conclusione, il pedinamento è legittimo e se il dipendente abusa della legge 104 può essere licenziato per giusta causa.

La liceità del controllo da parte del datore di lavoro si fonda sul diritto del titolare di indagare su eventuali illeciti commessi dal lavoratore. L’uso a fini personali del permesso è un illecito, come il furto o la falsa timbratura dei cartellini. Dunque, il pedinamento è funzionale alla tutela del patrimonio aziendale. Va sottolineato, però, che i controlli devono comunque rispettare la privacy del dipendente: devono provare esclusivamente la buona condotta del lavoratore. Ogni dato o elemento di carattere estraneo allo scopo deve restare riservato.

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