Sentenza Eternit: “Va rispettata”
Concluso il processo in Cassazione, non si placano le polemiche. Intanto, un articolo pubblicato su “La Voce dell’Agorà” difende la Suprema Corte

Concluso il processo in aula sul caso "Eternit", resta quello promosso dall’opinione pubblica. Lo scalpore suscitato dalla sentenza di "intervenuta prescrizione" del reato di disastro ambientale doloso a carico del magnate svizzero Stephan Schmidheiny risuona nelle nostre orecchie con quel "vergogna, vergogna" urlato dai familiari delle vittime presenti in aula. Parole che non sono passate né inosservate, né in sordina. Tant’è che nel nuovo numero di "La Voce dell’Agorà", rivista di attualità giuridica distribuita nel Palazzo di Giustizia di Torino è stato pubblicato un articolo in cui è scritto che la sentenza Eternit "trova la sua forza nell'applicazione del diritto" e "va rispettata" perché è "la disapplicazione del diritto la vera ingiustizia".
Concetto, quello della supremazia del diritto, espresso anche dal sostituto procuratore generale di Cassazione, Francesco Mauro Iacoviello, secondo il quale "il giudice tra diritto e giustizia deve sempre scegliere il diritto" e che in questo caso diritto e giustizia "vanno su strade opposte". Cercando di ricostruire i fatti, i giudici della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno aderito alla tesi del sostituto pg Iacoviello, secondo il quale il reato contestato al miliardario svizzero era ormai prescritto (già dal termine del processo di primo grado nel 2012) e, di conseguenza, doveva essere annullata senza rinvio la sentenza di condanna a 18 anni di carcere emessa il 3 giugno 2013 dalla Corte d’Appello di Torino. Oltre all’annullamento della condanna è sfumato pure il risarcimento di quasi 100 milioni di euro destinati ai familiari delle vittime, ai sindacati, al Comune di Casale Monferrato e alla regione Piemonte.
Una sentenza, dunque che ha fatto e farà ancora discutere. I fatti risalgono a partire dagli anni ’70 quando centinaia di operai che lavoravano per la multinazionale Eternit, hanno cominciato ad ammalarsi di mesotelioma pleurico (tumore al polmone) e di asbestosi a causa dell’inquinamento di amianto. Ad oggi si contano circa 3 mila decessi. A capo dell’azienda c’erano Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier, morto poco prima della sentenza di appello. Entrambi sono stati accusati di aver mantenuto operativa la produzione nelle proprie fabbriche senza l’ausilio di guanti e mascherine pur conoscendo i gravi e potenziali danni da inquinamento da amianto.
Furono entrambi condannati a 16 anni di carcere in primo grado di giudizio. Condanna che è stata confermata e aumentata a 18 anni di reclusione dalla Terza Sezione penale della Corte di Appello di Torino. In secondo grado i due dirigenti dell’Eternit erano stati riconosciuti colpevoli di disastro colposo, ma non per omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Pochi giorni fa, è arrivata la sentenza della Corte di Cassazione che, pur riconoscendo la sussistenza dei fatti, ha annullato la sentenza di Appello per "intervenuta prescrizione".
Concetto, quello della supremazia del diritto, espresso anche dal sostituto procuratore generale di Cassazione, Francesco Mauro Iacoviello, secondo il quale "il giudice tra diritto e giustizia deve sempre scegliere il diritto" e che in questo caso diritto e giustizia "vanno su strade opposte". Cercando di ricostruire i fatti, i giudici della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno aderito alla tesi del sostituto pg Iacoviello, secondo il quale il reato contestato al miliardario svizzero era ormai prescritto (già dal termine del processo di primo grado nel 2012) e, di conseguenza, doveva essere annullata senza rinvio la sentenza di condanna a 18 anni di carcere emessa il 3 giugno 2013 dalla Corte d’Appello di Torino. Oltre all’annullamento della condanna è sfumato pure il risarcimento di quasi 100 milioni di euro destinati ai familiari delle vittime, ai sindacati, al Comune di Casale Monferrato e alla regione Piemonte.
Una sentenza, dunque che ha fatto e farà ancora discutere. I fatti risalgono a partire dagli anni ’70 quando centinaia di operai che lavoravano per la multinazionale Eternit, hanno cominciato ad ammalarsi di mesotelioma pleurico (tumore al polmone) e di asbestosi a causa dell’inquinamento di amianto. Ad oggi si contano circa 3 mila decessi. A capo dell’azienda c’erano Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier, morto poco prima della sentenza di appello. Entrambi sono stati accusati di aver mantenuto operativa la produzione nelle proprie fabbriche senza l’ausilio di guanti e mascherine pur conoscendo i gravi e potenziali danni da inquinamento da amianto.
Furono entrambi condannati a 16 anni di carcere in primo grado di giudizio. Condanna che è stata confermata e aumentata a 18 anni di reclusione dalla Terza Sezione penale della Corte di Appello di Torino. In secondo grado i due dirigenti dell’Eternit erano stati riconosciuti colpevoli di disastro colposo, ma non per omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Pochi giorni fa, è arrivata la sentenza della Corte di Cassazione che, pur riconoscendo la sussistenza dei fatti, ha annullato la sentenza di Appello per "intervenuta prescrizione".
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