Si perde automaticamente il diritto al mantenimento se si convive con un altro?
La prima Sezione di Civile della Corte di Cassazione, con la recente ordinanza interlocutoria n. 28995/2020 depositata il 17 dicembre 2020, ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Suprema Corte in modo che le Sezioni Unite Civili possano esprimersi sulla giustezza dell'automatismo che prevede la perdita del diritto all’assegno di mantenimento se si costituisce una nuova famiglia in forma di convivenza.
Gli ermellini, nello specifico, hanno richiesto alle Sezioni Unite di chiarire se tale consolidato orientamento della giurisprudenza sia quello da seguire anche a fronte della famosa sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 oppure se il giudice possa discrezionalmente decidere sulla continuazione del mantenimento anche se l’ex coniuge convivesse more uxorio con un altro partner.
In altre parole, la sentenza citata n. 18287/2018 ha sancito che l’assegno di divorzio debba avere funzione perequativa, compensativa e assistenziale e, a fronte di ciò: la semplice convivenza con un’altra persona preclude in maniera automatica il proseguimento del diritto all’assegno divorzile o il giudice può discrezionalmente valutare il caso specifico?
Questo il quesito sottoposto alle Sezioni Unite che dovranno pronunciarsi sul punto.
Il caso che la Corte di Cassazione, prima Sezione di Civile, si è trovata a dirimere è quello di una donna che richiedeva all’ex marito (con il quale aveva avuto dei figli) la prosecuzione del versamento in suo favore dell’assegno divorzile nonostante lei avesse poi intrapreso una convivenza more uxorio con un altro uomo con il quale aveva avuto un’altra figlia.
La Corte di Appello aveva respinto la domanda di riconoscimento dell’assegno di mantenimento a favore dell’ex moglie e quest’ultima è ricorsa in Cassazione.
Dei quattro motivi di ricorso, soltanto uno è stato posto dagli Ermellini all’attenzione dell’ordinanza interlocutoria richiedendo il parere delle Sezioni Unite.
Nello specifico, la ricorrente si lamentava del fatto che la Corte di Appello si fosse espressa nel senso che “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l’immediata soppressione dell’assegno divorzile”.
La domanda di riconoscimento dell’assegno di mantenimento avanzata dalla ricorrente si basava sul fatto che durante i nove anni del precedente matrimonio, avesse “rinunciato ad un’attività professionale, o comunque lavorativa, per dedicarsi interamente ai figli, e ciò anche dopo la separazione personale dal marito che aveva potuto, invece, applicarsi completamente al proprio successo professionale, quale amministratore e proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione delle calzature in Italia, con un fatturato all’estero pari a qualche milione di euro”.
In aggiunta, la donna avrebbe un’età tale da non riuscire più a reperire un’attività lavorativa e le entrate del nuovo convivente sono ridotte e “falcidiate” dal mutuo per l’acquisto della casa dove la ricorrente convive con il nuovo partner e con i figli (anche quelli avuti con l’ex marito).
Per quanto detto, i giudici di piazza Cavour hanno richiesto alle Sezioni Unite della cassazione di rimeditare sull’orientamento recentemente espresso e in base al quale una nuova famiglia (seppur di fatto) possa sciogliere “ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale” determinando la decadenza dell’assegno di mantenimento con un automatismo ed escludendo al giudice diversa scelta. Tanto più che detto automatismo dovrebbe riferirsi solamente nel caso di nuove nozze.
Gli ermellini muovono i passi dal principio dell’auto-responsabilità, in base al quale la persona, proprio in nome delle conseguenze delle sue libere azioni, deve mettere in conto che, nel caso di cessazione della nuova convivenza, resterebbe comunque preclusa la possibilità di riottenere l’assegno di mantenimento dall’ex marito.
Ma tale principio, sottolineano i giudici della prima Sezione Civile, vale non solo per il futuro, ma anche per il passato da cui sono scaturiti i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio il quale, come espresso dalla Cassazione SU n. 18287/2018 ha funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa.
Proprio a fronte di ciò, i Supremi giudici scrivono nell’ordinanza interlocutoria: “…va colta l’esigenza, piena, di dare dell’assegno divorzile una lettura che, emancipandosi da una prospettiva diretta a valorizzare del primo la natura assistenziale, segnata dalla necessità per il beneficiario di mantenimento del pregresso tenore di vita matrimoniale, resta invece finalizzata a riconoscere all’ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all’interno della disciolta comunione, nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge”.
Nel caso di specie, o di altri simili, infatti, dopo una vita matrimoniale che si è protratta per un apprezzabile arco temporale, l’ex coniuge che abbia rinunciato alla sua carriera lavorativa per accudire i figli e occuparsi della casa, acquista il diritto all’assegno di divorzio.
Nell’ordinanza, infatti, si legge che “il beneficiario possa godere dell’assegno divorzile non solo perché soggetto economicamente più debole, ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge, il tutto per un percorso in cui le ragioni assistenziali nella loro autonomia perdono di forza, lasciando il posto a quelle dell’individuo e della sua dignità”.
E, dunque, “Il principio di autoresponsabilità destinato a valere in materia per il nuovo orientamento di questa Corte di legittimità, compendiato nelle ragioni di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 18287 cit., non può escludere e per intero il diritto all’assegno divorzile là dove il beneficiario abbia instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo”.
Così: “Il principio merita una differente declinazione più vicina alle ragioni della concreta fattispecie ed in cui si combinano la creazione di nuovi modelli di vita con la conservazione di pregresse posizioni, in quanto, entrambi, esito di consapevoli ad autonome scelte della persona".
In conclusione, come scritto nell’ordinanza “La questione per cui si sollecita l'intervento delle Sezioni Unite è quella di stabilire se instaurata la convivenza di fatto, definita all'esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell'ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all'assegno divorzile si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell'assegno, oppure se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dall'obiettiva valorizzazione del contributo dato all'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, sostengano dell'assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazioni da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento”.
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